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lunedì 6 maggio 2019

Numenorean - Adore: solo nel vuoto sapiamo chi siamo

(Recensione di Adore dei Numenorean)


Quanto è inattesa la vita? Avete mai provato a pensare dove immaginavate di essere o dove siete veramente? Non c'è un peggio o un meglio. La vita, per me, non è un rimpianto. Anche nei momenti più difficili c'è sempre la consapevolezza di esistere e di capire che quell'esistenza genera una serie immensa d'interazioni e quello mi mantiene vivo, felice, soddisfatto. L'evoluzione di quello che viviamo viene dettata da noi, da quello che impariamo, dagli errori che commettiamo ma anche dalla forza che ci imponiamo per essere migliori. Tutto ha un senso anche quando sembra non avere senso, tutta distruzione significa ricostruire meglio dalle macerie. Tutta la bellezza si svela, pura, per quello che è. Come la musica.

Adore

Adore è l'atteso secondo album dei canadesi Numenorean. Gruppo che aveva lasciato un alto livello di aspettative grazie al loro post black metal sviluppato magistralmente nel loro debutto. Questa è un'informazione da tenere in grande considerazione perché per analizzare questo nuovo lavoro bisogna tenere in considerazione il coraggio messo in campo, il loro modo di costruire un disco prendendo delle scelte che sembrano rispondere a un'unica motivazione: fare un disco intenso, che non lascia mai e poi mai l'ascoltatore in balia di automatismi o strade a senso unico. Ma l'aspetto più interessante è che per arrivare a un punto come quello in tanti scelgono di fare diventare complessa la musica, di aggiungere quante più stranezze possibili, e in molti casi, quando non ci sono forzature, è qualcosa che funziona molto bene. Per questa band, invece, non ci sono limiti. Questa dinamicità viene data da un'apertura mentale, dal costruire dei momenti toccanti, dal pulire al massimo una melodia e poi, in un secondo momento, sporcarla con elementi che arricchiscono e basta.

Adore

La forza di questo lavoro sta proprio in quello. Nel non dover aspettarsi nulla perché quello che si ritrova è ancora migliore. C'è un senso di sorpresa, un contrasto crescente che, col passare di ogni minuto, ci porta a dimensioni preziose. Adore diventa veramente un disco da adorare, da ascoltare senza sosta, da ficcarsi in testa senza mai distogliere tutto quello che ci da. E' uno di quei dischi che, generalmente, definisco come i miei dischi del momento, perché ascoltarlo non stanca e perché diversi brani rimangono impressi profondamente. A questo punto partire dalla definizione post black metal è un arma di doppio taglio. Da una parte effettivamente prevale quello spirito e ci arriva con ogni singola canzone, da un'altra diventa molto riduttivo. Ma la difficoltà, in quanto recensore (qualsiasi cosa voglia dire esserne uno), sta nell'individuare altri generi che s'intrecciano in questa danza cosmica musicale. La musica dei Numenorean sembra prendere la strada dell' alternative metal, dell'atmospheric metal, del post rock e, forse cosa non tanto evidente, del progressive metal. Ma come avviene con i lavori ben costruiti questa comunione non risulta violenta, incongruente o sbagliata. Tutto combacia, tutto cresce, stabilendo così una nuova formula che diventa naturale. Questa è la grazia, e lo scoppo, di un gruppo che sa fare le cose per bene.

Adore

Entrare nel mondo di Adore è attraversare un portale che ci guida dentro al senso dell'esistenza, dell'assenza, della mancanza, della delusione, della sofferenza. Potrebbe sembrare un disco cupo, triste, costruito con storie che non conoscono un lieto fine, con la forza struggente del vuoto ma forse è proprio lì che l'energia migliore esiste e ci fa crescere. E' proprio nel limite che tutto quello che non sembra avere senso prende più senso che mai. Perché di fronte al vuoto non siamo mai soli, per la proma volta sentiamo la nostra propria voce. Questo è il, prezioso, messaggio dei Numenorean.

Numenorean

Mi è molto difficile limitarmi a consigliare un numero chiuso di tracce ma provo a fermarmi a tre.
La prima è Horizon. Forse all'inizio rimane molto chiaro il concetto di post black metal ma lo sviluppo del brano permette di capire che non si può ridurre tutto solo a quello. E' un brano che cambia pelle, che si nutre di grinta, energia ma anche di pause. Di tappetti strumentali struggenti, della bellezza che un musicista sa d'aver raggiunto quando mente e strumento dialogano senza filtri. E' un brano che emoziona. Bellissimo, da ascoltare milioni di volte.
La seconda è Regret. In questo brano credo che sia abbastanza chiaro il modo nel quale la band lavora con l'energia dei propri brani. Mai eccessi ma mai perdite sotto una certa soglia. Un modo funzionale che non lascia mai l'ascoltatore da solo.
La terza è Stay. Uno dei momenti più toccanti del disco. La conferma che per scrivere canzoni intramontabili qualche volta basta una sola frase. Un brano da innamorarsi, una preghiera sommersa nella profondità del suo significato. Bellezza pura.


