Visualizzazione post con etichetta Dark Essence Records. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Dark Essence Records. Mostra tutti i post

sabato 21 settembre 2019

Costin Chioreanu & Sofia Sarri - Afterlife Romance: un amore d'oltretomba

(Recensione di Afterlife Romance di Costin Chioreanu & Sofia Sarri)


Qualcuno afferma che dietro a qualsiasi evento nella vita si celi l'amore. Anche le canzoni più rabbiose mai scritte in realtà rispondono all'amore, a quello negato, a quello tolto, a quello che non è possibile vivere. Ma l'amore dev'essere compreso come qualcosa di grande e importante, qualcosa che va oltre alle emozioni che una determinata persona ci può fare sentire. L'amore dev'essere visto come una ragione di vita, uno scopo che ci porta a prendere decisioni e a indirizzare la nostra propria strada. E perché? Perché solo in quel modo si verificano cose che non sono facilmente spiegabili, cose che vanno oltre alle logiche e a tutto quello che diventa standard. 

Afterlife Romance

Le collaborazioni sono sempre qualcosa di affascinante, perché vanno ad accrescere tutto quello che è un germoglio o perché permettono di esplorare nuovi orizzonti. Per quello il disco del quale vi parlo quest'oggi, Afterlife Romance, presuppone un inseguire uno scopo finale da parte di due artisti molto interessanti. Da una parte abbiamo il multidisciplinare Costin Chioreanu, artista rumeno famoso non solo per il suo percorso musicale ma anche per essere la mente dietro all'artwork di diversi lavori di grandi band metal. D'altra parte abbiamo Sofia Sarri, interessantissima cantante greca proprietaria di una voce eterea e dinamica che si presta perfettamente all'idea che ingloba questo lavoro. 
Infatti è essenziale capire quale sia il punto d'inizio di questo lavoro. Tutto nasce da una visione che sopraggiunge Chioreanu in una visita notturna al cimitero di Vienna.   Cosa verrebbe fuori da una storia che ricreasse l'amore tra due fantasmi? Un amore nato in quella dimensione d'oltretomba e non durante la vita. Un amore dove tutti gli altri fantasmi passano a essere personaggi secondari che arricchiscono questa trama. Insomma, un romanzo di oltretomba. 

Afterlife Romance

Che colore bisogna dare a un lavoro del genere? Non è una domanda banale perché secondo me giustifica moltissime scelte di questo lavoro e spiega anche l'origine dei due musicisti che costruiscono questo disco. Sembra che tutto corrisponda a una sfumatura, a un tocco che va a aggiungere dettagli a un maestoso quadro. Come se la condizione di artista visivo di Chioreanu abbia spinto per fare di questo Afterlife Romance un disco che dipinge con i suoni. E per quello la voce di Sofia Sarri diventa fondamentale. Perché il suo modo di utilizzarla, senza puntare a limitazioni, abbracciando una serie di registri ampi, è perfetta. Ed è qui che scatta il mio amore per questo disco, perché mi riporta alla mente dei lavori d'avantgarde metal che mi hanno sempre fatto innamorare, come i pregiatissimi tesori sonori nati dai The Third and the Mortal e da gruppi-conseguenze nati dopo, come Calmcorder o The Soundbyte. La sua voce regala questo livello ultraterrene che è perfetto per narrare questa storia. Musicalmente le scelte sono sempre molto azzeccate. Questo è un disco che si basa su una ricerca pura si una sonorità spettrale ma mai distorta. Per quello i suoni sono pressoché pulitissimi, partendo dal protagonismo della chitarra, passando dal tappetto perfetto delle tastiere e andando al contributo ritmico della batteria, una batteria che riempe senza mai essere assordante o prepotente. Tutto rimane pulito, tutto confluisce in questa direzione spettrale che non necessita d'altro. Per quello gli accordi rimangono sospesi, per quello la voce sembra bellissima ma intangibile, per quello la ritmica è ricercata. E' un vento d'oltretomba dal quale non è possibile fuggire. 

Afterlife Romance

Afterlife Romance ha un'altra grande qualità. E' un disco che ha un tocco di nostalgia che riporta alla mente tutti quell'immaginario romantico dell'epoca vittoriana ma lo fa con una nuova lettura, molto elegante ma illimitata, dove le scelte portano a spandere quello che potrebbe venire in mente con troppa facilità. L'idea di Costin Chioreanu & Sofia Sarri cresce e ci dimostra che certe tematiche non solo non passano mai di moda ma hanno tanto altro da dire.

Costin Chioreanu & Sofia Sarri

Scelgo tre brani che per me sono un passo sopra agli altri.
Il primo è The Gardenian Night Shift, brano d'apertura di questo lavoro e perfetto biglietto di visita. Il gioco tra fraseggi di chitarra, tappetto delle tastiere e batteria ricercata sono la base perfetta per una voce che non fatica a spaziare, a toccare vette alte per poi cadere, come una carezza che non si riesce ad afferrare. E' la porta d'ingresso a un nuovo mondo.
Il secondo è Dance on the Clouds Floor. Un brano che da un esempio prezioso si come si costruisce un'opera piena d'originalità. C'è uno sviluppo prezioso, mai scontato, tutto condito con una forte carica emotiva. Chi ascolta finisce per trovarsi, anche lui, disteso in un pavimento di nuvole.
Il terzo è Thanatoguards, brano che diventa la coronazione di quest'amore. Per quello la dolcezza che custodisce è anche rarefatta, per quello c'è un tocco inquietante, come se si tratasse di un amore sbagliato, incorretto, impossibile ma, invece, reale. Bellissimo ma inquietante, un brano da regalare soltanto a chi saprà cogliere la bellezza che conserva dentro.


