mercoledì 1 aprile 2020

Katatonia - City Burials: un resonconto emotivo

(Recensione di City Burials dei Katatonia)


Mentre scrivo queste linee il mondo sta vivendo una situazione insolita che a portato milioni e milioni di persone a rimanere chiuse in casa. Magari qualcosa del genere era stato ipotizzato tante volte attraverso opere letterarie, musicali o cinematografiche che, grazie all'utilizzo dell'immaginazione, provavano a disegnare quello che, invece, ora è reale. Nel mio caso sono passati una ventina di giorni, troppo poco per cambiamenti epocali ma tanti per iniziare a guardare tutto da un'altra prospettiva. Non so quanto mi cambierà effettivamente tutto questo, non so quanto cambierà il mondo ma indubbiamente nulla sarà più come prima. Anche perché l'arte e la cultura si dimostrano la migliore evasione possibile in un momento dove invece non rimane altro che stare a casa.


City Burials


Uno degli aspetti più positivi di questo periodo è che la musica non si è fermata. Sebbene tutto quello che è la dimensione live è rimasta congelata tutta la parte discografica continua imperterrita a regalarci delle uscite molto interessanti, uscite che sicuramente vengono valorizzate molto di più visto che il tempo per consumare un disco c'è. Fuori la frenesia e benvenuta una specie di rieducazione musicale. Non so se quando l'undicesimo disco dei Katatonia, verrà la luce il mondo sarà tornato a girare come sempre o se ancora la situazione sarà quella odierna. Sono sicuro però che City Burials riceverà un ascolto attento e profondo. E dev'essere così, perché, come succede generalmente con i dischi degli svedesi, soltanto alla distanza di diverse riproduzioni si riesce ad apprezzare veramente quello che ci stanno proponendo. Infatti prima di scrivere questa recensione ho dato ripetuti ascolti alle undici tracce che compongono questo lavoro.


City Burials

E' possibile che dopo un po' di tempo certe considerazioni che mi sento di fare adesso possano mutare. City Burials è un lavoro complesso che spazia tra molti aspetti. E' un disco che ci restituisce come sempre l'impronta incancellabile dei Katatonia ma che ci regala nuove sfumature, nuove direzioni nuove. Il perché di tutto ciò sicuramente è chiaramente spiegato dai propri musicisti della band che non si perdono in tesi intricate ma semplicemente evidenziano di essere cresciuti e di starsi confrontando con un mondo che non si ferma. Come segnala Jonas Renkse, frontman e compositore di quasi tutte le tracce del nuovo album, oltre a essere l'autore di tutti i testi, il modo di ascoltare musica ormai è cambiato. Il concetto di "disco" non appartiene più alle generazioni più giovani che prediligono le singole tracce da ascoltare fino allo sfinimento. E forse è lì che radica la grazia di questo lavoro. City Burials diventa un confronto tra il passato, tra quello che non esiste più, i ricordi, i posti ormai inesistenti, e il presente. Tutto questo ha un riflesso che accompagna quest'intero lavoro. Qui c'è il bagaglio della band, il loro modo di concepire la musica, le loro influenze ma anche la maturità, la realtà di una vita di adulti che devono prendersi cura di nuove generazioni. Per quello questo disco è nostalgico ma è anche molto energico, per quello è, a tratti, intimista per poi diventare quasi festoso. E', in un certo modo, un omaggio alla vita che è stata percorsa fino ad adesso. Una vita nata sotto l'opprimente e bellissima tristezza dei primi dischi della band per poi, passo dopo passo, diventare una delle voci più accreditate del metal del nuovo millennio.


City Burials

City Burials diventa una specie di tour virtuale dentro i ricordi. Ma quello che ci viene restituito dai Katatonia non è semplicemente una descrizione fisica dei luoghi della memoria ma, piuttosto, un resoconto emotivo del peso di quei ricordi. Ogni brano diventa così un'emozione, per quello questo disco è ricco, mai lineare, mai scontato, sorprendente.


Katatonia

Ci sono tante anime della band presenti in questo lavoro, con l'aggiunta di certi aspetti nuovi. Pesco, dunque, tre brani che in un certo modo permettono di vedere questa varietà.
Il primo è Heart Set to Divide, traccia di apertura del lavoro con l'impronta chiarissima di quello che ha reso celebre il gruppo. La malinconia come materiale, un brano toccante, di un'oscura eleganza che diventa un preziosismo. Canzone destinata a diventare un classico nella storia della band.
Il secondo è Flicker, brano che in un certo modo è il riflesso della direzione che la band ha deciso d'intraprendere negli ultimi anni. La componente malinconica viene utilizzata diversamente, quasi come se coabitasse con una concezione progressiva e questa è sempre stata la forza della band, quella di regalarci dei modi molto nuovi nel raccontare la propria musica.
Il terzo è Neon Epitaph. Concreto, diretto. Brano che serve in parte a capire una delle componenti di questo disco, cioè quella di pescare dalla tradizione di metal più classico, utilizzando un riff molto presente e poggiando quasi tutto il peso nel lavoro delle chitarre.


Nelle stesse parole dei Katatonia questo City Burials nasce dopo la loro più lunga pausa con l'intenzione di chiudere un ciclo. E questa chiusura racchiude gran parte della filosofia della band, un lavoro mai scontato che dimostra il perché di un'evoluzione di una band che diventa sempre più interessante, adulta e profonda, quando la ragione abbraccia l'emozione.

