lunedì 25 febbraio 2019

The Moth Gatherer - Esoteric Oppression: l'io interno messo a nudo

(Recensione di Esoteric Oppression dei The Moth Gatherer)


La musica è un po' come l'amore. O è una forma d'amore. Per quello le sensazioni che fanno provare certi dischi quando vengono ascoltati per la prima volta si assomigliano tantissimo con il primo incrocio di sguardi con una persona che ci fa provare quello che volgarmente viene chiamato un colpo di fulmine. E' la pelle d'oca, è quella sensazione che più si approfondisce quella conoscenza e più ci si rimane infatuato. Quello è l'effetto che fa un bel disco. Basta un secondo per farti capire che la sintonia è proprio la tua, basta un minuto per capire che lo riascolterai daccapo svariate volte, bastano due o tre brani per sapere che quel disco sta entrando a formare parte della tua persona colonna sonora per la vita. Vi auguro che queste emozioni non si spengano mai.

Esoteric Oppression

Mi sono bastati pochi secondi di ascolto di questo Esoteric Oppression per capire che avevo di fronte un disco che mi stava parlando all'anima, senza filtri, senza strade complesse, un link diretto tra la musica dei The Moth Gatherer e la mia anima. Sembra una cosa banale, semplice, che si vive diverse volte ma non è così. Per uno che, come me, alla fortuna di avere continuamente a che fare con dischi nuovi e che passa più tempo scoprendo musica nuova, piuttosto che fermarsi ad ascoltare delle cose "vecchie", non è semplice avere a che fare con lavori che fanno quest'effetto. Indubbiamente la domanda che sorge spontanea è come mai questo disco è riuscito ad avere quell'impatto su di me. Credo che la risposta si nasconda nell'insieme di elementi che convergono in queste registrazioni. E' come se lo zoccolo duro di questo lavoro fosse già profondamente ben riuscito ma tutto quello che viene aggiunto regalasse ancora maggiore profondità. Perché spesso sono i dettagli a fare la differenza e a denotare la genialità. Dettagli che hanno reso celebri certi dischi e che rimangono sempre presenti nella mente degli ascoltatori. Ecco, questo disco è stato costruito con quei dettagli, quelle cose che ti vanno dire, cavolo, che bello, che interessante, che originale.

Esoteric Oppression

Parlavo prima del fatto che Esoteric Oppression parte da un'idea chiara. A livello musicale quest'idea è la sua sonorità, a metà strada tra il post metal e lo sludge metal. Brani lunghi, intensi, sentiti che ricordano molto quello che viene fatto da band come i Cult of Luna. E già questa base sarebbe perfetta per garantire un disco rotondo, molto ben fatto. Ma sono i dettagli, o le aggiunte, quello che fa da questo disco un meraviglioso disco. Quello che viene fatto dai The Moth Gatherer è aggiungere tutta una parte elettronica che gioca con le regole del post rock creando delle vere e proprie atmosfere eteree, che portano l'ascoltatore a sognare e a perdersi in questi paesaggi densi, forse ostici ma profondamente interessanti. Perché la musica è il riflesso dell'anima, delle emozioni che custodiamo e che spesso vengono fuori così, con energia ma soprattutto con complessità. Le emozioni possono essere le stesse ma due persone diverse non le vivranno mai nello stesso identico modo. Questo è quello che c'insegna questo disco, quello è quello che ci dimostra. Ci fa capire che quel percorso personale tra le emozioni è fondamentale e sacrosanto, che nessuno dovrebbe sentire che il proprio dolore, o amore o qualsiasi altra emozione, è più importante da quello degli altri. Siamo individui, non abbiamo una mente comune ed è nostro e di nessun altro il nostro percorso emotivo.

Forse è anche quello ad avermi collegato così fortemente a questo disco. Avere la sensazione che quello che viene suonato in Esoteric Oppression sia una fedele rappresentazione del mio stato emotivo. Ma la musica che cos'altro fa oltre a darci l'impressione che sia stata create appositamente solo per ciascuno di noi? Ben poco ma quella è proprio la sua importanza fondamentale. Quella è la sua magia, il suo modo di salvarci da noi stessi e di capire che il viaggio dentro alle emozioni sia da affrontare sempre. Per quello ringrazio i The Moth Gatherer per avermi regalato un nuovo legame fondamentale con la musica che amo.

The Moth Gathered

E' riduttivo presentarvi solo pochi brani da questo lavoro ma credo che farlo possa illuminarvi su quello che troverete dentro.
Scelgo The Drone Kingdom, brano d'apertura di questo disco. Brano che diventa intenso gradualmente, brano che sin dalle prime note riesce a trasportarci in un mondo unico, complesso, astrato ma interno. Meraviglioso. L'aggiunta dei fraseggi femminili regala ancora maggiore intensità e contrasti a una canzone che sarà, indubbiamente, uno dei miei favoriti di questo 2019.
La seconda scelta va a The Failure Design. Brano più diretto e crudo dell'anteriore ma che continua a lavorare su quella dualità metal/elettronica veramente fondamentale. Quello che viene dipinto con la musica è un paesaggio che potrebbe sembrare sconosciuto, inesplorato ma forse, o senza il forse, è una fotografia del nostro io più intimo. Un invito a capire chi siamo veramente.