Afterlife Romance è un disco di una bellezza unica, fragile al punto di rischiare di rompersi in più momenti ma è proprio quella caratteristica, quella di appartenere a diversi mondi contemporaneamente, a farlo diventare una gemma da apprezzare. La compagine Costin Chioreanu & Sofia Sarri funziona perfettamente perché voce e musica confluiscono in un'idea che trova la piena realizzazione in questo prezioso lavoro. Non per tutti ma per quei pochi che sapranno capire ed emozionarsi.

Voto 9/10
Costin Chioreanu & Sofia Sarri - Afterlife Romance
Dark Essence Records
Uscita 18.10.2019

venerdì 26 ottobre 2018

Avast - Mother Culture: uomo e natura, il conflitto eterno

(Recensione di Mother Culture degli Avast)


Tutto inizio è una scommessa, è un buttarsi a capofitto dentro a un futuro auspicabile ma mai immaginabile fino in fondo. Solo i tonti presuntuosi dichiarano di trionfare ancora prima di vivere. L'inizio può essere una fine ma può essere anche una porta spalancata a una nuova realtà che supera l'immaginazione. La musica è piena d'inizi. Qualcuno luminoso, in tanti altri, invece, così cupi da chiudere qualsiasi sogno, da cancellare l'ambizione di essere completamente appagati. Ma l'inizio è anche un atto di coraggio, di voler buttarsi dentro al sogno che ognuno custodisce.

Mother Culture

Indubbiamente se una casa discografica importante si fida di pubblicare il debutto di una band è perché nutre una grande fiducia nella stessa, perché crede che quello che musicalmente viene fuori è un "prodotto" che funzione, che è vendibile, che farà strada. Nel caso della Dark Essence Records, casa discografica norvegese, proprietaria di certe pubblicazioni notevoli dentro al mondo del metal, la sfida ha un nome: Mother Culture, primo disco degli Avast. Basta un singolo ascolto per capire come mai sia stata riservata una grande fiducia a questa band e a questo disco: questo è un lavoro di quelli che lasciano un segno. Un lavoro che svela una grandissima personalità e che, in certo modo, può rappresentare l'evoluzione di un genere "giovane" come il blackgaze. Questo perché nelle note che vengono fuori da questo disco c'è un'impronta nuova, una luce diversa che riesce ad illuminare degli angoli che fino ad adesso era rimasti nel buio. Come al solito questo pregio è dovuto alla volontà di mettere insieme tutta una serie di sensazioni sonore, congiungendo in un unico cerchio tutte le influenze e le inquietudini musicali che passano nella testa dei musicisti della band. Bisogna dire un grande grazie perché è così che si costruisce futuro, e questo genere di futuro è molto interessante.

Mother Culture diventa, quindi, il modo perfetto di capire qual è il messaggio musicale degli Avast. Un messaggio che, come dicevo prima, tende a spostare i confini del blackgaze grazie alla lungimiranza della band. Com'è normale pensare, da una parte questi confini s'indirizzano verso il black metal, genere che messo insieme allo shoegaze ha dato nascita al blackgaze. Arrivati a questo punto non c'è alcuna novità, che viene fuori con due aspetti fondamentali. Da una parte c'è il fatto che gli altri confini appartengano al terreno del "post", in concreto post rock e post black metal. Questo aspetto ci mette di fronte ad un lavoro imprevedibile, in continua mutazione. Un lavoro che è tanto devastante quanto incantevole. Pieno di bellezza ma crudo fino all'osso. L'altro aspetto fondamentale è quello che viene fuori considerando la radice musicale che ha lasciato un grande solco anche nel momento di comporre i brani. La band dichiara di avere una provenienza dal punk rock e l'hardcore, cioè generi asciutti, diretti, spregiudicati. Cosa c'entra tutto ciò con questo disco? Il fatto che sia un lavoro concreto, un lavoro che non si perde in innumerevoli sviluppi ma ha molto chiaro e definito dove dover andare. Il bersaglio viene centrato velocemente e con grande precisione.
Non bisogna assolutamente trascurare il fatto che Mother Culture è un disco concettuale che si rifà al libro Ishmael di Daniel Quinn. Libro che cerca di illustrare la relazione tra l'uomo e la natura, in una convivenza mai facile dove ogni parte sembra voler governare l'altra. Questo conflitto si sente costantemente, mettendo di fronte la parte black e quella post rock, come se la crudezza della prima si scontrasse con la bellezza della seconda. Ma il gioco interessante è che non è mai chiaro quale parte corrisponde alla natura e quale all'uomo. 

Mother Culture

Mother Culture è, dunque, un disco conflittuale. Un disco che si basa sulla più importante relazione di sempre, quella tra uomo e natura. Gli Avast sono abilissimi a mettere in risalto questo conflitto, a fare osservare tutto da diverse prospettive, non solo testuale ma soprattutto musicali. E, cosa più importante, da questo esercizio viene fuori un'evoluzione musicale che farà giovare tutti gli amanti del metal e di tutto il suo mondo, complesso, ricco e bellissimo.

Avast

Per dare l'idea dello spettro che abbiamo di fronte selezione due delle tracce di questo lavoro.
La prima è l'omonima traccia, Mother Culture, dove l'energia trascinante della parte black si mette subito in risalto dando l'idea all'ascoltatore di essere di fronte a un disco di post black metal. Ma bastano un paio di minuti per capire che, invece, il disco si nutre dalle sonorità del blackgaze. E dopo un altro paio di minuti ecco che tutto si evolve ancora una volta regalando una parte strumentale degna delle migliori band di post rock
La seconda è An Earnest Desire dove le carte si capovolgono. Tutto inizio lento, bello, onirico ma l'incantamento non dura troppo perché il conflitto è sempre lì, protagonista assoluto di questo lavoro. Diventa tutto devastante, un'onda d'urto che non vuole ammorbidirsi.


