venerdì 30 dicembre 2016

Top 10 album 2016

Alcest


Per l'ultimo post dell'anno ho deciso di misurarmi con quello che è stato questo 2016 a livello musicale. Andando oltre al fatto, detto e ribattuto infinite volte, che è stato un anno nefasto per via di tutte le morti celebri, devo dire che a livello personale mi ha regalato un sacco di spunti bellissimi. Un esempio su tutti: l'aver deciso di aprire questo blog e ritrovarmi sommerso di musica di altissima qualità riscontrando una risposta positivissima sia nei lettori che negli stessi gruppi recensiti o intervistati. 
Slittare questa classifica non è stato semplice e per farlo ho scelto di includere soltanto degli LP, lasciando fuori dei validissimi lavori come Can't you Wait, ottimissimo EP dell'islandese GlerAkur. Un'altro aspetto fondamentale è stato quello della distanza temporale. Come vedrete il primo in classifica non è un album che ha ottenuto il voto più alto quando l'ho recensito, ma ulteriori ascolti hanno determinato la sua bellezza infinita meritevole di questo, umile, riconoscimento.
Augurandomi che il 2017 sia ancora più fiorito a livello musicale, approfitto di ringraziarvi per questi sei mesi meravigliosi, i primi nella giovane vita di Lettere dall'Undergound
Ma adesso, senza ulteriori indugi, andiamo a scoprire questa Top 10 album 2016.


Your Wilderness

  • N°10 The Pineapple Thief - Your Wilderness
Un disco elegantissimo, costruito con una grande carica emotiva che utilizza la musica come veicolo ed arriva al cuore dell'ascoltatore. 
(la recensione completa la trovi qui)


Drama

  • N°9 Ornaments - Drama
Unico album italiano presente in questa personale classifica. Un disco ambizioso che offre una nuova lettura ricca di prospettive moderne di un'opera maestosa. La conferma di una band che non ha nulla da invidiare a tanti gruppi stranieri.
(la recensione completa la trovi qui)


The Fall of Hearts

  • N°8 Katatonia - The Fall of Hearts
Quest'anno ci ha regalato dei nuovi lavori di mostri sacri dell'underground musicale come gli Opeth, i Neurosis, i Gojira o Devin Townsend Project, ma nessuno è stato in grado di regalarci un disco da porre nella cima delle proprie carriere discografiche. Nessuno tranne i Katatonia. The Fall of Hearts rappresenta il loro punto più alto in quanto a complessità creativa senza mai perdere, però, la propria impronta.
(la recensione completa la trovi qui)


Requiem for Hell

  • N°7 MONO - Requiem for Hell
Un'opera epica che non ha bisogna di parole. Un viaggio epocale che in realtà si svolge dentro di ognuno di noi. La capacità onirica dei MONO viene esaltata da questo disco che trova spazio, anche, per dei regali musicali.
(la recensione completa la trovi qui)


Memento Collider

  • N°6 Virus - Memento Collider
E' stato il primo disco che ho recensito su questo blog. Il ritorno di una band unica che ha dato, ancora una volta, il meglio di sé in questo album. Complesse trame che solo i Virus riescono a tessere dando nuova linfa al avantgarde metal.
(la recensione completa la trovi qui)



Mariner

  • N°5 Cult of Luna & Julie Christmas - Mariner
Unico disco presente in questo elenco a non essere stato recensito in questo blog perché era uscito qualche mese prima della sua apertura. I contrasti presenti in questo disco danno una spazialità incredibile arricchendo tutti gli artisti impegnati in questo lavoro. Nuovi orizzonti per il post metal.


Contrapasso

  • N°4 Seven Impale - Contrapasso
Un gruppo che ha un background musicale che non sembra di questi tempi ma che aggiunge di tutto alla propria musica. Brani complessi che si snodano con una logica messa in piedi dalla band e, dunque, impossibile da replicare. Un disco pieno di talento.
(la recensione completa la trovi qui)


Realms

  • N°3 Darkher - Realms
Il primo LP di quest'artista inglese è uno dei regali più meravigliosi di questo 2016. Un disco intrinseco di una bellezza oscura che ti conquista senza lasciar via d'uscita. Una voce meravigliosa che incanta portandoci a spasso tra la nebbia musicale della sua band.
(la recensione completa la trovi qui)

Samen

  • Nº2 öOoOoOoOoOo - Samen
Geniali sin dalla scelta del nome della band. Un disco che è molto di più di un insieme di canzoni ma che dev'essere vissuto come un'esposizione d'arte. Una metafora della vita e della complessità dell'esistenza. Imprescindibile.
(la recensione completa la trovi qui)


Kodama

  • N°1 Alcest - Kodama
Quando avevo recensito questo disco il mio voto era stato alto ma non il più alto di tutti. La magia è scattata successivamente quando i brani presenti in Kodama s'insinuavano improvvisamente nei più dispari momenti. Gli Alcest hanno costruito un album perfetto che emoziona in un modo unico. Un mix di nostalgia onirica e di profonda intimità che viene celebrato. Un inno ed una pietra miliare del blackgaze per i tempi futuri.