Chi ha letto questa recensione non avrà alcun dubbio nel dire che evidentemente Adore è un disco che ho apprezzato profondamente. Ma questo ben poco importa, perché i gusti sono gusti e mai mi sono imposto che a tutti deva piacere quello che a me piace. Quello che veramente m'interessa che arrivi a chi leggerà questa recensione è che questo lavoro dei Numenorean è un lavoro bellissimo, originale, complesso ma non complicato e, soprattutto, emotivo. Bisogna affrontare il vuoto per conoscersi veramente.

Voto 9/10
Numenorean - Adore
Season of Mist
Uscita 12.04.2019

martedì 19 febbraio 2019

Rotting Christ - The Heretics: la forza di opporsi

(Recensione di The Heretics dei Rotting Christ)



Non voglio addentrarmi in una tematica che è sempre molto controversa, cioè quella della religione. Ma anche non volendomi addentrare credo che sia lecito dire come la penso. Per me la religione, qualsiasi essa sia, è sbagliata quando diventa imposizione e annullamento della dimensione personale ed individuale. La religione deve essere un raduno di idee che si aggirano intorno alla fede e non un'imposizione di come bisogna vivere e delle decisioni che ciascuno deve prendere nella propria vita. Per quello non mi sono mai avvicinato ad alcuna religione e dubito di farlo mai.

Ricordo che di recente ho letto che i Rotting Christ erano stati arrestati nell'aeroporto di una ex-repubblica sovietica, se non sbaglio in Georgia. La notizia mi ha fatto sorridere amaramente perché mi ha riportato indietro nel tempo quando vivevo in un Cile che, ancora sotto dittatura di Pinochet, impedì l'arrivo degli Iron Maiden per le pressioni della chiesa locale. Quando la chiesa vuole imporre il proprio pensiero a tutte le persone vuol dire che abbiamo un problema. Non dovrebbe succedere che le persone in modo spontaneo si avvicinino ai tempi?
Forse The Heretics nasce un po' sotto quest'ottica. Forse è un disco vuole evidenziare tutto quello che non funziona e che non ha funzionato in un'istituzione come quella. Forse vuole sottolineare il coraggio di chi, quando i tempi erano diversi , ha avuto il coraggio di dire basta e di non piegarsi ai voleri e le imposizioni religiose.
La cosa triste è che dopo secoli e secoli non tutto è cambiato. Dopo secoli e secoli il potere della chiesa va oltre al discorso di fede, sacrosanto ma puntuale.

The Heretics

Musicalmente The Heretics è un disco che si presenta granitico, compatto e contundente. Sembra che i Rotting Christi abbiano trovato una formula nella quale si trovano comodo e sanno di riuscir a tirare il meglio di loro stessi. Che genere viene suonato? Difficile da definire. Forse dark metal è la migliore definizione. Elementi black che si mescolano col death ma che vengono sintetizzati in modo di far nascere delle canzoni che sanno dove puntare e dove colpire. Non ci sono vedute diverse, non ci sono obiettivi diversi tra la parte musicale e quella lirica, tutto ha un bersaglio che deve essere colpito in pieno. La cosa bella è che per colpirlo non sono necessari artifici o sviluppi complessi. Subito ci viene messo d'avanti agli occhi quello che va rivisto e quello che la band vuole evidenziare e subito il "proiettile" arriva. Diretto, pulito, esperto. 30 anni di esperienza si notano e trasparono in tutte le note suonate in questo nuovo disco.

Mi verrebbe da questionarmi sull'effettività che può avere un disco come The Heretics, perché magari siamo abituatati ad altre sonorità e altre intensità quando si ha a che fare con tematiche come questa. Ci si aspetta una rivoluzione sonora, una violenza musicale che distrugga. Ed invece l'intelligenza dei Rotting Christ, e la loro esperienza si vede da come riescono a mettere in piedi questo lavoro. Un'intensità costante, continua e sicura, la chiarezza di dove colpire, non con la forza ma con la ragione.

Rotting Christ

Prendo due brani che, credo, illustrano fedelmente quello che ho voluto descrivere fino a questo punto.
Il primo è The Time Has Come. Qui c'è un po' la sintesi di quello che è questo disco. Ritmiche ipnotiche e reiterative, riff di chitarra pesanti e concreti, cori quasi gregoriani che s'incrociano con voci recitate. Il mistico e profano che s'intrecciano.
Il secondo è In the Name of God. Come si colpisce al meglio un nemico? Forse parlando il suo stesso linguaggio, forse addentrandosi così tanto da sembrare uno di loro. La ferita più grande è quella che viene inflitta dall'interno. Fare le cose nel nome di un Dio è una scusa e questo brano lo evidenzia. 


The Heretics è un lavoro d'intelligenza, di arguzia, di sensibilità e di rottura. Non ha bisogno di essere spettacolare, violento, impattante. Non serve tutto ciò. Serve l'intelligenza che fa crescere il dubbio, che fa aprire gli occhi alla capacità di porsi delle domande e tutto ciò è presente in questo lavoro dei Rotting Christ.