Non ho alcun dubbio che ne sentiremmo parlare degli Avast e che se la loro strada procederà su binari dritti non sarà difficile individuarli come capisaldi di una corrente nuova dentro del metal. Mother Culture è un signore disco, tanto impattante quanto emozionante, tanto complesso quanto diretto, tanto dissacrante quanto speranzoso. Un primo LP che spalanca porte e che lascia con la voglia di ascoltare altro, perché l'anima è sempre affamata di fronte ad opere come questa.

Voto 9/10
Avast - Mother Culture
Dark Essence Records
Uscita 26.10.2018

lunedì 1 ottobre 2018

Madder Mortem - Marrow: l'entità definita e presente

(Recensione di Marrow dei Madder Mortem)



Quanto profondo è il nostro essere? Ci si arriva mai a capirlo completamente e nella sua essenza o c'è una parte che rimarrà sempre ignota, anche a noi stessi? Quante cose ci sono dentro di noi stessi che non riusciamo a tirare mai fuori? 
Musicalmente tutte queste domande hanno un riflesso nel percorso di ogni band. Perché fare parte di un progetto non è mai semplice, è un compendio di equilibri fragili, d'inquietudine mutabili che si nutrono di esperienza ed evoluzione; di scelte che non sono sempre condivise da tutti quanti. L'onestà musicale piena forse non esiste mai, tranne nel caso dei cantautori o dei progetti musicali individuali, e avvicinarsi è un privilegio di pochi.

Marrow

Dopo un silenzio durato parecchi anni nel 2016 i norvegesi Madder Mortem ci hanno sorpreso con un graditissimo ritorno intitolato Red in Tooth and Claw (recensione che trovate qui). Un album energico, in un certo modo cattivo, ma certamente il riflesso dell'evoluzione di una band che aveva tutte le carte in gioco per continuare a raccontarci una serie di storie meravigliose con la propria musica. Il ritorno è stato molto ben colto e dopo una lunga serie di concerti affiancando uno dei progetti musicali più interessanti del panorama attuale, cioè quello degli svedesi Soen, ecco che la band norvegese ci regala un album prezioso che certifica l'accerto di essere tornati. L'opera in questione si chiama Marrow, midollo, e,in un certo modo, denuda l'essenzialità del gruppo, mettendo sotto lo sguardo di tutti i 360 gradi del loro mondo musicale. Una scelta assolutamente coraggiosa e degna d'applauso che da risultati molto positivi.

Marrow

Marrow ha, anzi tutto, una caratteristica fondamentale che edifica tutto quello che viene poggiato sopra. Questa caratteristica è la sicurezza. Siamo di fronte a un disco che non si perde intraprendendo delle strade disconnesse. Tutto sembra essere parte di percorso studiato, verificato e percorso un'infinità di volte. Ma non per questo diventa monotono, routinario, scontato. Questa "gitta" musicale permette ai Madder Mortem di farci vedere quante più caratteristiche possibili del loro universo musicale, che vanta ben sette LP, spaziando senza mai uscire da quello che sono, quello che è il loro midollo. Il punto centrale, intorno al quale ruota tutto il resto, è il progressive metal ma le strade che confluiscono in questo punto hanno tutta una serie di sfumature che le portano a offrirci dei brani di una bellezza emotiva unica, e che meritano di essere annoverati come esempi pratici di come si devono costruire una serie di ballate rock o metal, ma ci portano anche a soluzioni per nulla scontate e che abbracciano così, un'altra parte essenziale della storia della band, cioè quella dell'avantgarde metal. Nella descrizione dell'album, fornita dalla lungimirante casa discografica Dark Essence Records, si parla del loro lavoro più doom fino ad oggi. Posso essere d'accordo in parte con questa definizione, perché se bene molto spesso ci siano effettivamente delle sonorità che vanno in quella direzione il tempo e le atmosfere sonore ricreato non sono propriamente di quella linea. 
Il messaggio principale è che i norvegesi sono in grado di passare da uno stato emotivo, tradotto naturalmente in musica, a un altro molto distante con una grande maestria.

Marrow

Marrow si trasforma a tutti gli effetti nella fotografia più fedele dei Madder Mortem. Sembra che non si lasci nulla al caso, che non ci sia alcuna voglia di nascondere nulla, che non ci siano bisogno di approfondire solo un aspetto di quello che fa la band ma che quello che arriva alle nostre orecchie sia l'essenza stessa del percorso musicale intrapreso. I contrasti ci sono, e sono drastici, la bellezza c'è, e si cella negli angoli meno scontati. Tutto funziona con una semplicità che più che mai non è semplice, perché contrasta la complessità che c'è dietro al mondo musicale di questo disco.

Madder Mortem

Prendo tre brani da approfondire maggiormente come riflesso di quello che ho cercato di spiegarvi precedentemente. 
Il primo è Until you Return, forse il punto più alto del disco. Siamo di fronte a una ballata struggente, di una bellezza sconvolgente. Un brano costruito con delle atmosfere sonore che potrebbero sembrare quasi dal post rock, per poi esplodere con una grinta che fa capire che non siamo assolutamente in linea con un brano smielato e scontato. E' epico, emozionante, onirico.
Il secondo è Far from Home. Di nuovo siamo di fronte a un brano che potrebbe sembrare parte della parte più tranquilla della band. Ma anche qui nulla è scontato, tutto procede su una strada che non ha paura di addentrarsi in mondi rarefatti, perché nulla è scontato, perché qualsiasi emozione può prendere direzioni che sono da esplorare. E' un invito.
La terza è Waiting to Fall, brano di chiusura del disco, anche se per dovere di cronaca c'è un'ultima traccia che s'intreccia con quella di apertura di questo lavoro. Questo brano permette di capire al meglio l'anima progressiva della band e anche il nulla pregiudizio nell'abbracciare tutta una serie di elementi iniziali che all'inizio non si accosterebbero al loro genere. E' un brano che effettivamente ci trasmette questa resistenza interna, questa opposizione a una caduta, questa ribellione dell'anima, fatta di urla liberatorie.