Voto 8,5/10
Katatonia - City Burials
Peaceville Records
Uscita 24.04.2020

Sito Ufficiale Katatonia
Pagina Facebook Katatonia

domenica 13 ottobre 2019

Cult of Luna - A Dawn to Fear: le nostre voci inascoltate

(Recensione di A Dawn to Fear dei Cult of Luna)


Cosa cercate nella musica? Più passa il tempo e più mi ci addentro in quell'universo. E mi soddisfa fino in fondo. Ogni nuova scoperta si traduce in qualcosa di positivo paragonabile a una nuova esperienza indimenticabile. Ultimamente mi rendo conto anche di un'altra cosa, cioè che sono capace di fare musica. Di creare e di portare a un grado abbastanza completo quello che nasce dalla mia mente. E tutto ciò non sarebbe mai stato possibile se non ci fosse stato un mondo musicale sopra che mi ha catturato, incuriosito, invitato a viverlo da più prospettive diverse. Perché ascoltare è un conto, capire quello che si ascolta un altro e suonare quello che si ascolta ancora altro. La nostra musica potrebbe sembrare fottutissimamente limitata, abbiamo solo 12 note con le quali possiamo "giocare" ma le combinazioni sono così tante che sembrano 12 parti di una fonte inesauribile. Cosa cerco io nella musica? Quello che sto trovando: comprensione, compagnia e la bellezza di creare.

Come si diventa un colosso? Sicuramente grazie al talento e alla propensione naturale di raggiungere altissime vette. Che i Cult of Luna siano un colosso era ormai chiaro da diverso tempo. Ma la "legenda" deve crescere, deve perdurare e deve regalare nuovi elementi che non facciano traballare quella posizione. Per quello arriva A Dawn to Fear. E' inutile, la musica è cambiata drasticamente negli ultimi 20 anni. Nulla è più come prima ma ci si muove in livelli diversi; quello superficiale è quello della musica usa e getta, brani pronti a mandare al dimenticatoio quello che era appena uscito un paio di mesi fa. Un intero trenino di canzoni insulse che poco e nulla ci regalano. Per quello bisogna tuffarsi nel profondo. Perché è all'ombra che si scovano i dischi più interessanti, quelli che ci regalano una certezza assoluta: la musica non muore mai ma continua in un processo di evoluzione che va a pari passo con l'evoluzione umana. Il mondo cambia, diventa caotico, diventa tecnologico, diventa ancora più particolare con aspirazioni condivise dalla gran maggioranza (stessi vestiti, stesse pettinature, stesse ambizioni, poche domande, divertimento di due soldi da ripetere in infinita quantità) ma creando delle tribù marginali dove qualcosa veramente si muove. Credo che ogni epoca ci ha regalato dei gioielli musicali, dischi che raccontano il passato molto meglio di tanti libri perché semplicemente sono il riflesso di quello che si vive. E allora perché il post metal è diventato così interessante?

A Dawn to Fear

Ed è qui che voglio prendere A Dawn to Fear e inserirlo in questa riflessione. Questo nuovo lavoro dei Cult of Luna ha tutti gli elementi che definiscono questo genere. Atmosfere cupe che vengono tagliate da momenti musica ipnotici e di ricercata bellezza. Una violenza assolutamente controllata che non va mai e poi mai oltre certi limiti. Un'introspezione che fa diventare ogni singola nota un riflesso della personalità di tanti essere umani. 
Ormai tutto è diverso, la tecnologia ha dato voce agli stupidi, troppa, ma ha anche permesso a chi vuole imparare ad avere accesso a molte più fonti, ad avere molti più scambi con persone che cercano le stesse cose e ad avere una voce molto più autorevole. Non voglio dire una sciocchezza ma in genere chi ascolta metal è una persona tremendamente interessante, qualcuno con idee originali, con punti di vista che sono tutto tranne che banali. Ecco, la musica di questo nuovo lavoro della band svedese ha più o meno tutto ciò. Non è mai banale, non è mai semplice ma neanche complessa da risultare incomprensibile. E' un urlo misurato che non nasce dall'isteria ma dal poter permettersi di urlare in un mondo che molto spesso non accetta visioni diverse da quelle che dovrebbero andare bene a tutti. Ci illudono di vivere in un tempo dove tutti abbiamo tutto alla nostra portata ma cercano sempre di farci scegliere le stesse cose, di avere le stesse ambizioni di non lasciare spazio a null'altro. E invece, con profonda intelligenza, c'è tanto altro, c'è un movimento di persone che non si sentono parte di quel mondo e il cui rifiuto condiziona tutto. Perché sì, questo disco così come tanti altri lavori sono figli di un rifiuto, dell'impossibilità di accettare che il mondo continui ad andare nella direzione che va. 

Cos'è e com'è il 2019 per me? Risponderei facendo ascoltare A Dawn to Fear. E' cupo, sì, perché i veri grandi problemi dell'umanità non si affrontano ma è anche una voce nuova. La scelta sta se voler ascoltare e analizzare da dove viene il rifiuto profondo verso la direzione che sta prendendo l'umanità o rilegare questo urlo a l'esotica voce fuori campo di un gruppo di disagiati sociali, esotici nel loro vestirsi di nero ma poco pericolosi per via della distanza che mantengono sempre verso il resto della società. Qui finisce il compito dei Cult of Luna e inizia quello dell'intelligenza, o stupidaggine, di chi ha in mano il potere.