Per darvi una dimensione sonora di questa classifica ecco questo video riassuntivo. Buon 2017 a tutti!!!!










mercoledì 28 dicembre 2016

Wolvennest - Wolvennest: dentro al vortice infinito

(Recensione di Wolvennest dei Wolvennest)


C'è una poetica molto particolare nei primi film dell'orrore. Come la tecnologia non consentiva grandi effetti speciali e l'impatto visivo si basava solo sul bianco e nero era fondamentale che qualcos'altro arrivasse allo spettatore lasciandolo incollato alla poltrona con la voglia di sapere cosa sarebbe successo sullo schermo. I filmati dell'epoca ormai sono iconici, e gli interpreti dei personaggi storici di quella "prima ondata" dei film dell'orrore sono passati alla storia. C'era del romanticismo, e la concezione di quello che doveva "spaventare" era legata a tematiche surreali, a mostri solitari vittime di un passato traumatico. Nulla a che vedere con l'attuale concezione di questo genere cinematografico.

La musica dei belgi Wolvennest è assolutamente in linea con la storia di quel cinema. E' una musica così visiva da suggerirci, senza alcuno sforzo, quell'immaginario bianco e nero, costruito su una narrativa romantica, di essere solitari ed incompresi che si scontrano con l'ignoranza della società. Ma dentro a questo bellissimo disco debutto c'è molto altro ancora. Wolvennest è un lavoro ipnotico che pesca molto dalle acque del krautrock. Prendendo, dunque, un taglio psichedelico che confina con l'oscurità. Cioè una cosmologia misteriosa, fatta d'ignoto. Per quello la loro musica viene associata ai primi gruppi di black metal norvegese. Ma questa comparazione si ferma solo a quest'aspetto perché musicalmente c'è ben poco da accostare a quel genere. 

Ván Records


Sono cinque le tracce che costituiscono questo disco omonimo. Tutte di imponente lunghezza, tra i sei minuti ed i venti, si sviluppano come la trama di uno dei film precedentemente citati. Misteriose, poetiche, cosmiche. In ausilio a quest'intenzione c'è la parte elettronica, forse quella più marcatamente anni 70, che contestualizza il discorso musicale dei Wolvennest. Il resto degli strumenti hanno il ruolo di creare dei veri e propri vortici sonori ce catturano l'ascoltatore senza lasciar alcuna via di scampo. Come uno di quelli mostri romantici che piano piano accerchiano la propria preda fino a non farla fuggire. E', appunto, la presenza di questi "vortici" la parte più interessante della musica della band. Lunghissimi loop fanno confinare tanti discorsi musicali. C'è del post rock, del doom, della new wave, del rock psichedelico ma nessuno in modo così importante da sovrastare gli altri o da mettere da parte la vera intenzione musicale della band. Su questa costruzione ossessiva della musica la voce trova terreno fertile per comportarsi in diversi modi. Per quello certi brani sono cantati con un tono stregato ed altri vengono recitati con l'intenzione di ricreare una voce che viene da lontano nel tempo. 

Il vortice sonoro. Quella è sicuramente la miglior definizione della musica che troviamo in questo Wolvennest. L'estrema lunghezza dei pezzi non pesa affatto perché è un rituale necessario. E' un bombardamento di motivetti oscuri che piano piano s'impossessano della nostra attenzione tralasciando tutto il resto. Ecco, siamo dentro al vortice. Ma dove ci porta questo vortice? Nell'ignoto, nei racconti senza tempo di luce tenue al calar del sole, di ombre che danzano col vento capriccioso e di strani luccichii indecifrabili. Al risveglio non è possibile sapere se quello che si è vissuto era reale o un semplice sogno. 

Ván Records


Mi tengo due brani da approfondire per voi.
Il primo è quello d'apertura di questo disco. Intitolato Unreal conquista l'ascoltatore sin dalle prime note. I synth psichedelici che danno l'ingresso al brano ci fanno capire sin da subito in che acque ci stiamo addentrando. In un certo modo è il brano più new wave dell'intero lavoro. La voce è squisita e lega perfettamente con la base strumentale intrinseca di quell'immaginario gotico puro, autentico e non esagerato. Ottimo brano.
Il secondo che vado a illustrarvi si chiama Out of Darkness Deep. E' la canzone più lunga del lavoro, supera i venti minuti, e la cosa pazzesca è che dopo l'intro molto ambientale ed oscura si basa sullo stesso loop strumentale. Potrebbe sembrare pesante, monotono e noioso ed invece non lo è per niente. Perché sopra a questa costruzione ciclica appaiono e spariscono sfumature. Le piccole variazioni nei giri danno un movimento piacevolissimo. Voce e chitarra giocano sfidandosi il protagonismo. Infatti questa è l'unica canzone ad avere un assolo di chitarra, assolutamente in linea con l'estetica del gruppo, quindi non virtuoso, non eccessivo ma molto curato e psichedelico. 20 minuti leggeri leggeri.