Marrow è un esercizio di onestà assolutamente non semplice. E' il modo nel quale i Madder Mortem ci raccontano quello che sono come band, quello che hanno percorso, quello che hanno visto, quello che hanno ascoltato, quello che poi è il riflesso di quello che sono come entità. Perché, alla fine, le band importanti diventano a tutti gli effetti delle entità che siano sempre presenti nelle nostre vite.

Voto 9/10
Madder Mortem - Marrow
Dark Essence Records
Uscita 21.09.2018 

mercoledì 20 settembre 2017

Five the Hierophant - Over Phlegethon: costruttori ed artisti dell'oscuro

(Recensione di Over Phlegethon dei Five the Hierophant)


Cosa ci serve perché la musica ci faccia viaggiare in mondi inimmaginabili? Cosa ci serve perché la musica sia il modo più fedeli di farci sentire quello che sono dei racconti antichi che parlano di posti così particolari da non esistere nella realtà? Io non so rispondere accuratamente a queste domande perché credo che le risposte siano molto relative, ma so che ci sono artisti che riescono a farlo, che ci illustrano luoghi impressionanti facendoci sentire quello che succede lì. E' una delle tante magie della musica, ed è per quello che è infinita.

 La musica strumentale è sempre una musica che ha delle belle sfide da porta avanti. Questo perché non è affatto semplice tradurre con i suoni tutto quello che una voce può dire con chiarezza. Ma forse è proprio questo svantaggio a trasformarsi in un vantaggio. Grazie a quella qualità la musica strumentale parla a tutti e ciascuno traduce il messaggio ricevuto nel miglior modo possibile. I messaggi lanciati dai Five the Hierophant con il loro primo disco, intitolato Over Phlegethon, non avranno infinite letture, perché diventa abbastanza chiaro dove ci vuole portare la band, ma avrà delle sfumature che varieranno d'ascoltatore in ascoltatore. Sarebbe molto curioso chiedere cosa suggerisce l'ascolto di questo loro primo disco e mettere a confronto le risposte. In questa recensione, oltre a darvi qualche piccola informazione su questa band, vi dirò che cosa mi arriva di questo disco.
Per quanto riguarda le informazioni è essenziale partire dal fatto che questa band britannica è composta da tre musicisti. Questo permette già, per chi avrà modo di ascoltare questo disco, di capire qual è la capacità strumentale di ogni musicista. Questo perché in questo disco c'è una grande profusione di strumenti, che oltre alla normale base basso-chitarra-batteria ci regala degli interventi di strumenti come il sax, il violino, lo djembe o gli aerofoni. Per chi si fermasse qua nella lettura di questa recensione potrebbe venire in mente il suono di una band esotica, multiculturale e di marcata linea folkloristica. Niente di più lontano da questo disco. Infatti Over Phlegethon è una lavoro ostico, pesante, avanguardista dove l'innesco di strumenti lontani dalla realtà musicale rock o metal è legata alla necessità di guidare l'ascoltatore nell'inferno sonoro che viene dipinto traccia dopo traccia in questo lavoro. Infatti non ci sono virtuosismi o richiami multiculturali ma sono la necessità di tradurre in suono il meglio possibile quello che si sente. Più che mai gli strumenti sono un mezzo e non la finalità. 

Over Phlegethon

Vi ho già dato qualche piccola indicazione di quello che può essere il mondo musicale dei Five the Hierophant ma andando più nel profondo quello che viene fuori è che anche a livello di generi sembra che tutto sia orientato alla teatralità tetra della musica della band. Over Phlegethon diventa un disco che è molto difficile da classificare, e per quello può venire in ausilio il concetto di avantgarde metal. La difficoltà radica soprattutto nel fatto che diversi momenti richiamano diversi generi. C'è un marcato utilizzo del drone metal che s'intreccia molto fortemente con l'ambient ma c'è anche molto di post metal soprattutto per via delle scelte sonore e dello sviluppo molto prolungato dei brani che formano quest'opera prima. Ma la presenza di quegli strumenti "esterni" all'immaginario metal sicuramente aprono una crepa dalla quale s'intravedono delle traccie di free jazz ma non solo, molti spazi sonori prendono la sicurezza del black metal psichedelico. Indubbiamente siamo di fronte ad un lavoro di creazione meticolosa, ad una capacità di traduzione d'immagini e di racconti in musica, dove tutte le scelte, per quanto riguarda i generi da utilizzare e gli strumenti da chiamare in causa, corrispondono ad un'idea che sovrasta tutto il resto.

Over Phlegethon

Credo che il modo migliore d'immaginare e di visualizzare questo Over Phlegethon sia quello di viverlo come una colonna sonora. Provate ad ascoltare l'intero disco con gli occhi chiusi e vi garantisco che andrete a spasso con la mente tra paesaggi surreali dove personaggi mostruosi mescoleranno natura e artificialità per ballare al ritmo di una musica ipnotica. La musica dei Five the Hierophant è come un cortometraggio di Blu perché gioca con l'immaginazione ma anche con le paure, dando allo stesso tempo tante chiavi di letture che possono risultare delle critiche al nostro mondo attuale. 