Cult of Luna

Pesco due brani favolosi da questo lavoro, due mostre di quanto diversa e ricercata può essere la creazione di canzoni diverse.
Il primo è The Silent Man. Creazione colossale che fa capire in modo pratico quello che ho cercato di raccontare in queste linee. E' un brano repulsivo, ricercato, ipnotico, mai mansueto, mai scontato, mai libero ma attaccato sempre alla consapevolezza di certe costrizioni, un po' come nostro mondo.
Il secondo è We Feel the End. Toccante, dissacrante, bellissimo e crudele. Non c'è amore nella rabbia? No, tutto il contrario, questo genere di rabbia nasce per il troppo amore. Amore verso il mondo, verso la natura, verso quello che sarebbe bello vivere a pieno ma che viene sistematicamente distrutto. E' un inno alla resistenza, è l'ultimo angolo di poesia rivolto a salvare quello che, forse, purtroppo è insalvabile. E' un brano da brividi, di sottovoce, un brano da ascoltare prima di dormire perché fa capire che ancora c'è umanità e non siamo soli anche se siamo pochi.


A Dawn to Fear traduce al meglio quello che siamo, quello che è un ruolo relegato di essere una voce, autorevole, fuori dal coro. Sono persone così, come i Cult of Luna, quelle che uno dovrebbe avere sempre intorno. Persone che cercano la bellezza nell'essenziale e si arrabbiano se questo non viene garantito, persone disposte a non accettare il corso di un mondo che va sempre di più alla deriva. Educate i vostri figli a essere così.

Voto 9/10
Cult of Luna - A Dawn to Fear
Metal Blade Records
Uscita 20.09.2019

giovedì 3 ottobre 2019

E-L-R - Mænad: Andare nel profondo

(Recensione di Mænad dei E-L-R)


Quante persone sono mai riuscite a toccarvi l'anima? Quante persone sono realmente riuscite a vedervi nudi senza necessità di spogliarvi? E voi, quanta gente siete riusciti a capire profondamente, in quante persone avete lasciato un segno indelebile? 
Viviamo in un'epoca così frenetica e superficiale che la profondità ci fa paura. Ci spaventiamo di fronte alle aperture delle persone pensando che cercano qualcosa in noi per il loro proprio interesse. Non vogliamo correre rischi e se qualcosa va male allora sentiamo che su di noi c'è una congiura cosmica che ci impedirà di essere felici. Ma conoscere qualcuno significa viverlo, significa dare e trovare conforto e confronto. Significa imparare a interpretare ogni sua piccola gestualità. L'intesa vera si raggiunge ad occhi chiusi e senza parlare, solo così ci si annida nell'anima dell'altro.

Mænad

Che responsabilità quella di pubblicare un primo disco! Basta un nulla per fare un passo falso che forse ci condannerà per sempre! E invece, se il disco diventa strepitoso si sarà mai in grado di superarlo? Mænad è un signore debutto, è uno di quei album che ti fanno capire con chiarezza una cosa, cioè che dentro ai cassetti interni dove custodiamo la nostra musica del cuore bisogna liberare spazio per un nuovo gruppo, in questo caso gli svizzeri E-L-R. Trio intenso, impressionante, mai banale che regala uno dei dischi più sorprendenti di quest'anno. Sarà per quello che alle registrazioni di questo album hanno aderito due personaggi come Ryanne van Dorst dei Dool Colin van Eeckhout degli Amenra, cioè due tra i musicisti più intensi e originali che si possono trovare oggi in circolazione. E perché avranno deciso di collaborare con questa band? La risposta cerca non ce l'ho ma ne posso ipotizzare una, perché hanno capito quanta profondità ci fosse nella loro musica e quanta emozione fosse messa in gioco.

Mænad

Mænad è un disco intenso, un disco che ti cattura e non ti lascia mai perché l'interesse a proseguire con l'ascolto cresce di momento in momento. Come sempre fatico a mettere etichette a quello che gli E-L-R sono ma probabilmente la miglior definizione è quella di un atmospheric post doom con spiccate influenze sciamaniche. La loro musica dev'essere capita da dentro. Non c'è altro modo. Vista dall'esterno non rende quanto rende viverla dopo essersi addentrato quanto più possibile. E l'esercizio per farlo non è difficile. Necessità però della giusta predisposizione, di lasciarsi portare dentro a questi loop che in realtà sono un vortice e a ogni giro si entra sempre di più nell'anima di questo disco. Occhi chiusi, dunque, nessuna distrazione ed eccoci pronti a esplorare nuovi orizzonti di un'intimità unica. Orizzonti dove ognuno di noi viene messo al centro, dove ognuno di noi ha a che fare con la propria oscurità. Ma qual è il trucco? Che quando lasciamo andare via l'ansia e la paura i nostri occhi si abituano e iniziano a capire, a scovare dettagli e a cadere nel fascino di aspetti che forse non pensavamo di avere dentro di noi. 
Ogni brano è un viaggio, un'avventura, una specie di rito che ci permette di toccare vette nuove. Questa è la magia della musica, la sua condizione impressionante che diventa molto di più di quello che è. Ogni brano diventa un discorso con noi stessi, con uno sguardo nuovo che permette di vedere tutto da una nuova prospettiva, intensa e sentita.

Mænad

Qui sorge spontanea una domanda. Quanto siete disposti a mettervi in gioco quando ascoltate un disco? Ci sono lavori che necessitano di un coinvolgimento emotivo pieno e Mænad è uno di quelli. La musica degli E-L-R  non è stata concepita per essere ascoltata con superficialità come riempimento di una qualsiasi attività. La loro musica richiede condizioni particolari e queste devono essere seguite perché soltanto così ci fa giungere alle vette che si possono toccare. E sono molto alte e intense.