Potrei azzardare a dire che assistere ad un concerto dei Wolvennest diventerebbe un rituale collettivo guidato dalla band sul palco. Lo dico perché la loro musica ha quella forza. Ti cattura e non ti lascia, ti porta dove dice lei e tu sei un viaggiatore così assuefatto da non opporre alcuna resistenza. E' magia pure, e non sono in tanti a riuscirci. Cosmico, oscuro e squisito.

Voto 9/10
Wolvennest - Wolvennest
Ván Records
Uscita 27.01.2017


lunedì 26 dicembre 2016

Code - Lost Signal: l'intimità oscura e complessa

(Recensione di Lost Signal dei Code)



Quanto è importante l'amicizia. Ti regala dei gesti di profondo valore che costruiscono la nostra personalità, il nostro modo di essere e di comportarci. Mi sento fortunato d'avere degli amici che mi hanno illuminato musicalmente spalancandomi le porte di nuovi orizzonti musicali che non conoscevo e dai quali adesso non posso fare a meno. Per quello bisogna curare le amicizie, bisogna dare oltre a ricevere e bisogna crescere insieme a loro.

Code


Quest'introduzione non è casuale ma si aggancia perfettamente all'EP protagonista di questa mia nuova recensione. Il lavoro in questione s'intitola Lost Signal ed è l'ultima novità discografica degli inglesi Code. Perché ho fatto il discorso sull'amicizia? Perché ho conosciuto questa band pazzesca grazie ad un carissimo amico spagnolo che mi ha fatto scoprire un sacco di musica incredibile oltre ad aver suonato e composto insieme a me dei brani che mi porto sempre nel cuore. Il perché sono molto contento di aver conosciuto i Code e di ritrovarmi ad ascoltare queste nuove sei tracce, viene dato dalla capacità musicale di questa band inglese che nuota nelle complesse ed oscure acque dell'avantgarde metal, genere che, a fin dei conti, è quello che più mi sorprende ed affascina. L'insieme d'elementi che si legano dentro alla musica dei musicisti di questo genere crea una musica complessa, emotiva, ancestrale, complessa. Fatta di testure di difficile interpretazione, di accordi dissonanti che acquistano una logica coerente, di sonorità oscure che rappresentano un'alternativa alla triste "normalità".
Questo Lost Signal si alinea perfettamente con tutte queste premesse. E' un EP pieno di melodie di rara bellezza, di paesaggi sonori fantascientifici, di suoni d'intimità oscura che confermano, ancora una volta, che l'essere umano è pieno di mondi inesplorati. 
Costruito come una reinterpretazione di sei brani del passato musicale dei Code, tre dell'ultimo LP Mut ed altri tre che provengono ognuno dai tre dischi precedenti della band, Lost Signal viene adunato da una specifica volontà musicale che abbraccia più la parte avantgarde distanziandosi dalla parte black metal, molto spesso apprezzabile negli scorsi lavori della band. Per quello, anche se i brani originali sono distanti temporalmente di una decina d'anni, c'è una linearità indispensabile a collegare tutte le canzoni di questo disco.

Code


Come detto in precedenza, Lost Signal, si costruisce con un'intenzione molto chiara, cioè quella di tradurre musicalmente il presumibile momento artistico dei Code. Un momento che potremmo tradurre come di maturità musicale, di un'essenzialità che va subito al dunque senza passare da eccessivi contorni che si verificano quando la band gioca con altri generi. Per quello se si facesse una comparazione tra le versioni originali dei brani e quelle contenute in questo nuovo EP potrebbe dare l'impressione d'assistere ad un ammorbidimento della band. L'importante è andare oltre per trovare quell'intenzione di grande intimità che è quella che prevale su tutto il resto. Il lavoro dei Code è meno violento o urlato ma non perde la sua dimensione complessa ed oscura. Anzi, viene rimarcata ancora di più perché le diverse trame sonore s'intrecciano con grande complessità. In quel senso il lavoro del riparto chitarristico è fondamentale. E' da quei arpeggi oscuri e dissonanti che si contrappongono alle ritmiche altalenanti che nasce l'originalità della band. Nulla è banale o scontato e adesso, grazie a Lost Signal, diventa più profondo e saggio.