Five the Hierophant

Rimarcando un'altra volta che la musica di questo disco corrisponde alla voglia di esprimere al meglio quello che si ha in mente devo dire che non c'è alcuna linearità tra i brani. Qualcuno è oscuro ed ostico, qualcun'altro prende in tutto e per tutto le sembianze di un lavoro drone ma altri sembrano divertirsi al suono di quello che potrebbe essere un'apertura jazz. Insomma, ogni traccia è un mondo a parte. Io mi tengo, soprattutto, queste due:
Queen over Phlegethon. E' la traccia d'apertura del disco e sin da subito il connubio sonoro ci porta a capire che difficilmente si possono trovare dei paragoni a quello che stiamo suonando. Un riff potentissimo di chitarra, che potrebbe provenire perfettamente da un brano di black metal, si mescola con dei djembe e un sax indemoniato. La base diventa un loop alienante che si riempe o svuota lasciando stazio ad una serie di note che prendono quasi delle sembianze di rumore. E' quasi una jam demoniaca che ci dipinge un abisso da osservare con cura.
Der Geist der stets verneint. Se mancavano elementi con questo brano aggiungiamo pure un punto di vista circense, ma di quei circhi che fanno paura, che sono figli di un degrado che si respira dalla prima all'ultima funzione, da ogni dettaglio. Ma c'è anche molto oltre questa canzone. Come sostengo molto spesso quando un brano strumentale è molto ben fatto quello che viene fuori è un racconto tangibile. Questo è quello che viene fuori con questo brano. 


Over Phlegethon è un disco libero. E' un lavoro che non vuole essere inglobato in alcun mondo. E la scommessa che faccio è quella di dire che pure i successivi lavori dei Five the Hierophant seguiranno questa linea. Loro sono dei costruttori, e quando metti in mano una serie infinita di materiali in mano a qualcuno del genere il risultato è incredibile, ma sono anche artisti è sanno sorprendere con tutto quello che fanno. Questo è un disco per chi cerca l'evasione nella musica. Il ottimo risultato è più che garantito.

Voto 8,5/10
Five the Hierophant - Over Phlegethon
Dark Essence Records
Uscita 22.09.2017

domenica 10 settembre 2017

Atrox - Monocle: l'evoluzione esemplare

(Recensione di Monocle degli Atrox)


Prima dell'era di internet e del facile accesso a quanta più informazione immaginabile, non era mica semplice conoscere nuovi gruppi. Ci si poteva affidare alle pubblicazioni specializzate ma la cosa che funzionava meglio era il passaparola. Quando qualcuno sapeva qualcosa dei musicisti o dei generi che piacevano subito s'impegnava di aggiornare il resto degli amici. E' così che partendo dai The Third and the Mortal sono venuto a conoscenza dell'esistenza di una sorella di Ann-Mari Edvardsen, seconda cantante della band. Nulla d'importante fino a qua, se non fosse che questa sorella, Monika, è anche una cantante e all'epoca mi sorprendeva con due dischi preziosi, Tactile Gemma, registrato insieme alla sorella, e Terrestrials, prestando la sua voce ad un progetto di nome Atrox. Sono stati questi collegamenti a portarmi a conoscere un gruppo che faceva delle cose mai sentite prima, per via dell'insieme che si creava in ciascuna delle loro canzoni. 
Ora tutto è molto più semplice, in pochi secondi siamo in grado di creare una rete che collega svariati gruppi e musicisti ma anni fa era una bella impressa. 

Sono stato felicissimo di ricevere, qualche settimana fa, il promo degli Atrox con il loro ultimo album, Monocle. Perché? Perché ogni volta che una delle band con le quali sono cresciuto fanno qualcosa di nuovo i collegamenti col passato, con conversazioni che sono rimaste fluttuanti nel tempo, si fanno vivissimi, ed è una gioia. Non solo, c'è anche un fatto di capire com'è passato il tempo, come la vita è cambiata, per me e non solo. Infatti questo nuovo lavoro di questa band norvegese lo lascia molto, molto chiaro. Già da diversi anni che Monika Edvardsen non fa più parte del gruppo ma la direzione che prende questo lavoro non ha a che fare soltanto con il fatto che la voce sia maschile. Ma prima di addentrarci nei cambiamenti effettuati dalla band bisogna prendere in considerazione che sono passati ben nove anni dalla loro ultima fatica discografica.
Se prima il discorso musicale, molto complesso, era affascinante perché la band era piena di elementi progressivi che venivano mescolati a sonorità death metal con un utilizzo quasi strumentale della voce femminile, tanto da essere stati sempre considerati come uno dei principali esponenti dell'avantgarde metal, anche oggi c'è una capacità illimitata di fare qualcosa di nuovo, che può trovare paragoni in altre band ma che non vanno oltre a certi aspetti molto puntuali.

Monocle

Ed allora, come sono gli Atrox del 2017? Sono fottutamente moderni. Sono futuristici ma non fantascientifici. Mi spiego meglio, la loro musica ha preso una serie di sfumature industrial senza per quello rinunciare alla loro parte più progressiva. Un'altra novità che si era già verificata prima è che la voce maschile apre tutta una serie di vie che prima non venivano contemplate minimamente. Per esempio la profondità timbrica che da un'energia molto diversa. Ma torno al concetto di futurismo senza essere fantascientifici. Dal mio punto di vista questo Monocle potrebbe perfettamente essere la colonna sonora del nostro mondo odierno o di quello che ci sarà tra pochi anni. Suoni che suggeriscono quello che è il peso della tecnologia nella nostra vita di tutti i giorni, ma non soltanto dal punto di vista positivo ma, soprattutto, da quello negativo, quello di una alienazione crescente che ci sta portando ad isolarci quanto più possibile. Ecco cosa suggerisce questo album, nelle sue contraddizioni tra riff di chitarra pesanti, tastiere quasi sinfoniche e basi programmate, tutto formando una base perfetta per una voce profonda che narra tutto ciò.

Monocle

Quest'evoluzione degli Atrox è affascinante, perché da una parte non sembrerebbe di essere di fronte alla stessa band, ma andando poi ad ascoltare con calma non è difficile scovare degli elementi che adunano questo Monocle con gli atri 5 LP precedenti. Se quindici anni fa, più qualcun'altro, la band era già molto avanti in comparazione con tanti altri gruppo tutt'ora lo è. Ma il modo di avere questa lungimiranza è cambiato, la band ha cambiato pelle perché doveva essere così, perché la modernità del passato non lo sarebbe più nel presente. Oggi tutto è molto più diretto, più asciutto, ma non per quello estremamente interessante.