Anche se siamo soltanto a febbraio mi è molto chiaro che Esoteric Oppression farà parte del mio personale elenco di dischi migliori di questo 2019. Sarà così perché la sua capacità di creare un legame con quel che sono, quel che amo nella musica e quello che vivo in questi giorni, è qualcosa che viene fuori solo di rado. I The Moth Gatherer ci sono riusciti grazie alla loro sensibilità, al loro modo di costruire delle architetture sonore che non sono altro che il nostro io interiore messo a nudo. Sublime.

Voto 9/10
The Moth Gatherer - Esoteric Oppression
Agonia Records
Uscita 22.02.2019

giovedì 21 febbraio 2019

Herod - Sombre Dessein: la maestria di disegnare con le ombre

(Recensione di Sombre Dessein degli Herod)


Ci sono cose che si capiscono solo alla distanza. Solo dopo molto tempo e guardando tutto da una prospettiva diversa si può capire che un'era si è conclusa, che è avvenuto un cambiamento che determina un nuovo periodo. Tutto ciò sia a livello storico che personale. Per quello non capisco chi mette definizioni al proprio operato ancora prima d'iniziarlo. Como se bastasse una parola per realizzare la magia. Ci sono cose che sono semplici e altre che sono molto complesse. E' un errore pretendere che quelle complesse diventino semplici.

Alla distanza di quattro anni gli svizzeri Herod ci regalano un nuovo lavoro intitolato Sombre Dessein. Un lavoro complesso che attraversa diversi generi. Ed è questa complessità quella regala degli spunti brillanti. Come capita in genere in qualsiasi aspetto della vita quando c'è la volontà di mescolare gli elementi, di far nascere qualcosa di nuovo, e si sa come farlo, il risultato non può che essere positivo. In particolare questo disco potrebbe regalare una prima lettura che lo definirebbe come un lavoro duro, ostico, denso, ma andando avanti si rivela un disco pieno di sfumature, di momenti di grande profondità, di contrasti funzionali, di una forza calibrata. Perché per formare al meglio un discorso musicale è fondamentale che ci sia uno spettro dal quale si possa pescare all'occorrenza. In questo modo la forza lo diventa ancora di più e i momenti riflessivi toccano profondità che tiranno fuori pensieri unici, molto spesso sommersi. 

Sombre Dessein


Un'altro aspetto che permette di capire la "bontà" di questo disco è il fatto che gli Herod partano dal fatto che la loro musica sia lo sludge metal, genere spesso acido, potente ma anche leggermente statico. Invece questo Sombre Dessein è un lavoro che pare la porta ad altri elementi, come quello del post rock e del post metal regalando passaggi ipnotici, reiterativi, tantrici. Per quello la sua capacità sorprende e finisce per guidarci attraverso una serie di mondi sonori e non solo. E' un viaggio affascinante, ricco, luminoso, seppur portato avanti in zone d'ombra. Personalmente è questa la chiave che mi porta a stimare molto positivamente questo lavoro. Mi regala spunti nuovi, idee che da per sé sono già molto originali ma coniugate prendono ancora più brillo. Originale, complesso, motivante, questo è un disco non annoia mai e che ci guida sempre attraverso strade nuove.

Sombre Dessein è appunto un'ombra che disegna. Si potrebbe pensare che il risultato dia soltanto una serie di creazioni monotonali ed invece quest'ombra è piena di sfumature e i propri disegni vanno guardati da vicino per riuscir a vedere anche i più minimi dettagli. Gli Herod sono stati in grado di costruire un disco rotondo e molto curato, un intreccio di idee musicali e non solo che tessono una rete impossibile da rompere. 

Herod


Pesco due brani che permettono di capire lo spettro musicale sul quale si muove la band.
Don't Speak Last, brano più lungo dell'intero lavoro, ricco di cambiamenti, di dense e cupe atmosfere che si rompono con l'energia della band. Forse questo è l'esempio che illustra al meglio quell'insieme de idee che convergono costruendo la musica che troviamo in questo lavoro.
There Will Be Gods, traccia di chiusura di questo disco, anche questa molto lunga e, dal mio punto di vista, quella più interessante. Un brano ipnotico che potrebbe appartenere a tanti generi diversi. E' nella reiterazione e l'aggiunta di nuovi elementi che si forgia la potenza di questo brano. Misuratamente denso, misuratamente intenso, un trionfo di coinvolgimento.