Code


La grazia di centrare quel punto così complesso è quello che glorifica questo lavoro. Quel punto è quello della spregiudicata originalità, della creazione di un linguaggio musicale che può trovare sfumature simili in altri eroi dell'avantgarde metal ma che da un'impronta unica ai Code. Il loro modo d'interpretare un genere così particolare non è assolutamente ostico o autistico ma s'insinua nelle menti dell'ascoltatore come una cellula impazzita pronta ad annidarsi e riprodursi avvolgendolo in una nebbia colorata che non proviene da questo mondo. Lost Signal affascina, sorprende e, soprattutto, cattura, facendo sembrare banale tanta altra musica. 

Code


Delle sei canzoni contenuti in questo lavoro mi voglio soffermare su due, distanziate da una decina d'anni.
La prima è Affliction, la cui versione originale si trovare nell'ultima LP della band, Mut. E' un brano costruito su una ritmica ingannevole che da l'impressione di essere lentissima, ma che sprigiona così tanta energia da essere contundente. E' l'unico brano di questo lavoro dove, oltre a la voce pulita, si può apprezzare dei passaggi cantati in growl. E' anche questa sovrapposizione di voci quella che tesse questa trama così complessa ed originale.
Il secondo brano è Brass Dogs e fa parte, originalmente, del primo disco della band, Nouveau Gloaming. Ad un primo ascolto da l'impressione di essere rimasto molto fedele alla versione primordiale ma c'è un grande lavoro rivolto a prendere l'essenza della canzone dandole un'impronta molto più intima. La linea di chitarra è di una bellezza disarmante. 

Code


Lost Signal è un lavoro che poteva sembrare molto semplice ma che, invece, cella un grande rischio. Perché dare una nuova vita a certi brani in molti casi sembra un'eresia ed un allontanarsi da sensazioni oneste collegabili ad un'epoca precisa. Per quello la coerenza che c'è in questo nuovo lavoro dei Code paga e regala un ottimo risultato. Questi brani non sono stati trasformati, non hanno perso la propria impronta ma hanno subito un altro trattamento. Così come un fotografo gioca con certi parametri dei propri scatti anche la band inglese ha fatto lo stesso, accentuando certi aspetti ed offuscandone altri, senza mai togliere completamente o aggiungere cose che precedentemente non c'erano. Così facendo i Code hanno dato un senso compiuto a questa scelta che poteva sembrare molto dispari. Ascoltare Lost Signal è un grande piacere.

Code


Voto 8,5/10
Code - Lost Signal
Agonia Records
Uscita 25.01.2017



venerdì 23 dicembre 2016

Helheim - landawarijaR: i vichinghi d'oggi ascoltano la PFM

(Recensione di IandawarijaR degli Helheim)



Per chi legge regolarmente questo blog, è chiaro che una delle mie intenzioni principali è quella di trasmettere le emozioni e le riflessioni che mi suscitano i dischi che ho la fortuna di ascoltare e recensire. Questo perché dal mio punto di vista la chiave di lettura più interessante di un lavoro discografico è quella che mette sullo stesso piano le intenzioni, presumibili, dietro alla stesura di un disco e le sensazioni personali che vengono fuori ascoltando le canzoni. 
Una delle cose più interessanti, da quando ho intrapreso quest'avventura, è la costatazione di certe tematiche ricorrenti tra gruppi molto diversi. Questo è dimostrazione della sensibilità dei musicisti, che molto spesso riescono a sintetizzare perfettamente quello che capita nel mondo. Per quello quel binomio tradizione-evoluzione è affascinante. Lo è perché potrebbe sembrare una contrapposizione, ed invece non è così. L'evoluzione necessita della tradizione ed evolversi non significa abbandonare la tradizione. 

Gli Helheim sono un gruppo navigato. In più di vent'anni di carriera hanno contribuito alla costruzione di quel genere chiamato viking metal. Per quello è molto interessante affrontare questo loro nono LP intitolato IandawarijaR. Lo è perché l'ascolto di questo lavoro ci regala tutt'altra cosa che quel certo "fondamentalismo" che potrebbe essere ricorrente in gruppi di questo genere. IandawarijaR è un disco complesso che si nutre di contaminazioni sonore e di collaborazioni che allargano lo spettro musicale di questa band norvegese. Dunque sì, viking metal, ma molto altro ancora. Ci sono strizzatine d'occhio all'avanguardia musicale del metal, ad un certo tipo d'ambient che coabita col post rock ed al prog rock con tanto di omaggio all'italianissima Premiata Forneria Marconi. Insomma, un insieme eterogeneo che nulla ha a che fare con un disco "purista" o "tradizionale". Ma, nello stesso tempo, c'è un'impronta essenziale di quello che è l'ideologia dietro alla musica di questa band. Cioè la convinzione che tanti elementi della tradizione vichinga potrebbero essere utili alla società attuale. 