Voto 8/10
Rotting Christ - The Heretics
Season of Mist
Uscita 15.02.2019

lunedì 11 febbraio 2019

Windswept - The Onlooker: il carillon stonato

(Recensione di The Onlooker dei Windswept)


Un carillon è uno degli oggetti più affascinanti e contraddittori che rappresentano l'infanzia. Non è soltanto il loro suono, il loro modo di diventare preziosi ma anche quello che significa un carillon rotto, la cui melodia ha sofferto piccole aritmie e modulazioni inarmoniche. Per quello è un oggetto che spesso si utilizza per simbolizzare la profanazione della purezza infantile, infliggendo così una delle peggiori ferite che possa essere concepite. Ecco la contraddizione, più prezioso si è più fragile si diventa.

Non è un caso se The Onlooker, secondo disco degli ucraini Windswept inizia proprio col suono di un carillon. E' la porta d'ingresso verso le sensazioni che governano questo lavoro. Un'inquietudine che accompagna tutte le tracce ma un'inquietudine poetica che si nutre di un'immaginario letterario, fatto da figure mitologiche che sintetizzano le nostre paure. Lì dove il raziocinio non arriva entra in gioco la poesia. Mi spiego meglio, diventa più semplice creare dei miti che affrontare certe idee devastanti, perché "umanizzare" quelle idee permette di alleggerire qualcosa che diventa troppo pesante. Ecco, per me questo disco è pieno di quelle figure, anzi fa di quelle figure il centro della scena per poter affrontare tante tematiche in un modo poetico, metaforico, anche romantico se si vuole. Alla fine l'arte esiste per tradurre emozioni in un modo che sia molto più effettivo, questo è l'intento di questo lavoro.

Windswept

E' potrebbe sembrare molto strano che sia così, perché The Onlooker è un disco di black metal dove tante cose potrebbero sembrare cupe, violente e devastanti ma la magia avviene nel sotto-testo. Da quella lettura più approfondita verrà fuori la vera intenzione dei Windswept. Cioè quella di raccontare storie che in realtà custodiscono dei discorsi importanti legati a quello che da sempre c'impaurisce. Questo disco è come un libro scritto da un'abile mente che riesce a far riflettere con ogni nuova frase. Per quello il mio consiglio è quello di scavare dentro a questo disco e di cercare i messaggi che devono portarci ad interrogarci su tante cose e a avere una visione chiara di quello che siamo, quello che amiamo e quello che ci spaventa.

The Onlooker è un'opera che rientrerà nelle grazie di chi predilige gli insegnamenti che arrivano attraverso le storie e i racconti. Per quello la sua poetica fonte ha il suono di quel carillon che ogni tanto fa ascoltare una nota fuori tempo e stonata. Sono le stonature quelle che portano d'avanti questo lavoro dei Windswept perché dietro a ciascuna nota che "suona male" c'è una motivazione ed è molto più interessante cercare di capire quello che non va da quello che invece funziona alla perfezione. 

Pesco due brani che spiegano meglio tutto ciò.
Il primo è Stargazer che ci introduce subito dentro al mondo musicale voluto dalla band. Un black metal vecchia scuola, rozzo ma onesto, cupo e poetico. E subito ci si abitua a cercare oltre la superficie, a collegare le diverse note che ascoltiamo in modo di formare una melodia che non è altro che la voce narrante di questa storia.
Il secondo è Bookworm, Loser, Pauper. Molto più diretto, più crudo, più rabbioso ma non per quello meno poetico del primo. Perché ogni storia dev'essere raccontata in modo diverso. Qualche volta la premessa è d'obbligo, altre volte è inutile, per esempio in questo caso.



The Onlooker è uno di quei lavori dove la bellezza oscura supera tutto il resto. La capacità di costruire un discorso musicale che sia d'impatto non per la potenza, non per la materia di quello che si racconta ma per il modo che si utilizza per raccontarlo è la chiave di svolta di questo lavoro dei Windswept, lavoro da gustarsi con il giusto mood.

Voto 8/10
Windswept - The Onlooker
Season of Mist
Uscita 08.02.2019

domenica 6 gennaio 2019

Mark Deutrom - The Blue Bird: la ribellione alla macchina della felicità

(Recensione di The Blue Bird di Mark Deutrom)


Nella musica tutto tende a racchiudersi nella figura dei musicisti, molto spesso dando molta più importanza alla figura del cantante e del o dei chitarristi. Me ci sono tante altre figure che molto spesso riescono a essere la chiave o il fallimento di un gruppo. Un buon manager può garantire la visibilità necessaria di una band, invece uno cattivo può creare conflitti e obbligare a scendere a compromessi non sempre appaganti. Un buon produttore può far crescere la capacità musicale riempiendo le lacune che per inesperienza si presentano. Ci sono tante altre figure che possono aiutare o meno una band ma tutto ciò dimostra che la musica è un meccanismo complesso che va oltre al semplice fatto di suonare.