Ancora una volta mi ritrovo a lodare un lavoro dove l'apertura mentale e la voglia di creare mescolando delle carte è l'impronta principale. Un grande applauso dunque agli Herod e al loro modo di regalarci questo bellissimo Sombre Dessein. Un disco che, non ho dubbi, piacerà a tanta gente capace di sintonizzarsi con l'idea che custodisce. 

Voto 8,5/10
Herod - Sombre Dessein
Pelagic Records
Uscita 15.02.2019

Sito Ufficiale Herod
Pagina Facebook Herod

martedì 19 febbraio 2019

Rotting Christ - The Heretics: la forza di opporsi

(Recensione di The Heretics dei Rotting Christ)



Non voglio addentrarmi in una tematica che è sempre molto controversa, cioè quella della religione. Ma anche non volendomi addentrare credo che sia lecito dire come la penso. Per me la religione, qualsiasi essa sia, è sbagliata quando diventa imposizione e annullamento della dimensione personale ed individuale. La religione deve essere un raduno di idee che si aggirano intorno alla fede e non un'imposizione di come bisogna vivere e delle decisioni che ciascuno deve prendere nella propria vita. Per quello non mi sono mai avvicinato ad alcuna religione e dubito di farlo mai.

Ricordo che di recente ho letto che i Rotting Christ erano stati arrestati nell'aeroporto di una ex-repubblica sovietica, se non sbaglio in Georgia. La notizia mi ha fatto sorridere amaramente perché mi ha riportato indietro nel tempo quando vivevo in un Cile che, ancora sotto dittatura di Pinochet, impedì l'arrivo degli Iron Maiden per le pressioni della chiesa locale. Quando la chiesa vuole imporre il proprio pensiero a tutte le persone vuol dire che abbiamo un problema. Non dovrebbe succedere che le persone in modo spontaneo si avvicinino ai tempi?
Forse The Heretics nasce un po' sotto quest'ottica. Forse è un disco vuole evidenziare tutto quello che non funziona e che non ha funzionato in un'istituzione come quella. Forse vuole sottolineare il coraggio di chi, quando i tempi erano diversi , ha avuto il coraggio di dire basta e di non piegarsi ai voleri e le imposizioni religiose.
La cosa triste è che dopo secoli e secoli non tutto è cambiato. Dopo secoli e secoli il potere della chiesa va oltre al discorso di fede, sacrosanto ma puntuale.

The Heretics

Musicalmente The Heretics è un disco che si presenta granitico, compatto e contundente. Sembra che i Rotting Christi abbiano trovato una formula nella quale si trovano comodo e sanno di riuscir a tirare il meglio di loro stessi. Che genere viene suonato? Difficile da definire. Forse dark metal è la migliore definizione. Elementi black che si mescolano col death ma che vengono sintetizzati in modo di far nascere delle canzoni che sanno dove puntare e dove colpire. Non ci sono vedute diverse, non ci sono obiettivi diversi tra la parte musicale e quella lirica, tutto ha un bersaglio che deve essere colpito in pieno. La cosa bella è che per colpirlo non sono necessari artifici o sviluppi complessi. Subito ci viene messo d'avanti agli occhi quello che va rivisto e quello che la band vuole evidenziare e subito il "proiettile" arriva. Diretto, pulito, esperto. 30 anni di esperienza si notano e trasparono in tutte le note suonate in questo nuovo disco.

Mi verrebbe da questionarmi sull'effettività che può avere un disco come The Heretics, perché magari siamo abituatati ad altre sonorità e altre intensità quando si ha a che fare con tematiche come questa. Ci si aspetta una rivoluzione sonora, una violenza musicale che distrugga. Ed invece l'intelligenza dei Rotting Christ, e la loro esperienza si vede da come riescono a mettere in piedi questo lavoro. Un'intensità costante, continua e sicura, la chiarezza di dove colpire, non con la forza ma con la ragione.

Rotting Christ

Prendo due brani che, credo, illustrano fedelmente quello che ho voluto descrivere fino a questo punto.
Il primo è The Time Has Come. Qui c'è un po' la sintesi di quello che è questo disco. Ritmiche ipnotiche e reiterative, riff di chitarra pesanti e concreti, cori quasi gregoriani che s'incrociano con voci recitate. Il mistico e profano che s'intrecciano.
Il secondo è In the Name of God. Come si colpisce al meglio un nemico? Forse parlando il suo stesso linguaggio, forse addentrandosi così tanto da sembrare uno di loro. La ferita più grande è quella che viene inflitta dall'interno. Fare le cose nel nome di un Dio è una scusa e questo brano lo evidenzia. 


The Heretics è un lavoro d'intelligenza, di arguzia, di sensibilità e di rottura. Non ha bisogno di essere spettacolare, violento, impattante. Non serve tutto ciò. Serve l'intelligenza che fa crescere il dubbio, che fa aprire gli occhi alla capacità di porsi delle domande e tutto ciò è presente in questo lavoro dei Rotting Christ.