E-L-R

Come detto prima ogni brano rappresenta un rito, per quello è consigliabile seguirli tutti ma se devo scegliere i momenti più toccanti allora faccio tre scelte.
La prima è Glancing Limbs, il rito d'iniziazione. L'ombrale da oltrepassare per iniziare a capire dove si è arrivati. E come tutte le esperienze del genere l'inizio è un sconcertante ma piano piano che si va avanti si capisce che si sta per vivere qualcosa di speciale, di unico, d'irrinunciabile. Si viene catturati e poi messi di fronte a un'esperienza unica per intensità dalla quale non si può fuggire.
La seconda è Above the Mountains There is Light. Come indica il titolo questo rito ha a che fare con gli ostacoli, con quello che ci sembra insormontabile, quello che ci fa vivere in mezzo al buio più completo. Ed invece sforzandoci e perseverando ecco che si superando gli ostacoli che noi stessi ci mettiamo abbracciamo una luce nuova, pura e intensa. Brano di una bellezza sconvolgente.
La terza e quella più toccante è The Wild Shore. Forse perché è quella che sin dall'inizio ci mette in confronto con noi stessi, con quel che siamo e con la vera volontà di superarci, di essere migliori, di fare quello che veramente vogliamo fare. E' una conclusione perfetta, un modo di affermare se veramente ce l'abbiamo fatta o se ancora non siamo preparati per fare un passo del genere. Mai semplice, mai scontata, dissacrante per l'onestà e l'intensità. Uno dei migliori brani di quest'anno.


Mænad è un'esperienza intensa. E' un disco di quelli che bisogna ascoltare in certi momenti sapendo esattamente cosa si troverà dentro. Per quello è un gioiello, per quello bisogna tenerlo con cura in un angolo prediletto, pronto a prenderlo per aiutarci a essere di più. E adesso la curiosità è immensa su quante altre cose saranno in grado di regalarci gli E-L-R.

Voto: 9/10
E-L-R - Mænad 
Prophecy Productions
Uscita 27.09.2019

domenica 29 settembre 2019

Juggernaut - Neuroteque: perdersi nella strada verso il posto dove tutto è consentito

(Recensione di Neuroteque dei Juggernaut)


Ma voi, come vivete la musica? 
Potrebbe sembrare una domanda senza senso o troppo campata per aria, una di quelle classiche domande che si pongono con la voglia di raccogliere quante più bizzarre domande. E invece non è così. L'approccio all'ascolto della musica è così variabile che è degno di uno studio approfondito. Anzi, sicuramente saranno già stati fatti diversi studi del genere. La musica è uno stimolatore di tante cose, una bestia che smuove gli angoli più nascosti del nostro essere, restituendoci delle sensazioni che raramente potremmo trovare altrove. La musica è viaggiare sdraiati a terra. La musica è diventare protagonisti di immaginari video che proiettano le nostre sensazioni su tutto quello che ascoltiamo.
Quindi voi, come vivete la musica?

Ci sono dischi che non possono essere banalmente ascoltati come se fossero la colonna sonora delle attività routinarie. Ci sono dischi che richiedono la completa attenzione, perché solo così riescono a aprire il loro vero universo all'ascoltatore. 
Neuroteque è così. Lo è perché la concezione musicale dei Juggernaut è sempre stata una concezione visiva, dove ogni singola nota diventa pellicola che cattura le immagini di una cinepresa. Tutto rigorosamente analogico, con quella fragilità legata a sovra o sotto esposizione, al processo di sviluppo della pellicola, a quel gioco tra sostanze chimiche e la magia del movimento catturato, modificabile e dunque trasformato in manifestazione artistica. Sono trascorsi cinque anni dall'uscita del mastodontico Trama ed era una necessità avere delle novità sonore da parte di una delle più interessanti band italiane in circolazione. Ed ecco qui questo nuovo lavoro, un disco che mette insieme una serie di elementi che non saltano magari alla luce al primo o secondo ascolto ma dopo una concentrata serie di play. Neuroteque è un disco con l'impronta chiarissima della band, è il loro sound, è il loro modo di scrivere dei brani pazzeschi che raccontano senza mai parlare, o, piuttosto, senza mai chiedere l'ausilio delle parole. Ma è anche un lavoro che mette in evidenza una crescita musicale che si riflette nella ricerca dei dettagli, nelle piccole sfumature che non sempre possono essere facilmente apprezzabili.


Neuroteque

Ma addentriamoci in questo universo chiamato Neuroteque. Quello che i Juggernaut  costruiscono attraverso la loro musica sono sette percorsi, o tracce, per raggiungere una meta, un luogo dove tutto è consentito. E come in tutti i racconti epici quello che interessa di più è il "come", il percorso, l'avventura, la contrapposizione tra l'aspetto obbiettivo e quello soggettivo. Quanto cambia una storia se è raccontata in prima persona o da un narratore onnipotente? Ecco, la band maneggia magistralmente quei tipi di narrazione, come se si trattasse della regia affermata di un artista che ormai ha una sua impronta in ogni lungometraggio che porta a termine. Per quello questo disco fa salti immensi nel tempo, per quello gioca con la psichedelica sensazione già presente nel disco anteriore, per quello è un disco che non si sofferma all'utilizzo di pochi, pregiati, generi, per quello diventa indefinibile. Anima progressiva? Può esserlo, in quanto a la sua concezione illimitata. Disco esperimentale? Fino a un certo punto. Più che esperimentale si tratta di un lavoro di profonda ricerca sonora, dove ogni dettaglio è prezioso come nella fotografia dei film che hanno fatto la scuola del cinema. 
E allora che cavolo di disco è? Non importa, non è necessario definirlo. Non bisogna catalogarlo anche se il mondo ci urla di catalogare tutto. Ma come si catalogano le emozioni? Questo è un disco alla Juggernaut  che si costruisce grazie alla comunione di quattro musicisti pazzeschi di mente aperta. 