Per più di qualcuno il nome di Mark Deutrom equivale a nominare uno dei personaggi chiavi nello sviluppo musicale del rock e il metal negli ultimi 30 anni. Per chi invece non lo conosce basta sapere che sia come musicista che come lavoratore discografico va accostato a nomi celebri come i Melvins, i Neurosis e i Sunn O))). Già questo biglietto di visita dovrebbe bastare per catturare l'attenzione di qualsiasi amante della musica ma credo che sia importante osservare, analizzare e tirare le conclusioni di qualsiasi lavoro ascoltandolo senza prendere in considerazione alcun aspetto "curricolare". Per quello nell'ascolto di The Blue Bird ho provato a farmi trasportare dalle tracce contenute in questo lavoro senza considerare chi ci fosse dietro a questo progetto. Per onestà devo aggiungere che in passato, ascoltando altri lavori dello stesso musicista, non ero rimasto necessariamente entusiasta. Invece questo nuovo lavoro ha degli aspetti veramente unici che regalano un punto di vista particolare e vivamente interessanti. Tutto suona bene, nella costruzione di un universo sonoro che si nutre di nostalgica eleganza e di ricercata ambizione. Dunque un primo aspetto che sorge spontaneo è che questo è un disco pieno di personalità.

The Blue Bird

The Blue Bird è un disco con una marcata impronta statunitense. Ha quel tocco di profonda malinconia che è passata a essere una cicatrice così caratteristica da diventare l'aspetto più riconoscibile di qualcuno. L'abilità, però, di Mark Deutrom sta nel non rimanere fermo in un'unica direzione. Per quello i suoi brani prendono diverse vie. Si colorano di energia o si svuotano. Cercano particolari arrangiamenti o arrivano diretti, così come sono. Tutto dentro a un art rock molto dinamico e mobile. A tratti ricorda i Pink Floyd, a tratti la sua musica sembra venire fuori da una puntata di Twin Peaks. Tutto fatto con grande coerenza, senza mai forzare la mano, ne in una direzione ne nell'altra. Lo scopo è chiaro, la sua musica diventa una continua ricerca di un qualcosa che assomiglia alla felicità, ma non è una felicità banale o imposta. La sua felicità si nasconde nel fondo di una bottiglia di birra, nel pomeriggio di sole percorrendo una strada deserta, nella carezza al cane fedele. Nel gesto oltre le parole. E curiosamente anche se c'è questa ricerca dietro questo è un disco malinconico, blu come blu è la sua copertina.

The Blue Bird

In un certo modo la musica spesso ci fornisce delle risposte a domande esistenziali, riuscendo a essere molto più esaustivo di tanti saggi. Quello perché l'empatia che si genera tra musica e ascoltatore è un vincolo sacro e potente. Ecco, The Blue Bird è un disco che parla al cuore di chi ama i dettagli, di chi trova più conforto ascoltando il vento piuttosto che l'assordante televisione. Ma occhi, che la musica di Mark Deutrom è ricca, complessa, ricercata come la dinamicità che ha dentro, perché quel genere di persone è il genere di persona più ricca, complessa e ricercata. Insomma, nessun spazio per la banalità.

Mark Deutrom

Prendo tre brani da questo lavoro.
Il primo è O Ye of Little Faith. Energico e sostenuto per poi virare verso un psichedelico giro sul quale si sviluppa un perfetto assolo di chitarra. Tutto con una sonorità acida, che mette in evidenza uno strato di fumo che nasconde quello che veramente c'è.
Il secondo è Somnambulist. Di nuovo c'è una grande componente psichedelica costruita con chitarre piene di reverb, bassi profondi, mai eccessivi e ritmi di batteria mid-tempo. E' tutto ciclico, un vortice che cattura e non libera senza per quello dover girare velocemente. E' un vortice ipnotico, non distruttivo. 
L'ultimo che scelgo è The Happiness Machine. Brano schiacciante, come se la felicità potesse essere imponibile al punto di fabbricarla e distribuirla. Cosa che in realtà succede perché nella nostra società cercano già di avere per buona la felicità che ci vogliono spacciarci, che in realtà è un involucro che racchiude in vuoto. Felicità vuota per menti vuote.


The Blue Bird è un disco che ha così tanta personalità da non avere bisogno delle credenziali di Mark Deutrom. E' un disco che funziona per via di questa personalità, del modo nel quale vengono toccati degli argomenti esistenziali con una grande chiarezza. Musicalmente tutto è un riflesso di queste idee, di questo modo di costruire mondi strutturati che sembrano allo stesso tempo molto semplici. Mica roba semplice. 

Voto 8,5/10
Mark Deutrom - The Blue Bird
Season of Mist
Uscita 04.01.2019

domenica 2 dicembre 2018

Sarah Longfield - Disparity: i colori vivi fanno più luce

(Recensione di Disparity di Sarah Longfield)


Bisogna rassegnarsi. I tempi cambiano, il modo di comunicare cambia, il modo di farsi conoscere cambia. Adesso diventa alla portata di ognuno avere la capacità di farsi conoscere e di espandere i limiti della propria musica e della sua creazione. Per quello non c'è da stupirsi se qualcuno fa fama autogestendosi su YouTube o su altri social. E in fondo creo che sia un bene, perché l'unico filtro che decreta se qualcuno deve essere conosciuto o meno è la qualità. Chi ce l'ha arriva lontano, chi non viene svelato velocemente.