Voto 8/10
Rotting Christ - The Heretics
Season of Mist
Uscita 15.02.2019

giovedì 14 febbraio 2019

Saor - Forgotten Paths: i luoghi segreti dell'anima e della propria terra

(Recensione di Forgotten Paths di Saor)


Sono un amante delle radici. Apprezzo molto chi cerca di preservare quello che viene culturalmente dalla propria identità nazionale o regionale. Ma apprezzo ancora di più chi, partendo da quel punto, ha la capacità di costruire delle vere e proprie evoluzioni. La cultura è espansione, è tolleranza, è apertura, è crescita. Le radici hanno bisogno di nuovi nutrienti, la terra deve arricchirsi, altrimenti non crescerà più nulla.

Saor è un musicista che ha ben poco da dover dimostrare. Il suo modo di concepire un genere dove la propria identità culturale si mescola col metal è sublime e i suoi tre primi dischi sono massicci e solidi. Forgotten Paths, però, è riuscito ad alzare l'asticella regalandoci quello che, personalmente, ritengo il punto più alto della sua carriera. Il perché di ciò si può trovare nella capacità di evolversi, di non voler rimanere inchiodato in una formula che, in tutti casi, funzionava perfettamente. Non è un rischio, è un atto che denota saggezza, maturità e indubbie dotti creative. Quale modo migliore di far arrivare il proprio messaggio che quello di ampliare la platea di "usuari"? E' di dovere fare una precisazione su quello che ho appena scritto, perché sarebbe molto facile pensare che il progetto musicale in questione si sia "popolarizzato" e cerchi delle escamotage semplici che rendano tutto molto più effettivo, ed invece non è così. Questo disco ha il coraggio di accostare nuovi sotto generi del metal a quelli già presenti dando così nascita a nuove combinazioni, un rischio che potrebbe allontanare i puristi ma che restituisce al mondo un artista di capacità sorprendenti.

Forgotten Paths

Forgotten Paths è un disco che richiama storie dimenticate, tradizioni che ormai è anche difficile documentare e forse quello è il messaggio principale che merita una lettura accurata e applicabile a tanti aspetti della vita. Il passato spesso ci indica che tante cose sono state già fatte, che c'erano elementi che erano assolutamente accettati e ben visti. Ma spesso le lotte di potere radono al suolo tutto, senza mai fomentare quello che c'era di positivo. Perché faccio questa premessa storico filosofica? Perché l'ascolto di questo capolavoro di Saor mi fa pensare che dall'insieme di elementi nasce sempre un nuovo contributo al mondo intero. Come se percorrere quei sentieri dimenticati non solo svelassi la bellezza del passato ma s'insinuasse pure come linea di pensiero e come volontà creativa. Quest'artista scozzese è da considerare come uno dei padri di quello che viene denominato il caledonian metal ma in questo disco questo genere subisce dei mutamenti e delle aperture veramente interessanti. Non è più un atmospheric black metal con aggiunte di folk metal scozzese. No, qui c'è tanto altro. Forse l'elemento principale che viene ad aggiungersi, e in questo senso non stupisce affatto la presenza di Neige degli Alcest, è il blackgaze. E' chiave questa aggiunta perché porta la musica da un carattere di omaggio storico pieno d'orgoglio a un piano intimo, molto più sentimentale. Noi è più un semplice racconto, è la confessione di un uomo che ama la propria terra e che vede in essa l'estensione di quello che è. 

Forgotten Paths è un disco d'amore, perché l'amore non è sinonimo di frasi sdolcinate e melodie pop. L'amore è la vita, è il motore, è la definizione di ognuno, è l'eredità che lasceremmo. Con questo nuovo disco Saor dà un passo gigantesco. Non è più un cantastorie che eleva l'orgoglio nazionale ma diventa il testimone di quello che vive, di quello che lo appassiona, di quello che è la strada che ha deciso di percorrere. Questo è un disco che trasuda onestà e che si serve di tutto quello che fino ad oggi ha fatto comunicare meglio e di più.

Saor

Così come succede più di qualche volta limitarmi a consigliare solo qualche brano di questo lavoro sarebbe un peccato. Sono quattro lunghe tracce che devono essere vissute per intere. Per quello cerco di definire grossolanamente ognuna.
Forgotten Paths già permette di capire l'evoluzione musicale dietro a questo lavoro. L'intreccio di diverse parti, gli arrangiamenti puntuali che regalano unicità e la presenza del blackgaze fanno capire che questo è un disco che fa innamorare l'ascoltatore.
Monadh continua su quella strada. L'intro è preziosa, è un paesaggio che fa sognare, è un luogo da dove non si vorrebbe mai andare via. Sviluppandosi il brano ci porta a capire che quella stessa sensazione è stata provata da tanti altri uomini nel passato e che l'amore per un posto non è egoistico ma è un privilegio condiviso. Bellissimo, intenso.
Bròn è ancora più intenso nella sua capacità evocativa, nel suo modo di regalare più contrasti dentro alla profondità sentimentale del disco. Per quello la presenza di uno voce femminile crea contrasti di rara bellezza.
Exile è, come indica il titolo, un'uscita. Brano strumentale che fa capire che la bellezza dei luoghi sacri e dimenticati, sia fisici che interni ad ognuno, dev'essere curata. Bisogna allontanarsi dalle cose per capire il loro vero valore, bisogna svelare i segreti solo a chi merita di conviverci. E' l'ora di andare via, di chiudere la porta da questo mondo fantastico.