Ma alla fine si giunge a Neuroteque? E' proprio qui che si cella il grande gioco dei Juggernaut. La loro narrazione strumentale non ci propina finali perché è l'ascoltatore a decidere se varcare la porta o meno. La band ci guida, ci fa vedere le strade tortuose, uniche e inquietanti, perché qualche volta raggiungere uno scopo non è qualcosa di semplice e perché il raggiungere quel "premio" ci fa subito pensare se ne valeva la pena. Volete entrare dentro Neuroteque? Pensateci molto bene.


Juggernaut

Scelgo due percorsi, o brani, che mi hanno segnato maggiormente in questa epopea sonora.
Il primo è Titanismo. Un percorso lisergico, che inizia con pochi indizi per poi diventare una corsa tra paesaggi mai esplorati e mai affrontati. Tutto cresce, tutto diventa sempre più importante, facendo capire che non c'è modo di tornarci indietro. A un certo punto bisogna fare un respiro molto profondo e decidersi a continuare a camminare. Poco importa se la meta è lontana, non si torna più indietro. Ma piano piano che si avanza si perdono le convinzioni del perché si è iniziato a percorrere questo sentiero.
Il secondo è Orbitalia. Forse la strada più oscura, quella che in un principio, per via del buio, non permette di vedere molto. Ma quando gli occhi si abituano accadono due cose. La prima è che si scopre un mondo nuovo, cose mai viste prima. La seconda è che si capisce che quelle cose in realtà hanno sempre fatto parte di noi ma soltanto adesso riusciamo a viverle. Questa è la strada che io scelgo, o che forse mi ha scelto.



Non vi limitate a dare pochi ascolti a Neuroteque. Questo è un disco che retribuisce quello che succede con le città più belle e meravigliose. Bisogna perdersi per trovare i nostri angoli preferiti. I Juggernaut  hanno messo in piedi un disco che può sembrare un labirinto ma non lo è, perché entrandoci dentro e capendo la sua logica diventa un posto meraviglioso. Per quello, ascoltatelo e ascoltatelo e piano piano anche voi deciderete se arrivare alla meta o se continuare a esplorare creando magari altri percorsi.

Voto 9/10
Juggernaut - Neuroteque
Subsound Records
Uscita 11.10.2019

Pagina Facebook Juggernaut
Pagina Bandcamp Juggernaut

mercoledì 25 settembre 2019

Kayo Dot - Blasphemy: quando la musica costruisce storie

(Recensione di Blasphemy dei Kayo Dot)


L'insicurezza molto spesso è il modo migliore di vivere una vita intensa. Può sembrare un discorso senza senso perché da sempre c'insegnano che dobbiamo cercare la sicurezza, la sicurezza di un lavoro fisso, di una famiglia, dei beni materiali che piano piano riusciamo a comprare. Ma questo discorso sembra farci cadere nell'omologazione di una vita sempre troppo simile. Non che non sia un bene sapere che si può vivere senza paure ma è bello dover affrontare sempre situazioni diverse e tenere sempre in attività le nostre capacità più grandi, di adattarci, di sopravvivere, di essere sempre intelligenti.

Blasphemy

Uno dei primi dischi recensiti su questo blog è Plastic House on Base of Sky, disco del 2016 che aveva messo in evidenza una nuova tappa della mutazione di quella creatura indefinibile chiamata Kayo Dot. Chissà come sarà esplorare la mente di Toby Driver, mente maestra dietro a questo gruppo impressionante, chissà che meccanismi mentali scattano ogni volta che affronta la tappa di composizione di un nuovo disco. Se c'è una certezza è che è impossibile anticipare le sue mosse. E' impossibile capire cosa verrà fuori dalla sua ennesima creazione. E se avete qualche dubbio ascoltate in ordine cronologico tutti i lavori della band aggiungendoci questo ultimo Blasphemy. Vi ritroverete a saltare da un'isola a un'altra senza collegamenti logici e diretti. Ebbene sì, questo nuovo lavoro continua a essere inserito in quella voluta fragilità camaleontica. Anche se, a onore del vero, qualche piccola sicurezza c'è, per esempio il fatto che l'elettronica, intesa come creazione sonora attraverso dei synth, sia ormai una sfida per la mente brillante di Driver, e ne troviamo la conferma di ciò nel fatto che gli ultimi tre dischi della band vanno sempre in quella direzione, senza mai, però, abbandonare l'apporto, essenziale, di strumenti più "standard" come la chitarra o la batteria.

Blasphemy

Blasphemy ha un'altra caratteristica fondamentale ed è il fatto che si tratta di un disco concettuale, basato su un romanzo di uno dei collaboratori di lunga data di Driver, cioè Jason Byron. Una storia che potremmo riassumere come la ricerca di tesori da parte di tre personaggi, tesori che saranno distrutti dal vero tesoro che tutti cercano, cioè un ragazza addormentata con un terribile potere chiamata, appunto, Blasphemy. Questo dato diventa fondamentale per capire le connessioni tra tutti i brani e l'atmosfera che unifica questo nuovo disco dei Kayo Dot. Siamo in un ambito fantascientifico anche se la storia tocca molti altri aspetti che sono un riflesso della vita e del nostro mondo. Per quello musicalmente tutto si basa sulla creazione di veri e propri paesaggi sonori ricchi di quella componente fantascientifica. Anzi, la sfida diventa anche molto più complessa perché è necessario avere la capacità di costruire una serie di suono che vadano bene alla storia e poi riuscire a cucire tutto insieme, dando una coerenza tra storia, musica, canto. Credo che qui sia fondamentale soffermarsi un attimo e capire che, con rispetto ai tempi dove i brani dei maudlin of the Well, band precedente alla nascita dei Kayo Dot, venivano composti cercando di riprodurre i viaggi astrali che facevano  Driver and Co., siamo di fronte a aspetti molto più concreti, molto più studiati e ragionati. Occhio, non voglio assolutamente sminuire i lavori dei maudlin of the Well perché personalmente sente che siano uno dei progetti più interessanti e sottovalutati dell'avanguardia musicale degli ultimi 25 anni. Il mio ragionamento è volto soltanto a enfatizzare il processo di maturazione dietro al modo di lavorare di un determinato musicista. 