Disparity

Devo dire che per pregiudizio ero un po' perplesso prima di ascoltare Disparity. Lo ero perché leggendo la biografia di Sarah Longfield e vedendo che veniva definita come una chitarrista virtuosa avevo molta paura d'inciampare su un disco di allucinanti linee di chitarra più focalizzate a dimostrare la bravura dell'esecutrice piuttosto di raccontare una storia. E invece mi sono ritrovato di fronte a un disco squisito, ricco di sfumature dove la musica sembra essere in linea con la voglia di comunicare delle cose particolari. C'è del virtuosismo ma in una giusta quantità, mai asfissiante. Ma la cosa fondamentale è che c'è varietà, c'è dolcezza e intimità e ci sono dei veri quadri colorati dipinti dalla musica e dal bel canto della Longfield. Tutto quanto ad allontanare l'idea di virtuosismo che, dal mio umile punto di vista, spesso fa perdere l'interesse per una costruzione musicale diventando una mera dimostrazione di abilità tecnica. Quest'album, che ha come unico difetto la corta durata, 29 minuti, non è tanto dispari quanto vario. E' un lavoro che dipinge mondi fantastici molto onirici che mutano forma e sostanza come in un film fantascientifico. 

Disparity

Credo che il miglior esempio per capire Disparity stia nel pensare che la Sarah Longfield viene definita una "guitar hero" e in questo disco ci sono dei brani senza chitarra. Indubbiamente entra in gioco la caratteristica di multi strumentista della statunitense ma non è solo quello. Sarebbe stupido non riconoscere che il lavoro della chitarra è assolutamente pregevole, non scontato e difficile da uguagliare ma non è mai un disco che giri soltanto intorno alla capacità strumentale o al protagonismo di quello strumento. Al contrario, quando c'è voce viene illuminato solo quell'aspetto. Questo disco deve essere definito come prog andando dal progressive rock per finire nel prog shred passando dal progressive metal ma io aggiungerei volentieri un aspetto fusion, perché questo lavoro regala volentieri delle misture di generi seguendo la filosofia di una attenta apertura mentale e musicale. E questo forse questo è l'aspetto che può rappresentare il trionfo di questo disco, pronto a essere apprezzato a lunga scala da un pubblico molto diverso.

Disparity

Disparity è un mondo dipinto con colori caldi e con la voglia di vivere il futuro. Sarah Longfield ha la capacità di costruire un disco futurista ed ottimista. Per quello ascoltando la sua creazione sono molti gli impulsi che evidenziano che le fonti che dissetano la capacità musicale della protagonista sono molte e vengono miscelate ottenendo una frescura piena di gusto. Quando il disco finisce si ha la sensazione di aver passato una piacevolissima mezz'ora in un altro mondo.

Sarah Longfield

Prendo tre canzoni dove, dal mio punto di vista, il disco tocca le vette più alte.
La prima è Embracing Solace. L'ho scelta perché rimane in evidenza l'intensione musicale che si cella dietro a questo lavoro, cioè l'assemblaggio di veri e propri quadri musicali , costruiti con intelligenza e senza alcun eccesso. Il lavoro di chitarra è squisito e misurato, le armonizzazioni vocali vellutate e il riempimento delle tastiere la giusta chiusura del cerchio.
La seconda è Departure. Voce bellissima e molto spazio al lavoro di chitarra che lascia assolutamente in chiaro che il virtuosismo c'è ma non serve dare spazio a pirotecnia ma basta sapere quando e come entrare.
Il terzo è Sun. Anche in questo caso la chitarra si mette in bella mostra, ma l'aggiunta di altri strumenti come il saxofono danno un tocco globale a un brano che ancora un'altra volta ci regala delle bellissime sovrapposizioni vocali. Forse questo è il momento dove si nota molto di più quella nota di fusion.

Disparity è una di quelle esperienze che non meritano altra definizione che luminosa. E' un disco che fa stare bene e fa apprezzare la bellezza del mondo. La capacità di Sarah Longfield sta nel riuscire ad inglobare tutto quello che serve per mettere in piedi un lavoro del genere senza mai eccedere. Meno virtuosismo e più tecnica, meno egolatria e più potere compositivo. Un risultato luminoso.

Voto 8,5/10
Sarah Longfield - Disparity
Season of Mist
Uscita 30.11.2018

mercoledì 21 novembre 2018

Esben and the Witch - Nowhere: appartenere all'oscurità, desiderare la luce

(Recensione di Nowhere degli Esben and the Witch)



Non ho alcun dubbio nell'affermare che questo blog è letto, quasi esclusivamente, da chi è annoverato tra i "diversi" della società. Cioè tutte le categorie di persone che sono quanto più lontano possibile dall'omologazione che ingloba quasi tutti. Ed è un onore che così sia, anche se la mia "lotta" è sempre stata quella di aprire nuove crepe nei muri della "normalità" in modo di fare entrare la luce e i suoni, o le ombre e i rumori, che fanno parte dell'universo musicale che mi e ci affascina. Dunque, è bello essere "diverso" per il solo gusto di esserlo o perché la "normalità" fa schifo?