Forgotten Paths mette insieme due piani che potrebbero sembrare divisi e lontani, quello della bellezza della propria terra e quello degli angoli più belli e vulnerabili di ciascuno di noi. Questo è il passo fondamentale che Saor è riuscito a compiere con questo disco. Si nota che tutto quello che c'è in questo disco è interno, è un discorso a cuore aperto che arriva a tutti, è la nudità dell'artista che prende tutto il coraggio nel compiere un gesto del genere.

Voto 9/10
Saor - Forgotten Paths
Avantgarde Music
Uscita 15.02.2019

mercoledì 13 febbraio 2019

Diabolical - Eclipse: l'alba di un'era oscura

(Recensione di Eclipse dei Diabolical)


La mente umana è molto complessa ma è anche tanto fragile. Qualche volta basta la presenza di qualcuno abile e carismatico per plagiarci, per farci credere in storie e filosofie che non solo sono vere ma hanno anche uno sfondo negativo. Gran parte del gioco del potere si basa su questa dinamica, riuscire a convincere quanta più gente possibile che la propria posizione sia l'unica valida, l'unica buona. Per quello da sempre sono orgoglioso nel poter affermare che sono stato educato a impormi il dubbio su ogni cosa, a mai dare per buono un concetto soltanto perché qualcuno mi ha detto che è così. Non bisogna mai piegarsi e sempre cercare di capire le cose da soli, facendo magari centinaia di domande.

Eclipse è il nuovo disco degli svedesi Diabolical e si presenta come un lavoro ambizioso, sia musicalmente che a livello lirico. E' un disco che parla di potere, di un nuovo inizio in un mondo governato da le forze che possono essere definite come "oscure". Tutto in un ambito fantascientifico che potrebbe riportarci ad opere come Il Signore degli Anelli. Per quello anche a livello musicale le scelte seguite tendono a dare quest'aria, dove tutto diventa etereo e volutamente grandiloquente. Questa non è un'opera facilmente concepita, non è il frutto di poche ore passate in sala prove buttando giù qualche idea coerente. E', invece, un lavoro curato meticolosamente, riflettuto e studiato in modo che tutto abbia la dovuta coerenza che faccia combaciare musica, parole e soprattutto l'impatto che arriva all'ascoltatore. Il risultato è garantito, può piacere o non piacere la storia e il genere musicale ma nessuno può mettere in dubbio che questa è un'opera molto ben riuscita. 

Eclipse

La musica che troviamo in Eclipse può essere definita come un blackened death metal cioè l'anima del death metal arricchita con degli elementi che sono, in un certo modo, parte dell'universo del black metal. Ma credo che la ricchezza che ci viene proposta dai Diabolical vada anche oltre a questa definizione. La loro musica non si richiude a nessun elemento che possa arricchirla, per quello oltre ai generi nominati prima possiamo sentire dei passaggi di death metal progressivo alla Opeth o sinfonici come quello che viene fatto dai Septicflesh. Per quanto riguarda quest'ultima parte è fondamentale la presenza di un coro lirico che aggiunge senza distogliere la vera natura della band. E' un di più che diventa molto gradito, che fa bene, che aiuto a spandere l'idea che c'è dietro a questo disco. Non è l'unico elemento che va in quella direzione. C'è anche una importante aggiunta dovuta ai gioco vocali, all'alternanza tra voci pulite e distorte. Ma occhio, diventa tutto teatrale ma mai esagerato o scontato. Un abile scrittore sa che per "cucinare" un bel libro serve equilibrio e una coerenza che dia quel tocco desiderato alla ricetta. In questo lavoro succede lo stesso. Il tronco e la base portante è quel blackened death metal e tutto quello che viene aggiunto serve per accrescere il risultato finale. Tornando al paragone gastronomico del quale mi sono servito molto spesso non basta avere un ingrediente prelibato, se non lo si sa cucinare o abbinare il risultato diventa deludente.

Perché ci emozionano le grande opere della fantascienza? Non tanto per il loro epico svolgimento quanto per tutto quello che racchiudono dietro, tutti i messaggi e le emozioni che risultano più facili da spiegare usando metafore, immagini e paragoni. Si diventa vincitori insieme ai protagonista, si soffre quando loro soffrono e così via. Eclipse è così. Non è un disco che parla di emozioni, di sentimenti o di qualcosa del genere ma la magia dei Diabolical sta nel portare l'ascoltatore a vivere dentro al mondo che viene cantato e suonato.