Blasphemy

Io penso che la musica dei Kayo Dot non abbia uguali. Soprattutto per questa impressionante capacità di reinvenzione ma anche per il fatto che quello che riescono a riprodurre e qualcosa di unico che non potrà mai essere paragonato a null'altro. Blasphemy è una nuova conferma di tutto ciò, è un disco pieno di personalità, di tocchi stilistici dei quali tanti artisti sono carenti. E' un compromesso di coerenza con sé stessi, è un essere che si presenta senza barriere, senza alcuna voglia di stare simpatico a tutti. Per quello può fare impazzire o può allontanare le persone.

Kayo Dot

Pesco due brani in questa epopea musicale.
Il primo è Turbine Hook and Haul. Brano di tranquillità apparente, di disperazione contenuta, di domande senza risposta, di incomprensioni ma anche di svolti positivissimi. Per quello il suo suonare è una linea che si muove tra la tranquillità e la disperazione. Difficile da concepire? Ecco perché è bellissimo.
Il secondo è Blasphemy: A Prophecy. Dal mio punto il miglior brano di questo disco. Non soltanto perché è il punto finale di questa storia ma anche perché merita a tutti gli effetti di essere annoverato come uno dei "classici" della band. Quello grazie al pregiato tappetto strumentale guidato dalle tastiere, al lavoro della chitarra e alla forza della voce, che costruisce un mondo bellissimo. Brano magistrale.



Sono molto onesto. Blasphemy non è il disco dei Kayo Dot che più mi sia piaciuto. Non è un disco semplice, così come non lo è nessuno della band, e, come ho scritto prima, sicuramente è un disco che fa nascere giudizi molto radicali. Ma l'intelligenza e la genialità che contraddistingue la strada del gruppo trova un'ennesima conferma. Il mondo necessità di dischi come questo, di impulsi come questo, di storie come questa. E già solo per questo io sono ultra grato. 

Voto 8/10
Kayo Dot - Blasphemy
Prophecy Productions
Uscita 06.09.2019

sabato 21 settembre 2019

Costin Chioreanu & Sofia Sarri - Afterlife Romance: un amore d'oltretomba

(Recensione di Afterlife Romance di Costin Chioreanu & Sofia Sarri)


Qualcuno afferma che dietro a qualsiasi evento nella vita si celi l'amore. Anche le canzoni più rabbiose mai scritte in realtà rispondono all'amore, a quello negato, a quello tolto, a quello che non è possibile vivere. Ma l'amore dev'essere compreso come qualcosa di grande e importante, qualcosa che va oltre alle emozioni che una determinata persona ci può fare sentire. L'amore dev'essere visto come una ragione di vita, uno scopo che ci porta a prendere decisioni e a indirizzare la nostra propria strada. E perché? Perché solo in quel modo si verificano cose che non sono facilmente spiegabili, cose che vanno oltre alle logiche e a tutto quello che diventa standard. 

Afterlife Romance

Le collaborazioni sono sempre qualcosa di affascinante, perché vanno ad accrescere tutto quello che è un germoglio o perché permettono di esplorare nuovi orizzonti. Per quello il disco del quale vi parlo quest'oggi, Afterlife Romance, presuppone un inseguire uno scopo finale da parte di due artisti molto interessanti. Da una parte abbiamo il multidisciplinare Costin Chioreanu, artista rumeno famoso non solo per il suo percorso musicale ma anche per essere la mente dietro all'artwork di diversi lavori di grandi band metal. D'altra parte abbiamo Sofia Sarri, interessantissima cantante greca proprietaria di una voce eterea e dinamica che si presta perfettamente all'idea che ingloba questo lavoro. 
Infatti è essenziale capire quale sia il punto d'inizio di questo lavoro. Tutto nasce da una visione che sopraggiunge Chioreanu in una visita notturna al cimitero di Vienna.   Cosa verrebbe fuori da una storia che ricreasse l'amore tra due fantasmi? Un amore nato in quella dimensione d'oltretomba e non durante la vita. Un amore dove tutti gli altri fantasmi passano a essere personaggi secondari che arricchiscono questa trama. Insomma, un romanzo di oltretomba. 

Afterlife Romance

Che colore bisogna dare a un lavoro del genere? Non è una domanda banale perché secondo me giustifica moltissime scelte di questo lavoro e spiega anche l'origine dei due musicisti che costruiscono questo disco. Sembra che tutto corrisponda a una sfumatura, a un tocco che va a aggiungere dettagli a un maestoso quadro. Come se la condizione di artista visivo di Chioreanu abbia spinto per fare di questo Afterlife Romance un disco che dipinge con i suoni. E per quello la voce di Sofia Sarri diventa fondamentale. Perché il suo modo di utilizzarla, senza puntare a limitazioni, abbracciando una serie di registri ampi, è perfetta. Ed è qui che scatta il mio amore per questo disco, perché mi riporta alla mente dei lavori d'avantgarde metal che mi hanno sempre fatto innamorare, come i pregiatissimi tesori sonori nati dai The Third and the Mortal e da gruppi-conseguenze nati dopo, come Calmcorder o The Soundbyte. La sua voce regala questo livello ultraterrene che è perfetto per narrare questa storia. Musicalmente le scelte sono sempre molto azzeccate. Questo è un disco che si basa su una ricerca pura si una sonorità spettrale ma mai distorta. Per quello i suoni sono pressoché pulitissimi, partendo dal protagonismo della chitarra, passando dal tappetto perfetto delle tastiere e andando al contributo ritmico della batteria, una batteria che riempe senza mai essere assordante o prepotente. Tutto rimane pulito, tutto confluisce in questa direzione spettrale che non necessita d'altro. Per quello gli accordi rimangono sospesi, per quello la voce sembra bellissima ma intangibile, per quello la ritmica è ricercata. E' un vento d'oltretomba dal quale non è possibile fuggire. 