Nowhere

Nowhere è il quinto disco del trio inglese Esben and the Witch e il suo titolo è già un indizio fondamentale. Da nessuna parte ma allo stesso tempo ovunque. Nowhere ha quella dualità, quella di essere un disco così cupo ed introverso da implodere ma di essere, anche, un aspetto universale e sempre presente. E' una lotta tra voler passare inosservato e urlare la natura più oscura del mondo. Nowhere è ritrovarsi chiusi in una stanza completamente buia e non desiderare altro che un minimo raggio di luce che ci faccia da guida. Infatti la luce è un elemento molto ricorrente in parte di questo disco. Ma la cosa devastante è la confessione di essere un disco costruito con l'oscurità, come se il desiderio di luce non fosse altro che un urlo per andare oltre alla propria natura. E se difficilmente si può scappare via da qualcosa quello è proprio la nostra natura, il modo nel quale siamo, quello che ci ha "costruito" e quello che custodiamo dentro. 

Nowhere

In questo quinto disco gli Esben and the Witch hanno la capacità di costruire dei brani molto concreti, brani che sanno che direzione prendere senza mai deviarsi minimamente. Sanno quando essere amicanti con l'oscurità, quando ribellarsi alla stessa e quando illudere ad un minimo di speranza. Per quello Nowhere è indubbiamente un disco dark che prende uno spettro ampio musicalmente parlando. Per quello ci sono tanti elementi gothic rock ma anche dei momenti post punk a sonorità dark folk. Perché più che mai le parole devono avere un riflesso nella musica e viceversa. Questo è un disco dove le due cose si alimentano più che mai, dove le parole crescono grazie alla musica e dove la musica non esisterebbe proprio se non ci fossero le parole. Ma quello che chiama l'attenzione, ed è il grande trionfo della band, è questa capacità di costruire a 360 gradi ciascun brano, avendo sempre una traccia comune che unifica tutto quanto ma facendo vedere tanti punti diversi dentro alla musica del trio. E quello che ho appena scritto può sembrare un'ovvietà ma non è affatto così. Ci sono tantissime band che hanno un registro limitato, che sanno come sfruttare due o tre emozioni e portarle in musica, invece il ventaglio emotivo e la fragilità dei cambiamenti che ci sono in questo disco non sono alla portata di tutti. Questa è una lettura che si svela sempre di più ad ogni ascolto dell'intero lavoro.

Nowhere

Sta adesso a ciascun ascoltatore di riuscire ad apprezzare Nowhere e di decidere se è un album che passerà come passa il vento finendo per essere "il nulla" o se invece sarà un tesoro da custodire nell'interno perché le emozioni, contraddizioni, conflitti e ribellioni che ci regalano gli Esben and the Witch sono parte di tutti e soprattutto di noi. Io vi invio a essere propensi per la seconda scelta perché è quella più reale, poetica e gratificante. Perché i "diversi" siamo tanti.

Esben and the Witch

Prendo tre brani che aiutano a capire come questo disco si basi nei conflitti tra luce ed ombra.
Il primo è A Desire for Light e già il titolo ci indirizza nella direzione che ho tratteggiato prima. Ma occhio, perché la luce deve essere intesa come molto di più, ed altro, che semplice luce. La luce è la giuda, e la forza che ci da una ragione per essere vivi, è il motore. Per quello questo brano diventa intenso, una specie di confessione che urla la necessità di abbracciare quella luce, quella vita.
The Unspoiled invece rappresenta la scesa nelle tenebre, lo sprofondare. E' la sensazione che da soli si cade e basta ed è fondamentale che qualcuno ci aiuti. Potrei paragonarla al ritrovarsi dentro ad una palude dove ogni movimento, per minimo che sia, significa sprofondare un po' di più e l'unica uscita possibile, l'unica salvezza, dipende da qualcun altro, qualcuno che riesca a lanciarci una corda e ci trascini via.
Per concludere abbiamo Darkness (I Too Am Here) che è la rassegnazione. Qua non c'è salvezza possibile, non c'è speranza, c'è solo consapevolezza del non poter scappare dalla propria natura. Se siamo costruiti di oscurità potranno illuminarci quanto vorranno ma non cambierà nulla. Dissacrante ed onesto.


Nowhere è il nulla ed è il tutto. E' una guerra tra luce ed ombra così stanca da essere combattuta che si fa da parte. E' la ricerca di una speranza pronta a spezzarsi con la prima brezza del giorno. E' un disco di un'intensità unica, di una dinamicità che è pronta a regalare delle sfumature che non sono alla portata di tutti. E' una bellissima prova degli Esben and the Witch pronti ad illuminare il buio o a oscurare l'eccesso di luce.

Voto 9/10
Esben and the Witch - Nowhere
Season of Mist
Uscita 16.11.2018

giovedì 1 novembre 2018

Sylvaine - Atoms Aligned, Coming Undone: il blackgaze diventa femmina

(Recensione di Atoms Aligned, Coming Undone di Sylvaine)


E' lodevole che in tanti posti del mondo la tolleranza sia sempre più importante. Pensare che qualsiasi individuo possa essere visto esattamente nello stesso modo di qualunque altro, senza importanza di genere, etnia, preferenza sessuale o filosofia di vita, è forse il grande trionfo dell'umanità, che finalmente capisce che l'eguaglianza non è un'utopia stupida ma un dato di fatto. Mentre a livello politico molti paesi hanno già dato questo passo a livello di mentalità ancora molte persone devono capire che l'intelligenza e le capacità di ciascuno di noi dipendono dallo sviluppo, dall'educazione ricevuta, dal percorso di vita e da altri fattori che nulla hanno a che fare su come e dove nasciamo. 