Diabolical

Prendo due brani da questo lavoro.
Il primo è We Are Diabolical, brano d'apertura di questo lavoro. Sin da subito viene messo in chiaro che questo è un lavoro di una costruzione musicale quasi architettonica. Ogni sovrapposizione vocale, ogni arrangiamento rispondono a una volontà. Questo brano non è mai statico o monotono, si evolve in modi anche impensabili lasciando molto chiaro che c'è una grande ambizione dietro a questo disco.
Il secondo è Hunter. Meno articolato del primo ma non per quello meno effettivo. Perché, tornando al paragone letterario, una storia si scrive attraversando tanti momenti e questo è il momento della tensione, di quella caccia che deve portare ad abbattere la preda, musicalmente è quello che ci viene restituito. 


Eclipse deve dunque essere visto come un relato fantascientifico ma anche come una riflessione di quello che è il mondo, di quella mania di dividere tutto tra buono e cattivo. Come detto in precedenza l'intento dei Diabolical da buonissimi risultati perché questo è un disco che si ascolta con piacere, con la voglia e la curiosità di sapere come si svilupperà tutto il discorso. E quello è già tanto.

Voto 8,5/10
Diabolical - Eclipse
Indie Recordings
Uscita 15.02.2019

lunedì 11 febbraio 2019

Windswept - The Onlooker: il carillon stonato

(Recensione di The Onlooker dei Windswept)


Un carillon è uno degli oggetti più affascinanti e contraddittori che rappresentano l'infanzia. Non è soltanto il loro suono, il loro modo di diventare preziosi ma anche quello che significa un carillon rotto, la cui melodia ha sofferto piccole aritmie e modulazioni inarmoniche. Per quello è un oggetto che spesso si utilizza per simbolizzare la profanazione della purezza infantile, infliggendo così una delle peggiori ferite che possa essere concepite. Ecco la contraddizione, più prezioso si è più fragile si diventa.

Non è un caso se The Onlooker, secondo disco degli ucraini Windswept inizia proprio col suono di un carillon. E' la porta d'ingresso verso le sensazioni che governano questo lavoro. Un'inquietudine che accompagna tutte le tracce ma un'inquietudine poetica che si nutre di un'immaginario letterario, fatto da figure mitologiche che sintetizzano le nostre paure. Lì dove il raziocinio non arriva entra in gioco la poesia. Mi spiego meglio, diventa più semplice creare dei miti che affrontare certe idee devastanti, perché "umanizzare" quelle idee permette di alleggerire qualcosa che diventa troppo pesante. Ecco, per me questo disco è pieno di quelle figure, anzi fa di quelle figure il centro della scena per poter affrontare tante tematiche in un modo poetico, metaforico, anche romantico se si vuole. Alla fine l'arte esiste per tradurre emozioni in un modo che sia molto più effettivo, questo è l'intento di questo lavoro.

Windswept

E' potrebbe sembrare molto strano che sia così, perché The Onlooker è un disco di black metal dove tante cose potrebbero sembrare cupe, violente e devastanti ma la magia avviene nel sotto-testo. Da quella lettura più approfondita verrà fuori la vera intenzione dei Windswept. Cioè quella di raccontare storie che in realtà custodiscono dei discorsi importanti legati a quello che da sempre c'impaurisce. Questo disco è come un libro scritto da un'abile mente che riesce a far riflettere con ogni nuova frase. Per quello il mio consiglio è quello di scavare dentro a questo disco e di cercare i messaggi che devono portarci ad interrogarci su tante cose e a avere una visione chiara di quello che siamo, quello che amiamo e quello che ci spaventa.

The Onlooker è un'opera che rientrerà nelle grazie di chi predilige gli insegnamenti che arrivano attraverso le storie e i racconti. Per quello la sua poetica fonte ha il suono di quel carillon che ogni tanto fa ascoltare una nota fuori tempo e stonata. Sono le stonature quelle che portano d'avanti questo lavoro dei Windswept perché dietro a ciascuna nota che "suona male" c'è una motivazione ed è molto più interessante cercare di capire quello che non va da quello che invece funziona alla perfezione. 

Pesco due brani che spiegano meglio tutto ciò.
Il primo è Stargazer che ci introduce subito dentro al mondo musicale voluto dalla band. Un black metal vecchia scuola, rozzo ma onesto, cupo e poetico. E subito ci si abitua a cercare oltre la superficie, a collegare le diverse note che ascoltiamo in modo di formare una melodia che non è altro che la voce narrante di questa storia.
Il secondo è Bookworm, Loser, Pauper. Molto più diretto, più crudo, più rabbioso ma non per quello meno poetico del primo. Perché ogni storia dev'essere raccontata in modo diverso. Qualche volta la premessa è d'obbligo, altre volte è inutile, per esempio in questo caso.