Atrox

Ci sono tre brani che lasciano in chiaro com'è la versione 2017 della band.
Il primo apre l'album e s'intitola Mass. I primi compassi sono un ponte col passato, con quello che potrebbero essere stati i dischi anteriori della band. Ma basta che entri la voce e che il brano esploda per capire qual è il cambio di pelle della band, e qual è la strada che hanno deciso di percorrere. Il ritornello del brano rimane impresso ed è impossibile dimenticarlo. E' una biglietto da visita che ingloba questa nuova vita.
Suicide Days è attuale, è moderna, è robotica. E' un brano che si sviluppa con una metodicità impattante, quasi da intelligenza artificiale. Anche in questo caso il ritornello rimane molto impresso perché ricco di una melodia molto ben ritrovata, ma è il modo di mettere in gioco quella melodia quello che da tanta forza all'originalità della band.
Per concludere Target è un brano estremamente industrial dove synth e base programmata sono fondamentali. Ed è molto importante quel dosaggio, capire quando l'elettronica può prendere il protagonismo e quando, invece, è meglio lasciare lo spazio alla parte suonata.


Monocle è un disco che dimostra, ancora una volta, la bravura degli Atrox, in uno dei modi più diversi. Perché è molto facile cullarsi su formule collaudate e non cambiare mai o è ancora più facile ammorbidire il proprio suono rendendolo alla portata di un pubblico maggiore. Ma quando nulla di questo avviene e la strada nuova da percorrere è inedita allora c'è molto coraggio ed intelligenza. Soprattutto perché qua parliamo di evoluzione e non di metamorfosi. Questo è il 2017 e lo si sente chiaro e nitido. 

Voto 8,5/10
Atrox - Monocle
Dark Essence Records
Uscita 08.09.2017

mercoledì 22 marzo 2017

Krakow - Alive: un feedback emotivo

(Recensione di Alive dei Krakow)


Una delle esperienze più interessanti ed intense che possa mai capitare nella musica è quella del live. Un concerto non è soltanto il momento nel quale una band deve far vedere quello che riesce a fare musicalmente ma è una specie di rito dove pubblico e musicisti vivono un'esperienza unica fatta di odio ed amore, di fascino e ribrezzo, di energia e di calma, di emotività e di partecipazione. Un concerto memorabile rimane impresso per sempre in ognuno di noi.

Ho sempre guardato con un po' di scetticismo i dischi che sono delle registrazioni di un concerto. Soprattutto perché è difficile ripetere soltanto con l'audio un'emozione costruita di tanti altri elementi, per esempio quello visivo. Ciononostante è innegabile che certi dischi live siano passati alla storia come pietre miliari della musica e, in certi casi precisi, le versioni live di certe canzoni sono molto più celebri di quelle di studio. Per quello mi avvicino con calma a questo Alive, primo disco dal vivo che vi recensisco. Quest'album è stato registrato nel concerto dei Krakow al USF Verftet di Bergen ed è composto da quattro lunghe tracce che permettono di apprezzare al meglio il lavoro di questa band norvegese. Quello che viene fuori è un risultato molto interessante, perché è suonato con una grande intensità e qualità e perché, cosa molto difficile, riesce a trasmettere tutto il pathos che si crea in un concerto dando l'illusione di essere presente. 


Alive

Sicuramente è il post metal dei Krakow a facilitare questo compito. Questo perché a livello di suono c'è già un'alta componente sia emotiva che ipnotica. Ci si ritrova catapultati in quel vortice sonoro che non lascia alcuna via di scampo, partecipi dunque da quel rito chiamato Alive. La cosa interessante dentro alla musica di questo quartetto norvegese è che, in contrasto con altre band regine di questo genere musicale, la loro musica ha un'altra struttura, un altro modo di snodarsi giocando sempre con le stesse carte, ma distribuite in modo diverso. E' come se la matteria che conforma le creazioni sonore del gruppo fosse diversa da quella usata in tanti altri progetti. E questo arriva in questo disco. C'è più che mai una connessione fortissima tra l'ascoltatore e la musica.

Alive

E' come se ci fosse una forte cosmologia interna che venisse proiettata su un ampio soffitto a volta di stella. Vediamo un universo, ma quell'universo sta dentro ad ognuno di noi. E nel caso di questo Alive  questa sensazione viene amplificata perché si tratta di un concerto. Si sente che i Krakow sentono. Sentono l'energia di un pubblico rapito, sentono la potenza del suono che loro stessi creano, sentono l'emotività amplificata, perché dall'altra parte c'è chi riceve e alimenta questo vincolo creando un feedback di emozioni

Sicuramente per via della loro durata le due tracce che ho selezionato sono quelle che acconsentono maggiormente lo sviluppo di questo vincolo. Sono i brani d'apertura e di chiusura di questo disco.
Il primo è Monolith ed è una graduale avventura che ci trasporta in questo affascinante viaggio. Rumori che si mescolano ad una linea malinconica di chitarra per poi esplodere con concretezza. E' una canzone strumentale, più vicina ad un'immaginario post rock con ritmiche sludge. E' il portale d'ingresso.
L'uscita invece viene rappresentata da Mound, ultima traccia di questo lavoro. Se il primo brano era pacato ed ipnotico questo riprende sempre l'aspetto quasi psichedelico del primo ma con un trattamento assolutamente diverso. E' la reiterazione tantrica di certi riff a fare da mezzo di trasporto. Ma c'è molto altro, questa canzone è una costante ondata d'urto intervallata a momenti di rilascio che c'illudono di ritrovare una qualche pace. Illusione che viene spezzata da cambi di dinamica bestiali dove la band da il meglio di se stessa.