IandawarijaR


I brani che compongono questi IandawarijaR sono complessi, di grande lunghezza e di evoluzione progressiva, dove l'orizzontalità dei brani viene preferita ad una struttura più convenzionale. Oltre a ciò, un altro aspetto che rende questo lavoro molto appetibile, è che nessun brano è troppo simile agli altri. Naturalmente c'è una coerenza che si traduce in un'impronta inequivocabile, ma per il resto ogni brano regala degli elementi particolari. 
Un'altra caratteristica che da unicità a questo lavoro è che, oltre agli strumenti "tradizionali" del metal, gli Helheim non disdegnano l'utilizzo, molto ben lavorato, di timpani, che ingrossano il suono, e di corni, che sicuramente regalano una certa lettura folk.

Nel metal spesso si rischia di cadere nel ridicolo, facendo dei dischi che sembrano delle repliche inesauribili dei dischi pionieri di certi sotto generi. In quei casi sembra che quei gruppi siano rimasti congelati nel tempi, in un'epoca lontana non solo anagraficamente ma anche a livello d'intelligenza. IandawarijaR, per fortuna, è lontanissimo di questo. E' un disco moderno, divertente e complesso. E' un contenitore coerente di un'intenzione: quella di sviluppare ulteriormente il messaggio musicale degli Helheim. Ed è una scommessa vinta, perché non è un disco settoriale che piacerà soltanto ad una nicchia e basta, ma troverà l'approvazione di chi ama il metal, ma anche di chi cerca delle suggestioni progressive. E' un disco di vichinghi odierni, e non di viaggiatori del tempo.

Helheim


Tre brani da trasmettervi in modo più accurato.
Il primo è Ymr. Sin dall'inizio è palese che se vi stavate aspettando un disco viking metal "tradizionale" dovete stoppare il disco. Un'intro folk, intrecci di chitarre acustiche ed elettriche, di parti pulite ed altre distorte e sovrapposizioni di voci di diversi registri. Intensa ed emozionante.
Il secondo brano è LandawarijaR. Grazie a questa canzone si capisce l'apertura musicale della band. Dal metal si passa, e si gioca tanto, al prog. Per chi ascolta il brano per la prima volta sarà inevitabile drizzare le orecchie quando arriverà una parte strumentale che riproduce il famoso motivetto di tastiera di Impressioni di Settembre della PFM. Un omaggio molto bello.
Per finire vi consiglio Endedagr. La canzone che chiude il disco è sorprendente. Parte densa per poi svilupparsi in diverse direzioni prendendo sfumature ambient e post metal. Un gran bel viaggio.

IandawarijaR è un bellissimo lavoro per via dell'intelligenza che c'è dietro. Invece di basarsi sulle sicurezze è un disco aperto a variopinte influenze con l'animo di trasmettere un messaggio concreto. Ed è bello vedere che la musica si nutre di questo, di intrecci, di nuove letture e nuove riscritture. Viva i vichinghi d'oggi.

Voto 8,5/10
Helheim - IandawarijaR
Dark Essence Records
Uscita 20.01.2017

mercoledì 21 dicembre 2016

Intervista ad Arnaut Barat dei Cancel the Apocalypse: il caos diventa acustico

Questo è un estratto dell'intervista che ho effettuato a Arnaud Barat, chitarrista dei Cancel the Apocalypse, andata in onda il martedì 15 Novembre 2016 all'interno di POST, trasmissione radiofonica che va in onda su Radio Flo e su Radio RNS 93.4 FM del Salento Centrale.

La versione integrale della puntata la trovate a fine post.

La mia recensione di Our Own Democracy la potete, invece, leggere qui.


(La version en français est dessus)

POST


(Lettere dall'Underground): Come mai avete avuto l'idea di mettere dei musicisti di musica classica ed altri che provengono da tutto un altro mondo nello stesso gruppo?

(Arnaur Barat): L'intenzione che avevamo era quella di mescolare musica classica con hardcore. Audrey Paquet ed io avevamo quest'idea ed abbiamo contattato Matthieu Miegeville con i brani composti e lui ha risposto: presente.

(LDU): Generalmente è l'opposto, è il musicista hardcore che cerca il musicista classico. Come mai avete avuto quest'idea?

(AB): E' il musicista classico che, molto spesso, ascolta con piacere il metal, e Matthieu aveva avuto, precedentemente, un gruppo dove il piano eseguiva delle linee di musica classica.

(LDU): Siete originari di due città diverse, Bordeaux e Toulouse. Come avete fatto a scrivere questo disco?

(AB): All'inizio abbiamo lavorato molto intensamente, prima tre giorni, dopo due, qualche volta a Bordeaux, qualche volte a Toulouse. Dopo abbiamo sempre provato a Toulouse. Tutto è stato molto veloce perché il disco era pronto già quattro mesi dopo esserci visti insieme per la prima volta.


Cancel the Apocalypse


(LDU): Due cose. Hai mai pensato di suonare la chitarra elettrica? Seconda cosa: il vostro scopo è quello di avere la stessa intensità dei gruppi che suonano in elettrico?

