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venerdì 8 febbraio 2019

Membrane - Burn your Bridge: la liberazione brucia i ponti

(Recensione di Burn your Bridges dei Membrane)


Una cosa che mi sono sempre chiesto è quale sia il colore che la gente associa alla propria vita. Sembra una banalità ma in genere tutto quello che riguarda gli argomenti di conversazione a livello d'opinione pubblica è prevalentemente negativo. Morte, corruzione, povertà, crimini, disastri. Viviamo circondati da insoddisfazione, da lamentele ma nessuno fa nulla per cambiare. Nessuno riesce veramente a far girare tutto quanto in modo che la vita sia prevalentemente positiva. Come se l'esistenza umana dovesse per forza essere cupa e negativa.

Burn your Bridges

La musica ha tanti colori, ha tante capacità di tradurre in arte quello che si vive e sente. In un certo modo certi generi possono essere fedelmente accostati a certe sonorità piuttosto di altre. Burn your Bridges è un disco che va dal grigio noise al rosso sangue. Questo nuovo album dei francesi Membrane vuole essere pesante, acido, difficile da digerire. E ci riesce benissimo perché mette insieme tanti elementi che ci mettono di fronte alla parte più difficile d'affrontare nella vita. Cioè quella che non soltanto non ha nulla a che fare con noi stessi ma ci provoca anche sensazioni negative. Questa parte diventa protagonista, s'insinua tra tutte le note con più o meno intensità diventando un motore che sa dove deve portarci. E' giusto, però, fare una precisazione, perché potrebbe sembrare che questo disco sia profondamente negativo, quasi aggressivo nel suo modo di porsi e invece non è così. Questo stato d'animo diventa la guida di questo disco senza cadere in discorsi semplici, né positivo né negativo.

Burn your Bridges

Burn your Bridges prende anche un'altra lettura assolutamente interessante, cioè quella dell'importanza della rottura quando c' è la necessità della liberazione. Quando il coraggio significa affrontare con forza e dolore un distacco. I Membrane lasciano in evidenza questa necessità. Non vendono illusioni, non cercano metafore trite e ritrite che non portano da nessuna parte. Ci fanno vedere e capire come stanno le cose e ci fanno intraprendere quella strada. Per quello il loro insieme di generi mette dentro il noise, il post hardcore e certi elementi dello sludge, tutti generi che si contraddistinguono per il nullo bisogno di sembrare piacevoli. Ancora una volta torniamo all'idea che il messaggio deve arrivare dritto alla testa, senza prendere alcun genere di scorciatoia. Dritto e pesante.

Burn your Bridges

I ponti sono quelli che ci legano alla terra ferma, ma sono anche quelli che non ci permettono d'isolarci completamente. Bruciare i ponti significa rinunciare ma significa anche liberarsi. Forse questa è l'idea fondamentale dietro a Burn your Bridges dei Membrane. Un atto di coraggio, di forza e di una consapevolezza che non è alla portate di tutti.

Membrane

Prendo due interessanti brani da questo disco.
Il primo è l'omonimo Burn your Bridges, punto centrale di questo lavoro, punto di svolta, punto d'intimità. L'intimità che viene data da un'unica chitarra pulita e da una serie di voci che non urlano ma sussurrano il proprio messaggio, perché è un messaggio che deve, per forza arrivare dentro.
Il secondo è Fragile Things, fragile dentro a quello che noi vogliamo che sia fragile, a quello che c'insegnano che è la fragilità, forse perché conviene che sia visto così. Brano acido, intenso, vissuto.


Burn your Bridges diventa così un lavoro che fa riflettere per capire quanto sia importante rompere con la normalità, con quello che ci spacciano come normale, col mondo che impone certe idee dalle quali sembra che non ci sia via d'uscita. Un lavoro intenso, dove il grigio e il rosso che si fondono prendono i colori della liberazione. Bella prova dei Membrane.

Voto 8/10
Membrane - Burn your Bridges
Atypeek Music
Uscita 11.02.2019

martedì 18 dicembre 2018

Sliding Words - (fonetic): non c'è due senza tre

(Recensione di (fonetic) degli Sliding Words)


Il live è "il momento" nel quale un gruppo viene messe a nudo e fa capire quanta energia, voglia e qualità abbia. Ci sono concerti che rimangono impressi per sempre perché la forza emotiva che c'è dentro non lascia nessuno indifferente. Ci sono gruppi che fanno degli spettacoli che vanno ben oltre la musica, vere e proprie performance dove tutto viene curato fino al minimo dettaglio. Altri scommettono solo sulla forza della propria musica senza utilizzare nulla che possa essere fuorviante dentro al loro percorso. Personalmente penso che il tipo di live offerto dev'essere in linea con la proposta musicale di ogni gruppo e con quello che si propongono di fare, l'importante è che il risultato finale lasci l'ascoltatore completamente soddisfatto.

Se c'è un genere che si presta a avere dei risvolti artistici che si modulano a 360 gradi questo è sicuramente il triphop. E c'è una cosa strana, perché parliamo di un genere ormai "grande" che continua ad avere una sonorità giovane e futurista. E' senz'altro per quello che il duo francese Sliding Words ha scelto prevalentemente quel genere come quello da portare avanti nelle loro composizioni. Anche se oggi mi ritrovo a parlare soltanto della parte musicale che possiamo apprezzare nel loro primo disco, intitolato (fonetic), bisogna tenere in considerazione che la loro musica acquista un nuovo livello nelle loro esibizioni live, dove vengono distribuiti delle cuffie attaccate a vecchi apparati telefonici per riuscire a dare una dimensione più intima e stereofonica alla loro musica. Fatta questa premessa posso tuffarmi completamente nelle tracce di questo interessante lavoro. Come succede con opere del genere la musica sembra essere una complessa operazione di taglia e cuci che finisce per dare un risultato vellutato, elegante e molto sensuale. 