The Onlooker è uno di quei lavori dove la bellezza oscura supera tutto il resto. La capacità di costruire un discorso musicale che sia d'impatto non per la potenza, non per la materia di quello che si racconta ma per il modo che si utilizza per raccontarlo è la chiave di svolta di questo lavoro dei Windswept, lavoro da gustarsi con il giusto mood.

Voto 8/10
Windswept - The Onlooker
Season of Mist
Uscita 08.02.2019

venerdì 8 febbraio 2019

Membrane - Burn your Bridge: la liberazione brucia i ponti

(Recensione di Burn your Bridges dei Membrane)


Una cosa che mi sono sempre chiesto è quale sia il colore che la gente associa alla propria vita. Sembra una banalità ma in genere tutto quello che riguarda gli argomenti di conversazione a livello d'opinione pubblica è prevalentemente negativo. Morte, corruzione, povertà, crimini, disastri. Viviamo circondati da insoddisfazione, da lamentele ma nessuno fa nulla per cambiare. Nessuno riesce veramente a far girare tutto quanto in modo che la vita sia prevalentemente positiva. Come se l'esistenza umana dovesse per forza essere cupa e negativa.

Burn your Bridges

La musica ha tanti colori, ha tante capacità di tradurre in arte quello che si vive e sente. In un certo modo certi generi possono essere fedelmente accostati a certe sonorità piuttosto di altre. Burn your Bridges è un disco che va dal grigio noise al rosso sangue. Questo nuovo album dei francesi Membrane vuole essere pesante, acido, difficile da digerire. E ci riesce benissimo perché mette insieme tanti elementi che ci mettono di fronte alla parte più difficile d'affrontare nella vita. Cioè quella che non soltanto non ha nulla a che fare con noi stessi ma ci provoca anche sensazioni negative. Questa parte diventa protagonista, s'insinua tra tutte le note con più o meno intensità diventando un motore che sa dove deve portarci. E' giusto, però, fare una precisazione, perché potrebbe sembrare che questo disco sia profondamente negativo, quasi aggressivo nel suo modo di porsi e invece non è così. Questo stato d'animo diventa la guida di questo disco senza cadere in discorsi semplici, né positivo né negativo.

Burn your Bridges

Burn your Bridges prende anche un'altra lettura assolutamente interessante, cioè quella dell'importanza della rottura quando c' è la necessità della liberazione. Quando il coraggio significa affrontare con forza e dolore un distacco. I Membrane lasciano in evidenza questa necessità. Non vendono illusioni, non cercano metafore trite e ritrite che non portano da nessuna parte. Ci fanno vedere e capire come stanno le cose e ci fanno intraprendere quella strada. Per quello il loro insieme di generi mette dentro il noise, il post hardcore e certi elementi dello sludge, tutti generi che si contraddistinguono per il nullo bisogno di sembrare piacevoli. Ancora una volta torniamo all'idea che il messaggio deve arrivare dritto alla testa, senza prendere alcun genere di scorciatoia. Dritto e pesante.

Burn your Bridges

I ponti sono quelli che ci legano alla terra ferma, ma sono anche quelli che non ci permettono d'isolarci completamente. Bruciare i ponti significa rinunciare ma significa anche liberarsi. Forse questa è l'idea fondamentale dietro a Burn your Bridges dei Membrane. Un atto di coraggio, di forza e di una consapevolezza che non è alla portate di tutti.

Membrane

Prendo due interessanti brani da questo disco.
Il primo è l'omonimo Burn your Bridges, punto centrale di questo lavoro, punto di svolta, punto d'intimità. L'intimità che viene data da un'unica chitarra pulita e da una serie di voci che non urlano ma sussurrano il proprio messaggio, perché è un messaggio che deve, per forza arrivare dentro.
Il secondo è Fragile Things, fragile dentro a quello che noi vogliamo che sia fragile, a quello che c'insegnano che è la fragilità, forse perché conviene che sia visto così. Brano acido, intenso, vissuto.


Burn your Bridges diventa così un lavoro che fa riflettere per capire quanto sia importante rompere con la normalità, con quello che ci spacciano come normale, col mondo che impone certe idee dalle quali sembra che non ci sia via d'uscita. Un lavoro intenso, dove il grigio e il rosso che si fondono prendono i colori della liberazione. Bella prova dei Membrane.