Krakow

Dentro alla complessità di quello che significa un disco dal vivo questo Alive ne esce vittorioso. Perché è piacevole da ascoltare per via di una registrazione di alta qualità. Ma, soprattutto, perché incrementa notevolmente l'aspetto emotivo di queste canzoni. Si sente il sudore, l'energia, il trasporto di chi suona, e si sente che il pubblico si esalta di fronte a questa prestazione. Per quello ritengo che questo disco dei Krakow sia un perfetto esempio di quello che dovrebbe essere un lavoro registrato dal vivo.

Voto 8,5/10
Krakow - Alive
Dark Essence Records
Uscita 24.03.2017

Sito Ufficiale Krakow
Pagina Facebook Krakow

venerdì 23 dicembre 2016

Helheim - landawarijaR: i vichinghi d'oggi ascoltano la PFM

(Recensione di IandawarijaR degli Helheim)



Per chi legge regolarmente questo blog, è chiaro che una delle mie intenzioni principali è quella di trasmettere le emozioni e le riflessioni che mi suscitano i dischi che ho la fortuna di ascoltare e recensire. Questo perché dal mio punto di vista la chiave di lettura più interessante di un lavoro discografico è quella che mette sullo stesso piano le intenzioni, presumibili, dietro alla stesura di un disco e le sensazioni personali che vengono fuori ascoltando le canzoni. 
Una delle cose più interessanti, da quando ho intrapreso quest'avventura, è la costatazione di certe tematiche ricorrenti tra gruppi molto diversi. Questo è dimostrazione della sensibilità dei musicisti, che molto spesso riescono a sintetizzare perfettamente quello che capita nel mondo. Per quello quel binomio tradizione-evoluzione è affascinante. Lo è perché potrebbe sembrare una contrapposizione, ed invece non è così. L'evoluzione necessita della tradizione ed evolversi non significa abbandonare la tradizione. 

Gli Helheim sono un gruppo navigato. In più di vent'anni di carriera hanno contribuito alla costruzione di quel genere chiamato viking metal. Per quello è molto interessante affrontare questo loro nono LP intitolato IandawarijaR. Lo è perché l'ascolto di questo lavoro ci regala tutt'altra cosa che quel certo "fondamentalismo" che potrebbe essere ricorrente in gruppi di questo genere. IandawarijaR è un disco complesso che si nutre di contaminazioni sonore e di collaborazioni che allargano lo spettro musicale di questa band norvegese. Dunque sì, viking metal, ma molto altro ancora. Ci sono strizzatine d'occhio all'avanguardia musicale del metal, ad un certo tipo d'ambient che coabita col post rock ed al prog rock con tanto di omaggio all'italianissima Premiata Forneria Marconi. Insomma, un insieme eterogeneo che nulla ha a che fare con un disco "purista" o "tradizionale". Ma, nello stesso tempo, c'è un'impronta essenziale di quello che è l'ideologia dietro alla musica di questa band. Cioè la convinzione che tanti elementi della tradizione vichinga potrebbero essere utili alla società attuale. 

IandawarijaR


I brani che compongono questi IandawarijaR sono complessi, di grande lunghezza e di evoluzione progressiva, dove l'orizzontalità dei brani viene preferita ad una struttura più convenzionale. Oltre a ciò, un altro aspetto che rende questo lavoro molto appetibile, è che nessun brano è troppo simile agli altri. Naturalmente c'è una coerenza che si traduce in un'impronta inequivocabile, ma per il resto ogni brano regala degli elementi particolari. 
Un'altra caratteristica che da unicità a questo lavoro è che, oltre agli strumenti "tradizionali" del metal, gli Helheim non disdegnano l'utilizzo, molto ben lavorato, di timpani, che ingrossano il suono, e di corni, che sicuramente regalano una certa lettura folk.

Nel metal spesso si rischia di cadere nel ridicolo, facendo dei dischi che sembrano delle repliche inesauribili dei dischi pionieri di certi sotto generi. In quei casi sembra che quei gruppi siano rimasti congelati nel tempi, in un'epoca lontana non solo anagraficamente ma anche a livello d'intelligenza. IandawarijaR, per fortuna, è lontanissimo di questo. E' un disco moderno, divertente e complesso. E' un contenitore coerente di un'intenzione: quella di sviluppare ulteriormente il messaggio musicale degli Helheim. Ed è una scommessa vinta, perché non è un disco settoriale che piacerà soltanto ad una nicchia e basta, ma troverà l'approvazione di chi ama il metal, ma anche di chi cerca delle suggestioni progressive. E' un disco di vichinghi odierni, e non di viaggiatori del tempo.

Helheim


Tre brani da trasmettervi in modo più accurato.
Il primo è Ymr. Sin dall'inizio è palese che se vi stavate aspettando un disco viking metal "tradizionale" dovete stoppare il disco. Un'intro folk, intrecci di chitarre acustiche ed elettriche, di parti pulite ed altre distorte e sovrapposizioni di voci di diversi registri. Intensa ed emozionante.
Il secondo brano è LandawarijaR. Grazie a questa canzone si capisce l'apertura musicale della band. Dal metal si passa, e si gioca tanto, al prog. Per chi ascolta il brano per la prima volta sarà inevitabile drizzare le orecchie quando arriverà una parte strumentale che riproduce il famoso motivetto di tastiera di Impressioni di Settembre della PFM. Un omaggio molto bello.
Per finire vi consiglio Endedagr. La canzone che chiude il disco è sorprendente. Parte densa per poi svilupparsi in diverse direzioni prendendo sfumature ambient e post metal. Un gran bel viaggio.