(AB): Quella era l'idea, di fare qualcosa n acustico e per nulla in elettrico, quella era l'originalità che cercavamo. Il nostro produttore ci ha aiutato ad ottenere la potenza che necessitavamo. (...) Siamo molto contenti di vedere che funziona. (...)

Non ho mai pensato di suonare, in questo progetto, la chitarra elettrica.

(LDU): Qual è il messaggio di Cancel the Apocalypse?

(AB): Parliamo di questo periodo che `la morte delle religioni, dove l'uomo si cerca ma fa fatica a ritrovarsi, ci facciamo delle domande sui valori, sulle relazione umane, sulle relazioni di coppia. Ma non abbiamo una visione nera, è un po' mescolata.

(LDU): La situazione attuale della Francia come influenza la vostra musica e la vostra vita?

(AB): E' qualcosa dalla quale siamo molto coscienti ma cerchiamo di non veicolarla nella nostra musica.

(LDU): Nella vostra musica dov'è il caos?

(AB): Il caos sta nella mescola tra metal e musica classica e anche nei quesiti che poniamo.

(LDU): Cosa deve cambiare nel mondo?

(AB): La ripartizione delle ricchezze ed il sistema politico.

(LDU): Giocando ad immaginare un nuovo disco dei Cancel the Apocalypse, pensi che sarà come Our Own Democracy?

(AB): Penso che assomiglierà ma, nella mia opinione, ci saranno delle evoluzioni per quanto riguarda la struttura dei pezzi. Non ci chiudiamo a nulla. Penso che potremmo aggiungere dei samples dietro, della musica elettronica. Ma veramente non ho idea!





(Lettere dall'Underground): Pourquoi vous avez eu l'idée de mettre des musiciens classiques et autres d'un autre monde, assolument différent dans le même groupe?

(Arnaud Barat): La volontè qu'on avait c'était de mélanger la musique classique et l'hardcore. Audrey Paquet et mois nous avevons cette idée et nous avons contacté Matthieu Miegeville avec les compositions et il a répondu: présent.

(LDU): Généralement c'est l'opposé, c'est le musicien hardcore que cherche le musicien classique. Pourquoi avez vous eu cette idée?

(AB): C'est le musicien classique que, beaucoup de fois, aime la musique metal et Matthieu avait un groupe précèdent qu'avait un piano classique. 

(LDU): Vous n'êtes pas de la même ville, vous venez de Bordeaux et de Toulouse. Comment vous avez fait pour écrire ce disque?

(AB): Au début nous avons travaillé très intensement, trois jours, deux jours, un peu à Bordeaux, un peu à Toulouse. Après nous avons toujours fait les répétitions à Toulouse. Tout très vite parce que le disque on l'a finit quatre mois aprés la première fois que nous nous sommes vu.


POST


(LDU): Deux choses. T'as jamais pensé de jouer la guitarre electrique? Seconde chose: votre objectif c'est de réussir à jouer avec la même intensitè d'un groupe electric?

(AB): C'était ça l'idée, de faire quelque chose en acustique et pas du tout en électrique, c'ètait ça l'originalitè qu'on chercait. La persone qu'a produit le disco nous a aidé à avoir la puissanse qu'on cherchait. (...) Nous sommes très content de voir que c'est comme ça. (...)
J'ai jamais pensé de jouer la guitarre electrique. 

(LDU): Quel'est le message de Cancel the Apocalypse?

(AB): On parle de cette période que est la mort de les réligions, où l'homme se cherche et a du mal a se trouver, on se pose des questions sur les valeurs, sur les rapports humains, sur les rapports de couple. Mais nous n'avons pas une vision noir, c'est mélangé. 

(LDU): L'ètat atuel de la France que valeur a dans la votre musique et la votre vie?

(AB): C'est quelque chose sur laquelle nous sommes conscients mais nous cherchons de pas la véhiculer dans notre musique.


Cancel the Apocalypse


(LDU): Dans la votre musique le chaos il est où?

(AB): Le chaos est dans le mélange de metal et musique classique et aussi dans tout les questionement que l'on se pose.

(LDU): Que ce que doit changer au monde?

(AB): La répartition de les richesses et le système politique.

(LDU): En imaginant un nouveau disque de Cancel the Apocalyse tu pense qu'il serait comme Our Own Democracy?

(AB): Je pense que ça ressemblera mais, à mon avis, il-y-aura des évolutions dans la structure des morceaux. On est fermé à rien. Je pense que nous pouvrions avoir des samples derrière, de la musique electronique. Mais je ne sais pas du tout!

Podcast:

martedì 20 dicembre 2016

Noyades - Go Fast: crudi, acidi e diretti

(Recensione di Go Fast dei Noyades)


La crudeltà è un disturbo mentale tanto eradicato nell'uomo che continuamente ci stupisce. La crudeltà è ceca e difficilmente arrestabile. La crudeltà è piena d'adrenalina e, questa è la parte più inquietante, provoca piacere. C'è gente che gode essendo crudele, e c'è gente che gode guardando la crudeltà.