Atoms Aligned, Coming Undone

Atoms Aligned, Coming Undone è un disco che mi ha suscitato grandi riflessioni. Questo perché essendo l'opera di una poli-strumentista come Sylvaine è molto facile intuire, e intravedere, l'anima di questo lavoro. E per me questo lavoro è assolutamente femmina. Non femminile ma femmina. Questo è un disco che ha l'impronta del, così detto, gentile sesso. Ha l'emotività, la violenza e la bellezza delle femmine, che nulla hanno a che fare con quelle maschili. E' come se la musica degli Alcest fosse passata a setaccio attraverso un filtro femminile. Per quello c'è una sensibilità diversa in tutto, un tocco diverso, un modo diverso di rapportarsi con le emozioni che vengono poi messe in musica. Questo non è soltanto un disco di blackgaze ma è la versione femminile di quello che significa questo genere. Ed è un bene che sia così perché le caratteristiche dello stesso l'avvicinano drasticamente al monto femminile. A quel vulcano lunatico di emozioni che improvvisamente erutta per poi essere dormente per secoli. Atoms Aligned, Coming Undone è lunatico, è intenso, è sentito ma è sempre delicato. Può essere un disco devastante ma non sarà mai distruttivo. Aspetti da ringraziare perché non sono, purtroppo, molti gli esempi che vanno in questa direzione.

Atoms Aligned, Coming Undone

Sylvaine ci regala con questo Atoms Aligned, Coming Undone un disco che è molto di più di quello che lei stessa voleva che fosse. Perché nella tappa compositiva si vede che non c'è alcuna intenzione di dare al suo blackgaze un tocco diverso da quello che è questo genere. E' un disco che nasce come un urlo in mezzo della notte, toccando argomenti che sono molto cari a chi ascolta questo genere di musica, cioè la sensazione d'inadeguatezza, di essere nati in un mondo che guarda in tutte altre direzioni e che non darà mai il giusto spazio a chi vede la vita con altri occhi. Ma c'è di più, perché questo messaggio non arriva semplicemente da un gruppo ma viene fuori da un'artista femmina che ha buttato su ogni nota di questo disco il suo essere, il suo percorso, il modo col quale è arrivata a essere quello che è, a abbracciare il genere di musica col quale si esprime. E tutto questo non è intenzionale. Per quello è molto più bello, perché è naturale, perché è innocente, perché non solo non è forzato ma diventa qualcosa di così spontaneo ed impensabile come respirare. Ma questo respiro sa di nostalgia, di tristezza ma anche di profonda bellezza.

Atoms Alligned, Coming Undone

Avete mai avuto la sensazione di essere di fronte a qualcuno e sentire che quella persona è esattamente come la percepite? Non ci sono inganni, non ci sono trappole o difese. Ecco, Atoms Aligned, Coming Undone è proprio così. E' un'anima che si denuda non perché deva farlo ma perché ha il dovere primordiale e inconscio di farsi vedere così com'è. Sylvaine, con più inconsapevolezza e naturalità che qualsiasi altra cosa ci regala un disco dove racconta molto più di quello che vuole raccontare. Senza conoscerla scommetterei che lei è esattamente così. La sua musica parla e da una prospettiva nuova da ascoltare con cura.

Sylvaine

Pesco due brani da questo grande lavoro.
Il primo è Abeyance. La bellezza, l'incanto. La morbidezza di una melodia che viaggia insieme all'ascoltatore, e poi la fierezza, la forza emotiva, l'urlo misurato. Preziosa, fragile e intensa.
Il secondo è Words Collide. Forse in questo caso possiamo parlare di un brano che riassume molto più fedelmente quello che è questo lavoro e quello che è l'appartenenza al blackgaze. Ma anche in questo caso c'è qualcosa di assolutamente femminile, una concezione diversa della musica, delle sonorità e dei progetti che hanno un tocco e un colore diverso. 


Atoms Aligned, Coming Undone è un disco che perfettamente poteva essere firmato da Neige degli Alcest se fosse nato femmina. Questo per dire che dentro a quello che è il mondo del blackgaze, genere che nella mia opinione avrà ancora un grande sviluppo, siamo di fronte a un disco di grandissimo spessore che diventerà un capo saldo. La chiave sta nel fatto che Sylvaine ha saputo mettersi in gioco e che la sua musica è fedelmente un riflesso di quello che lei è, senza trappole ne filtri. E nella musica l'onestà paga sempre.