Voto 8/10
Membrane - Burn your Bridges
Atypeek Music
Uscita 11.02.2019

domenica 3 febbraio 2019

Labirinto - Divino Afflante Spiritu: l'intelligenza dell'unicità

(Recensione di Divino Afflante Spiritu dei Labirinto)


Perché mai a qualcuno in un qualsiasi posto al mondo dovrebbe venire in mente di fare qualcosa che nessun'altro fa intorno a sé? Perché mai qualcuno dovrebbe buttare le energie di anni ed anni in un progetto che non trova un eco immediato nel suo intorno? Perché mai qualcuno dovrebbe scegliere le strade più difficili invece di quelle più semplici? Perché siamo vivi, perché siamo unici, perché per più che vogliano indirizzarci in un punto solo noi facciamo quello che sentiamo, quello che ci fa innamorare, quello che ci riempe. Questo è un invito a uscire dalla strada e percorrere le lande inesplorate per il puro piacere di sentirsi vivo.

Divino Afflante Spiritu

Forse per chi si trova in Europa non è semplice avere la dimensione reale di quello che significa fare certi generi musicali in Latino America. Sarà una cosa culturale o un modo di vivere la vita ma certi generi trovano uno spazio così ricco che si nutre da fan scatenati ma altri invece stentano a crescere. Latino America è passionale, è energia, è rabbia, è malinconia. In questo contesto il fatto che una band come i Labirinto sia alle porte di pubblicare il suo decimo album è un'anomalia squisita. Il loro post rock, post metal sembra non essere sintonizzato sulla stessa lunghezza d'onda di quelle che possono essere le esigenze di un pubblico come quello brasiliano o sudamericano. Forse perché l'idea di canzone lì è fondamentale, perché le parole sono il legame più forte da creare e nutrire. E invece eccoli con il loro Divino Afflante Spiritu a regalarci una serie di brani intensi, sentiti, trascinanti, oscuri. Nulla a che fare con i cocktail dolciastri guardando il tramonto su un'infinita spiaggia. Brani densi che scorrono pesanti e intensi. Come se questo disco fosse nato in quelle nazioni dove l'inverno devi buttarti dentro alla sala prove e creare, creare e creare perché non puoi fare altro.

Divino Afflante Spiritu

Ma perché un gruppo brasiliano riesce a far nascere delle creature come queste? Credo che qui si racchiude la forza di Divino Afflante Spiritu. In questo disco i Labirinto fanno un lavoro poetico convertendo in musica quello che vivono e vedono. Brasile è un gigante pieno di problematiche sociali che sembrano accentuarsi nel caotico momento attuale che attraversa quasi tutti i paesi del mondo. Sarebbe facile buttarci giù due parole di protesta e incollarle con due accordi ma è un discorso fatto e rifatto. Invece loro riescono a prendere l'anima di questa rabbia, di quest'incertezza, di questa sensazione di sbagliato e la mettono a favore di un discorso musicale molto più trascendente, molto più alto e importante. L'oscurità della loro musica è spirituale, sentita, punzecchiante, vivida. Il loro post rock disegna lo stato della società attuale, la loro rabbia musicale diventa materia e viene utilizzata a dovere per costruire un panorama unico. Per quello s'intrecciano altri discorsi come quello del post metal, dello sludge e delle sfumature drone. Un intervento artistico tutt'altro che scontato e facile. 

Divino Afflante Spiritu

Sicuramente coinciderete con me nel dire che i brasiliani sono tra le persone più passionali di questo mondo. Ecco Divino Afflante Spiritu è un disco che trasuda passione, una passione costruita con l'intelligenza, con la capacità di prendere quello che si vive e trasformarlo in musica. I Labirinto fanno qualcosa di prezioso perché non è qualcosa semplice, non è qualcosa che tutti fanno, non è qualcosa che appartiene al DNA del Brasile ma lo fanno così bene che viene fuori un disco universale.

Labirinto

Pesco due brani da questo bellissimo lavoro.
Il primo è Agnus Dei, unico brano cantato di questo disco grazie al featuring di Elaine Campos, cantante brasiliana che riesce a regalare vocalmente quello che la band fa strumentalmente. Una rabbia viscerale che non diventa gratuita e semplice ma che ha uno sfondo profondo, ragionato, strutturato e intelligente. 
Il secondo è la title track, Divino Afflante Spiritu. Forse il brano più emotivo e toccante di questo disco. In un certo modo epico per la grandiloquenza che acquista. La qualità della band e il proprio percorso musicale viene completamente messo in evidenza con questo brano. Quest'intreccio tra malinconia, potenza, passione e un senso d'astrazione che fa osservare tutto da una certa distanza.


Divino Afflante Spiritu diventa pertanto un lavoro di grande intelligenza. L'intelligenza che spesso rende unico chi non insegue le stesse cose degli altri e non si lascia trasportare dalle prime reazioni. L'intelligenza è il marchio di fabbrica dei Labirinto, abili nel creare un discorso musicale che poco e nulla ha a che fare col loro intorno, e pure così il risultato coniuga magistralmente la loro scelta musicale con le sensazioni emotive che vivono ogni giorno. 

Voto 9/10
Labirinto - Divino Afflante Spiritu
Pelagic Records
Uscita 08.02.2019

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