Afterlife Romance

Afterlife Romance ha un'altra grande qualità. E' un disco che ha un tocco di nostalgia che riporta alla mente tutti quell'immaginario romantico dell'epoca vittoriana ma lo fa con una nuova lettura, molto elegante ma illimitata, dove le scelte portano a spandere quello che potrebbe venire in mente con troppa facilità. L'idea di Costin Chioreanu & Sofia Sarri cresce e ci dimostra che certe tematiche non solo non passano mai di moda ma hanno tanto altro da dire.

Costin Chioreanu & Sofia Sarri

Scelgo tre brani che per me sono un passo sopra agli altri.
Il primo è The Gardenian Night Shift, brano d'apertura di questo lavoro e perfetto biglietto di visita. Il gioco tra fraseggi di chitarra, tappetto delle tastiere e batteria ricercata sono la base perfetta per una voce che non fatica a spaziare, a toccare vette alte per poi cadere, come una carezza che non si riesce ad afferrare. E' la porta d'ingresso a un nuovo mondo.
Il secondo è Dance on the Clouds Floor. Un brano che da un esempio prezioso si come si costruisce un'opera piena d'originalità. C'è uno sviluppo prezioso, mai scontato, tutto condito con una forte carica emotiva. Chi ascolta finisce per trovarsi, anche lui, disteso in un pavimento di nuvole.
Il terzo è Thanatoguards, brano che diventa la coronazione di quest'amore. Per quello la dolcezza che custodisce è anche rarefatta, per quello c'è un tocco inquietante, come se si tratasse di un amore sbagliato, incorretto, impossibile ma, invece, reale. Bellissimo ma inquietante, un brano da regalare soltanto a chi saprà cogliere la bellezza che conserva dentro.


Afterlife Romance è un disco di una bellezza unica, fragile al punto di rischiare di rompersi in più momenti ma è proprio quella caratteristica, quella di appartenere a diversi mondi contemporaneamente, a farlo diventare una gemma da apprezzare. La compagine Costin Chioreanu & Sofia Sarri funziona perfettamente perché voce e musica confluiscono in un'idea che trova la piena realizzazione in questo prezioso lavoro. Non per tutti ma per quei pochi che sapranno capire ed emozionarsi.

Voto 9/10
Costin Chioreanu & Sofia Sarri - Afterlife Romance
Dark Essence Records
Uscita 18.10.2019

martedì 17 settembre 2019

Tool - Fear Inoculum: diventare immortali

(Recensione di Fear Inoculum dei Tool)


Tornare. Abbandonare l'isola felice per ritrovare la vastità del continente. Ma il ritorno non è mai lo stesso. La terra che si ritrova non è mai la stessa anche se, magari, non è cambiata di una virgola. Tornare significa far crescere, significa avere un altro sguardo, significa scuotere tutto quanto, significa creare il silenzio intorno quando si parla, perché quello che si ha da dire è importante. Tornare è essere invincibili, altrimenti non si ritorna.

13 anni. Tanti sono trascorsi da quello che era l'ultimo disco in studio dei Tool. Quel 10.000 Days che ha sempre diviso un po' i fans, che hanno sempre percepito delle debolezze in un disco che rimano, lo stesso, un capolavoro del rock/metal dell'ultimo millennio. Da allora i Tool erano diventati più mitologia che realtà. Le continue voci che parlavano dell'imminente uscita di un disco nuovo, le diverse notizie che facevano rimandare quest'uscita per svariati motivi, tanto da pensare che Fear Inoculum fosse un bluff, uno schiaffo in faccia a tutti gli insaziabili inseguitori dell'ultima vera super star band. Perché non veniamo con sciocchezze, non esiste al giorno d'oggi alcuna altra band in grado di decidere di mettere a disposizione in tutti gli store digitali la propria discografia monopolizzando qualsiasi forma di classifica. Non esiste nessuna altra band in grado di superare in classifica l'ennesima star pop. Viviamo nei 2000! Gli anni 90 sono finiti da un pezzo! E invece eccoli lì, quei quattro cavalieri di un apocalisse mistica che ci regalano la speranza più grande che ci sia, cioè che il metal/rock non è morto, non è un prodotto underground, non è il capriccio di pochi stoici nostalgici. No, cazzo. Fear Inoculum è IL DISCO degli anni 2000. E' l'equivalente a un Led Zeppelin 4 a un Black Album dei Metallica e a tanti classici che non muoiono mai. Solo che è presto e ancora non ce ne rendiamo conto.