Quest'oggi vi parlo del secondo disco del power trio francese Noyades, lavoro che s'intitola Go Fast. Ma prima di andar a raccontarvi che cosa c'è dentro a questo interessante lavoro credo che sia illuminate soffermarci sul nome scelto dalla band. Le "noyades" rappresentano uno degli atti più crudeli e brutali del post rivoluzione francese. Consisteva nel riempire delle barche con dei prigionieri legati ai polsi ed ai piedi, una volta riempita la barca era portata al punto più profondo del fiume Loira e per via delle falle che venivano procurate alle barche, poco sotto la linea di galleggiamento, le imbarcazioni affondavano trascinando i prigionieri ad una morte orribile. Quei pochi che riuscivano a salvarsi venivano uccisi a colpi di lancia.
Questa spiegazione potrebbe portar a pensare che i lidi musicali dei Noyades siano molto crudi e spregiudicati, ed invece non è così. L'aspetto pescato da un evento così scioccante è quello della brutalità, intesa come un atto irrazionale. Infatti la musica di questo trio di Lyon è un fiume in piena incurante di darsene, canalizzazioni o qualsiasi altro sforzo per comandare le acque. I Noyades sprigionano energia a base di ritmiche esaltate, intrecci melodici di grande fattura tra basso e chitarra, distorsione squillante e una batteria con un sound che ci porta indietro nel tempo. Go Fast è un contenitore pronto a spezzarsi in qualsiasi momento, ogni volta che uno dei musicisti picchia più intensamente il proprio strumento.

Go Fast


Cercando di contestualizzare meglio questo disco bisogna dire che ci muoviamo nel campo del rock. Più specificamente Go Fast nuota nelle acque di un rock che si sparte in modo naturale tra sonorità acide ed altre psichedeliche. Tutti i brani sono strumentali e cercano di essere molto evocativi spaziando tra momenti goliardici ed altri più seri. Sia una via che l'altra vengono intraprese con una naturalità impressionante dando a questo lavoro una varietà molto significativa. Certi brani sono concreti e diretti come spetta una tradizione punk, altri sono più studiati e ricercati e c'è anche spazio all'epicità di un'ultima traccia dove la band, in 17 minuti, flirta col math rock ed il post rock.

Go Fast


Infatti Go Fast è un disco ingannevole, perché potrebbe portar a pensare che è facile circoscriverlo a certe linee guide semplice ed invece non è così. E' psichedelico, è acido, è brutale, è diretto ma, allo stesso momento, è anche ricercato e complesso. Quello che non cambia è lo spirito "sporco" che c'è dietro ad ogni nota suonata. Infatti sembra voluto che ogni piccola briciola presente in questo disco deva essere ingrossata da un immaginario sonoro che ci riporta a quel'indie rock proficuo che visse i suoi tempi d'oro con l'avvento del garage rock e del noise. Questo è l'unico accordo in comune dentro ai Noyades, tutto il resto è un viaggio imprevedibile.

Noyades


Vi voglio segnalare due brani, i due estremi del disco. Perché la loro estremità non è soltanto dovuta alla loro collocazione dentro a questo lavoro ma, anche, alla loro costruzione.
Réplique apre quest'album con l'energia a palla. Costruito su una linea di chitarra bellissima, che possiamo abbinare al math rock, ci presenta lo spirito della band. Nessuno strumento si sovrappone ad un altro ma sono tutti e tre presentissimi e piacevolissimi. Si sente molto nettamente il suono del basso Rickenbaker.
Reflects è invece l'altra faccia. E' il brano epico e, sicuramente, il più poetico. Cerca di raccontare, attraverso la musica, i movimenti della superficie dell'acqua. Per quello dura 17 minuti e per quello è pieno di dinamica. Lunghe note piene psichedeliche lasciano spazio a ritmiche violente, per poi tornare alla calma e così via. Come un mare che vede abbandonare la calma piatta prima della tempesta ad un caos della natura. 



Go Fast è il classico disco che dimostra che l'essenziale è, molto spesso, molto più ricco del complesso. Soltanto tre strumenti cantano molto di più di quanto lo farebbe una band piena di strumenti e con la voce. Questa è la forza dei Noyades, liberi dentro alla comunione di gruppo che si apprezza in ogni nota suonata. Brutali dentro alla loro capacità di essere diretti e concreti. 