IandawarijaR è un bellissimo lavoro per via dell'intelligenza che c'è dietro. Invece di basarsi sulle sicurezze è un disco aperto a variopinte influenze con l'animo di trasmettere un messaggio concreto. Ed è bello vedere che la musica si nutre di questo, di intrecci, di nuove letture e nuove riscritture. Viva i vichinghi d'oggi.

Voto 8,5/10
Helheim - IandawarijaR
Dark Essence Records
Uscita 20.01.2017

mercoledì 9 novembre 2016

Black Hole Generator - A Requiem for Terra: profondo quanto l'universo

(Recensione di A Requiem for Terra dei Black Hole Generator)


L'oscurità. l'ignoto. Il mistero. Un portale che in tanti non sono disposti ad attraversare per paura. Il segreto, però, è che quando si sta in mezzo al buio gli occhi si abituano e, piano piano, il nero inizia a decomporsi in diversi sottottoni che svelano quello che fino ad un attimo prima non vedevamo. Penso che nella musica sia lecito fare un paragone simile. La stra grande maggioranza degli artisti hanno deciso di fare la loro propria musica "alla luce" rimanendo sempre dentro ad un mondo fortemente limitato e di uso e consumo spietato. Non è quello che a me interessa. Come ormai saprete, questo blog si nutre dell'altra categoria di artisti. Quelli che hanno il coraggio di muoversi nel buio e di raccontare quello che vedono, immaginano e vivono. Perché? Perché lo fanno con onestà e passione.

Il buio ha molte forme. Quella che viene raccontata da Black Hole Generator è la sua forma energica ed intensa come l'ignoto cosmico. Il secondo LP di questo progetto, uscito alla notevole distanza di 10 anni dal debutto, ne è la conferma. A Requiem for Terra è un lavoro che spazia tra testure e contaminazioni sonore che ricreano un discorso musicale assolutamente originale che potrebbe trovare qualche paragone, volutamente non casuale, nei Vulture Industries. Questo perché l'uomo che c'è dietro a questi due gruppi è lo stesso, cioè Bjørnar E. Nilsen. La differenza sta nel fatto che Black Hole Generator rappresenta il suo punto di vista personale co-aiutato da altri musicisti. Dicevamo però che il linguaggio musicale presente in questo disco ha degli aspetti molto particolari. Il punto di partenza è sempre il black metal ma le vie musicali che intraprendono le sette tracce incluse nel disco prescindono da limiti e definizioni. C'è qualcosa di cosmico che unisce tutto.




Approfondendo, infatti, il discorso musicale di A Requiem for Terra, viene fuori che c'è una grande dinamicità che genera una serie di discorsi indipendenti abbinabili ad ogni canzone. Tutte unite, però, da una grandissima energia. Occhio però, perché quest'energia non si traduce in ritmiche impazzite o riff massacranti di chitarra. No, anche le canzoni mid tempo hanno la stessa intensità fatta da un trattamento sonoro che tende ad omologare molto la parte strumentale presentandola come un blocco compattissimo e funzionante. La voce cosmica di Nilsen non trova problemi a spaziare tra registri e modalità variopinte di cantare dando ancora di più questa dimensione fantascientifica. Dunque sì, c'è del black metal ma è un black metal che poco e niente ha a che fare con quello di tanti altri gruppi. E' l'aspetto avanguardista quello che conferisce a questo disco una dimensione molto più interessante di tanti altri dischi. E' il trattamento sonoro che gioca con i suoni a regalare l'intensità ed il coraggio presenti nella musica dei Black Hole Generator.

A Requiem for Terra è l'ennesima dimostrazione che in Norvegia lo stato di salute del metal è quello che tutti ci augureremo per noi stessi. Non ci sono limiti ed imposizioni ma un solo obbiettivo: quello di far arrivare il proprio discorso musicale utilizzando tutto quel che possa servire per ingrandirlo. Black Hole Generator è un esempio palpabile dove la spazialità è presente in ogni singola nota. C'è una costruzione accuratissima di ogni brano che sorprende l'ascoltatore. Non appena viene accennata una parte tutto cambia e veniamo catapultati in un nuovo discorso musicale che potrebbe sembrare incoerente ma che guardato alla distanza si giustifica completamente. E' questa la forza di questo disco: l'assenza assoluta di limiti, è chiaro, soltanto, il punto di partenza. Il resto è un'avventura.




Tre consigli di canzoni d'ascoltare.
La prima è la title track che apre il disco. Sin dalle prima note che evidenziano delle chitarre sommerse, trattate quasi come se fossero un materiale, si capisce la genialità del disco. Anche la voce viene trattata come se provenisse da un'altra dimensione. E poi c'è il ritornello, e tutto esplode e si ficca in testa. Il brano si evolve sempre di più strizzando l'occhio al black metal.
Titan è invece un brano dove la dimensione astrale è molto più presente. Ricorda a tratti gli Arcturus, ma successivamente fa capire qual'è la forza di questo disco. I costanti cambi. La dinamicità della voce. I break strumentali pieni di energia. Un grandissimo brano. 
Per chiudere vi segnalo Spiritual Blight. Canzone ciclica che diventa quasi un rituale che ti cattura. Dentro a questo vortice sono tanti gli spunti spunti sonori che ingrandiscono il discorso rappresentando una perfetta chiusura di un album. 



A Requiem for Terra
 ha tutte le caratteristiche che fanno che la musica sia viva. E' un disco senza limiti e quest'apertura mentale regala l'inedito. Non è la replica di qualcosa sentito e risentito ma è una voce nuova con una forza naturale. Dieci anni sono tanti ma l'attesa è valsa vedendo cosa hanno sfornato i Black Hole Generator. Dal cosmo ora torno sulla Terra.


Voto 8,5/10
Black Hole Generator - A Requiem for Terra
Dark Essence Records
Uscita 18.11.2016

Pagina Facebook Black Hole Generator
Pagina Bandcamp Black Hole Generator