Fear Inoculum

E' curioso. Ho lodato Fear Inoculum senza accennare minimamente a quello che troviamo dentro. Appena uscito è stato un disco che ha presentato un primo sintomo di grandiosità. E, cioè, non è piaciuto a tutti. In molti sono rimasti delusi di fronte a un'attesa di qualcosa di pirotecnico, di un lavoro che cancellasse tutta la pregressa discografia del quartetto presentando un rivoluzione fatta musica. Forse sarebbe stata la via più semplice, forse era semplice affidarsi a un paio di trucchi di prestigiatori per urlare: "ma cazzo hanno fatto i Tool!". E invece no. Fear Inoculum è un disco di un'eleganza unica, di una complessità così grande ma così intelligente che tutto sembra logico, bello, diretto. E' un rompicapo che non stanca, che non esige ragionamenti complessi, perché ci si è dentro e basta. Senza farsi domande, senza la possibilità di chiedere di scappare perché chi sarebbe così sciocco da scappare da quel paradiso? Questo è un capolavoro perché mai i Tool erano riusciti a trovare un punto di equilibrio così perfetto. Aggressivo ma senza la rabbia di Ænima, mistico ma senza quell'esoterismo pungente di Lateralus. Un disco dove la globalità arriva prima dei dettagli ma se ci si mette ad analizzarlo allora si potrebbero scrivere trattati sul lavoro ritmico, sulla sovrapposizione di fraseggi, sul come costruire brani mastodontici che non cadono mai nella banalità. Un disco che lascia in chiaro che le quattro menti dietro a questi brani non sono dei ragazzini, non sono profeti della propria chiesa e non sono anime maledette. Sono quattro menti geniali che s'intrecciano dando nascita a una creatura geniale. Nessun strumento viene a perdersi, nessun strumento diventa più importante degli altri. Tutti hanno il giusto spazio per far vedere cosa sanno fare. A incoronare questo lavoro strumentale dove la tecnica va messa a favore della genialità, c'è la voce, impeccabile, bellissima, pesante nelle parole mai dette a caso ma mai prima protagonista. Tutto è essenziale, tutto si sente, tutto è un capolavoro. 

Un altro controsenso che è stato molto ricorrente in questi giorni è che Fear Inoculum è un disco che suona troppo alla Tool. Mi spiego meglio, in tanti sostengono che musicalmente quello che si sente siano elementi che la band ha già messo in gioco in passato, soprattutto a livello sonoro. Io sono d'accordo fino a un certo punto. Credo che effettivamente il set-up di ogni singolo strumento sia rimasto molto fedele a quello che si era ascoltato in passato, credo anche che il tocco e il tipo di composizione siano fedeli a quello che avevamo già ascoltato ma c'è molto altro. Ci sono piccoli inserimenti sonori presenti soprattutto nella chitarra e nella batteria. E un discorso a parte dev'essere fatto sul riparto delle percussioni, mai così brillanti e complesse come in questo pazzesco lavoro. E soprattutto c'è un altro spirito che unisce tutti i brani, una concezione molto più rotonda con rispetto a tutto quello che si era sentito in passato. E dunque sì, è un disco dei Tool con i suoni dei Tool ma è un nuovo capitolo, una nuova porta che si spalanca a un livello mastodontico. 
Aggiungo un altro aspetto, secondo me questo è un disco che pesca tanto dal rock progressivo degli anni 70, dalla concezione musicale dell'epoca dove era normale trovarsi di fronte a brani infiniti, dove i canoni della musica pop ancora non avevano avvelenato tutta la musica, dove il "radio edit" era presente in solo pochi esempi. Qui gode tutto di una libertà preziosa, tangibile.

Tool

Immaginate di aspettare per 13 anni il ritorno di qualcuno a chi volete molto bene. Molto probabilmente la testa vi riporterà l'immagine dell'ultima volta che avete visto quella persona. E invece, appena vi si presenta d'avanti, ecco che iniziate ad analizzare, a capire se il tempo ha lasciato il suo lascito e come l'ha fatto. Ecco, con Fear Inoculum quel ragionamento era logico. Cosa ha fatto il tempo ai Tool? Li ha resi immortali.

Selezionare pochi brani da questo lavoro è un esercizio pesante perché tutti meritano, tutti sono parte di un universo più complesso ma, nello stesso tempo, regalano qualcosa di nuovo e articolato. Scelgo quelle che, ora, sono le mie tracce favorite.
La prima è Pneuma che non è una canzone ma un manifesto. Uno di quei brani da far diventare un mantra, un brano che ormai fa parte della colonna sonora della mia vita. Perché sintetizza una concezione spirituale fondamentale che sicuramente renderebbe molto più pacifica qualsiasi forma di convivenza nel mondo. Siamo tutti la stessa cosa, siamo tutti interconnessi, siamo tutti una stessa forza. E se usi questo brano come inno allora qualsiasi unione diventa ancora più semplice.
La seconda è Descending, uno dei due brani presentati in anteprima nel tour pregresso all'uscita del disco. E' un brano tremendamente Tool, un brano che ci ricorda i lontani capolavori di Lateralus ma con un tocco in più. E' epico, prezioso, emotivo, un gioiello. Voce vellutata dentro a un brano incredibile.
L'ultima è 7empest, ponte con quello che fino ad adesso era sempre stato il mio disco favorito dei Tool, cioè Ænima. E' un brano con una dose sufficiente di aggressività, con quella potenza che solo la natura restituisce, con quella voglia di spazzare via le ingiustizie e tutta la merda, tantissima, che ci circonda. E' un resoconto delle colpe, della soluzione finale dalla quale è impossibile scappare. Imprescindibile.


Non si tratta dei 13 anni. Non si tratta dei Tool. Non si tratta del fatto che Fear Inoculum abbia dato un calcio in culo ai dischi commerciali nella testa delle classifiche. Si tratta semplicemente del fatto di prendere un lavoro del genere, di ascoltarlo, di rimanerci rapiti, di riascoltarlo, di scoprire nuove cose, di non riuscir a decidere quale sia il brano migliore, di non rendertene conto e di usare inconsapevolmente uno o più dei loro brani come colonna sonora dei tuoi propri momenti da incorniciare. Questa è la definizione di un capolavoro.

Voto 9,5/10
Tool - Fear Inoculum
Volcano Entertainment
Uscita 30.08.2019