Voto 8/10
Noyades - Go Fast
Atypeek Music/S.K. Records
Uscita 22.10.2016

sabato 17 dicembre 2016

Alfie Ryner - What's Wrong? e lo spirito che si eleva oltre al tempo

(Recensione di What's Wrong? degli Alfie Ryner)


Il mondo è un posto complesso. Viviamo, teoricamente, in un'epoca globale ma ci meravigliamo ancora di fronte a certi aspetti culturali quando questi provengono da lontano. E credo che sia fondamentale viaggiare e conoscere altre civiltà, altre usanze, altri pensieri. Perché non siamo impermeabili alle contaminazioni culturali, anzi, queste ci fanno crescere. Non c'è nulla di più sbagliato che pensare che il fatto di essere nati in un posto piuttosto dell'altro ci imponga di seguire certe tradizioni o modi di vivere. Siamo così complessi che è giusto, e fondamentale, che ognuno di noi cerchi nel mondo, nella sua totale vastità, i riflessi di se stesso.

What's Wrong?


Il jazz è la culla delle contaminazioni musicali. E' il maggior fomentatore dell'improvvisazione intesa come fonte di crescita e di evoluzione. Per quello è proprio questo genere il punto d'inizio della musica dei francesi Alfie Ryner. Un punto iniziale che si espande in tante, sorprendenti direzioni. What's Wrong? è un disco che ci regala momenti di math rock, di post rock, di free jazz, di metal progressivo, di trance e tanto altro. E' un compendio di suggestioni sonore infinite che trovano un equilibrio pazzesco. E' un disco spaziale che regala nuovi confini alla musica.

What's Wrong?


Immaginate di prendere i Tool e di buttarli in mezzo al jazz. Questo è quello che succede con gli Alfie Ryner. L'emotività, la spiritualità e la complessità dei propri brani sono perfettamente in linea con quelli della band di Maynard James Keenan ma hanno un linguaggio musicale diverso molto più legato al jazz. Ma, curiosamente, circoscrivere la musica della band francese a quella del quartetto statunitense è limitante. In What's Wrong? si toccano tante altre rive piene di acidità musicale, di giochi psichedelici come se fosse un complesso rituale sciamanico ancestrale. Infatti l'aspetto antropologico è molto presente in questo lavoro, che si avvale di titoli come "Masque Korobla", riferita alle maschere di rituali spiritici dei Senufo o "Choeurs Funéraires" che è una libera reinterpretazione della band di una canzone indonesiana che viene cantata in coro di fronte a qualcuno che è appena trapassato. Non solo, linguisticamente sono diversi gli idiomi presenti in questo lavoro, come se la musicalità di ognuna si adattasse perfettamente alla dimensione musicale desiderata. 
What's Wrong? usa ed abusa, con pieno criterio, della dimensione del loop, sul quale si costruiscono strati sonori pronti ad apparire e sparire come spiriti goliardici. E' un disco roccioso e maestoso, solido quanto complesso nella sua musicalità.

What's Wrong?

Le tracce di questo lavoro sono complesse perché rappresentano una rilettura di tanti stimoli sonori e culturale che, molto spesso, hanno una radice profonda. What's Wrong? è spregiudicato perché non si cura di mantenere un certo genere di fedeltà con la forma originale di quello che ha influenzato gli Alfie Ryner. E' un disco libero e misterioso, è la creazione di un nuovo rituale partendo da vecchi e remoti rituali dove la dimensione umana acquisisce vette ignote. 

Alfie Ryner


La già nominata Masque Korobla ha il compito di aprire il disco. Costruito su un monologo esistenziale che esalta le qualità e i difetti dell'uomo, declamato in spagnolo, fa capire che questo disco ci regalerà un'intensità unica piena di complessità.
La title track si apre con una linea di basso e chitarra che richiamano prepotentemente i Tool ma l'entrate del sax fa capire che la dimensione della band francese va in tutt'altra direzione. Infatti dopo due minuti la canzone prende una via quasi opposta che, ancora una volta cambia, per richiamarci alla mente la parte più esperimentale dei King Crimson
E il richiamo a questa grandiosa band continua con Some Black. Questa volta si tratta di brano cantato che volentieri ci ricorda la parte strumentale dei Crimson e non solo. Brano strepitoso, pieno di dinamica. 
Per finire ci segnalo I am the Mountain. Costruita su un'ossessiva base di contrabbasso e batteria regala un andar e vieni di suoni, di voci con una teatralità, che ricorda gli Oxbow, che da una incisività visuale unica. Massiccia, pazza e bellissima. Perfetta chiusura per un gran lavoro.



What's Wron? traduce la curiosità di un gruppo di musicisti che sanno che è proprio quello, la curiosità, il motore che spinge i cambiamenti, la conoscenza, la sperimentazione. Ed è da ringraziare perché gli Alfie Ryner hanno la forza di pescare degli stimoli variopinti nelle culture, nelle lingue, nei suoni e nei generi per creare un'opera impressionante. La musica è sempre un passo avanti a tutto, e questo disco lo dimostra.

Voto 9/10
Alfie Ryner - What's Wrong?
Atypeek Music
Uscita 31.10.2016