Voto 9/10
Sylvaine - Atoms Aligned, Coming Undone
Season of Mist
Uscita 02.11.2018

giovedì 18 ottobre 2018

Beyond Creation - Algorythm: decifrare l'algoritmo della comprensione

(Recensione di Algorythm dei Beyond Creation)


Per chi entra nel mondo della musica non è una sorpresa vedere quanta matematica ce ne sia all'interno. Sequenze, algoritmi, serie numeriche, formule e tanto altro. C'è chi riesce ad avere un'approccio "scientifico" verso la musica, mettendo volutamente in gioco quelle caratteristiche, e chi, invece, cerca di fare tutto istintivamente. C'è chi riesce a dominare senza problemi gli schemi complessi e chi preferisce farsene da parte. 
Sia come sia credo che la cosa essenziale stia nel riuscire a non rendere protagonista la matematica e che, dunque, all'ascoltatore arrivi solo la parte "musicale". Perché più importante della scienza nella musica c'è l'arte.

Algorythm

La carriera dei canadesi Beyond Creation ha sempre vissuto una strada in discesa. Seppur ci siano "soltanto" tre full lenght all'attivo il loro nome è molto rispettato e ben accolto. Indubbiamente questo è dovuto alla capacità musicale di costruire dei brani di grande complessità ma che arrivano abbastanza facilmente. Oggi mi occupo di Algorythm, la loro terza fatica. La prima cose che viene fuori ascoltando questo disco è la piacevolissima sensazione di sentire tutti gli strumenti separatamente, e suonati con grandissima capacità, e stare di fronte ad un'insieme. Ascoltando la loro musica mi è impossibile non pensare, almeno parzialmente, alla musica dei grandissimi Cynic, grazie, soprattutto, al basso fretless, alla costante evoluzione nello sviluppo dei brani e nelle contaminazioni sonore che mettono in evidenza la voglia di essere costruttori di novità. Il paragone fatto ha una validità parziale, in quanto il risultato finale dimostra che ogni band ha una metà diversa, e che ci arriva senza problemi. Nel caso dei canadesi questa meta è quella di portare una riflessione profonda sulla vita, qualcosa d'esistenzialista, sull'antropologismo e sulla storia.

Algorythm

Come succede molto spesso quando un gruppo ha le idee chiare un disco diventa un flusso potente che va in quell'unica direzione. Nel caso dei Beyond Creation quel flusso è complesso e profondo. Per quello non sembra un caso la scelta del titolo dell'album: Algorythm. Il disco sembra essere un algoritmo da decifrare, una specie di sfida tra band e ascoltatore. Per quello non c'è nulla di semplice o scontato. Principi comuni a un genere como il progressive tech death metal ma che rischiano, a volte, a rimanere solo concentrati sulla bravura dei musicisti risultando più un'esibizione delle proprie capacità che un vero e proprio insieme corale. E anche se il death metal risulta essere l'ancora della nave non ci sono privazioni in quanto ad aperture musicali. Per quello c'è spazio a un'utilizzo di assoli, sia di chitarra che di basso, che ricordano il metal anni 90, per quello ci sono degli intermezzi strumentali jazzistici e per quello ci sono momenti di calma, come se la costruzione di paesaggi sonori diventasse un obbligo, un modo di ricondurre molto più facilmente l'ascoltatore al mondo che si vuole raccontare. Tutto ciò è possibile grazie all'anima progressive che riscrive le regole del gioco volta per volta, lasciando ai musicisti una chiara possibilità d'intraprendere le strade preferite senza curarsi di come e quando. Questo bisogna ringraziarlo perché è lì che si nutre l'idea d'esposizione di un algoritmo da decifrare, e per quello è fondamentale regalare al disco diversi ascolti concentrati. 

Algorythm

Algorythm ha il fascino di quei giochi numerici dove bisogna individuare la formula che permetta di sapere come è venuta fuori proprio quella serie. I Beyond Creation si spingono anche oltre, perché non basta individuare un'unica formula per tutto l'album, bisogna anche sottoporre ad attento sguardo ciascuna delle canzoni che lo costruiscono, come se ci fosse una serie sopra ad ogni singola serie. Comprendere è una sfida.

Beyond Creation

Prendo due brano (o algoritmi?).
Il primo è The Inversion. Chitarre in stile Cynic, basso fretless cavalcante, batteria serratissima e martellante, così ci riceve per poi dare spazio alla parte più death. Andando avanti c'è spazio per gli assoli dimostrando che questa è una band che non ha paura a guardarsi indietro. E forse la parte principale, e più interessante, è quella che viene dopo dove il tempo sembra calare, dove le chitarre si rallentano, dove la voce si sussurra. Questo è dipingere con la musica.
Il secondo è Binomial Structures e lo scelgo perché permette di vedere l'altra anima della band, quella che viene fuori quando s'intraprende la strada strumentale. Questo brano potrebbe essere un brano progressive perché non c'è praticamente traccia della parte death. Tutto s'intreccia, tutto dialoga, tutti gli strumenti hanno il giusto spazio senza per quello diventare una "palestra" musicale. Funziona, cattura e ci fa capire il senso di costruzione musicale che la band insegue e le fonte dalle quali ha bevuto.



Algorythm è un disco che parla molto direttamente di quello che è il percorso musicale dei Beyond Creation. E' un modo di capire quello che amano, quello che è stato il loro alimento musicale e quello che mettono insieme con passione e con una grandissima capacità musicale. E' un scanner che fa venire fuori un risultato affascinante e non sempre facile da interpretare.

Voto 8,5/10
Beyond Creation - Algorythm
Season of Mist
Uscita 12.10.2018