(fonetic)

Se c'è un'altra fondamentale caratteristica del triphop, e che lo rende un genere senza scadenza, è l'idea di mettere insieme diversi generi, di essere un filo che attraversa tutta una serie di elementi e li mette insieme. Questa filosofia c'è anche dentro alla musica di (fonetic). Come prima cosa bisogna partire dall'idea che questo disco mette insieme non solo due persone ma anche due percorsi ed inquietudini musicali. Per quello si cerca sia la parte elettronica, costruita con questo collage sonoro, e quella acustica, presente nella scelta di certi strumenti. Ma l'inquietudine musicale delle due menti dietro a Sliding Words va anche a cercare il macro ed il micro. In altre parole, questo è un disco che ha elementi universali che potrebbero aver dato nascita a questo disco in qualsiasi angolo del mondo, ma d'altra parte c'è la ricerca di suoni della world music, anche attraverso certi strumenti. Questa è una formula che generalmente funziona molto bene e che acconsente di avere dei dischi veramente interessanti. Ancora una volta, e so che lo faccio spesso, credo che sia fondamentale sottolineare che un risultato come questo è raggiungibile solo grazie a due premesse, l'esperienza e l'apertura mentale. Entrambe le cose sono presenti in questo piacevolissimo disco.

L'esperienza live proposta dagli Sliding Words è assolutamente replicabile anche nel privato. Cercate una sistemazione comoda, eliminate qualsiasi possibile distrazione, chiudete gli occhi e con le cuffie alle orecchie lasciate scorrere la musica di (fonetic). Chissà che mete raggiungerete, chissà cosa vivrete, ma in un modo o nell'altro sono sicuro che non rimarrete nello stesso luogo fisico da quando avete iniziato quest'esperienza. Sarà una coccola preziosa e necessaria.

Sliding Words

Prendo due brani che permettono anche di capire le diverse vie che percorre questo disco.
La prima è Bukowski Crash Test, titolo che già di per sé garantisce un brano molto interessante. Più che mai si capisce come un brano possa essere costruito assemblando una serie di elementi, trovando ispirazione da una registrazione, da un arpeggio di tastiera, da una registrazione, da accordi di chitarra che rimangono sospesi nel vento, da un ukulele che potrebbe non c'entrare nulla con tutto il resto ma invece s'incastra alla perfezione. Un brano sorprendente.
Il secondo è Time Is Never Here. Malinconico, elegante, degno erede di quell'aria francese che riesce a rendere tutto raffinato. Bellissima la voce di Maÿen  che ci guida tra queste note bellissime. E' un brano di quelli che toccano il cuore, nel quale artista e ascoltatore siglano un accordo permanente. Consiglio di ascoltare la versione estesa e non quella radio edit.


Sliding Words, parole che scivolano, che possono cambiare significato cambiando il significato di tutta la frase. Questa è l'idea di (fonetic), cioè quella di riuscire a fare capire ad ogni ascoltare che quel brano esiste lì, in quel singolo momento solo per lui, come se l'ascoltatore stesso diventasse per qualche minuto il terzo membro del gruppo e la sua presenza diventasse preziosa. 

Voto 8,5/10
Sliding Words - (fonetic)
Atypeek Music
Uscita 14.12.2018

venerdì 7 luglio 2017

Ueno Park - Feu Clair/Dix Mille Yeux: la fortuna di vivere

(Recensione di Feu Clair/Dix Mille Yeux di Ueno Park)


Un elemento chiave nell'insegnamento della musica e di qualsiasi strumento è quello di fare capire agli allievi che quello che aiuta a fare musica deve essere l'estensione del nostro corpo. Per quello suonare musica non è un qualcosa alla portata di tutti, o piuttosto, diventare un musicista non è alla portata di tutti. E forse è proprio quella la barriera che bisogna oltrepassare per diventare un musicista vero. Non c'entra la tecnica, non c'entra la capacità di suonare quante più cose possibili. C'entra soltanto la confidenza estrema col proprio strumento, in grado di riprodurre quello che ci frulla in testa e quello che abbiamo nel cuore.

Il disco che cercherò di spiegarvi quest'oggi è un lavoro molto diverso da tutto quello che vi ho raccontato fino ad adesso. Lo è perché è costruito solo con l'utilizzo della chitarra classica, senza amplificazione, senza effetti, senza altri strumenti e senza voce. Una chitarra solitaria e basta. Ma è anche diverso da tutto il resto perché questo disco è un diario lungo un anno. Si tratta di Feu Clair/Dix Mille Yeux di Ueno Park, nome artistico scelto dal chitarrista francese Manuel Adnot per il suo progetto solista. Più che mai diventa fondamentale che lo strumento, in questo caso la chitarra, sia la proiezione del corpo, della mente e del cuore. Non solo, ma questo disco diventa, in un certo modo, un album fotografico di un anno affascinante, un anno dove si intende che ci sono stati viaggi, scoperte, innamoramenti, grandi osservazioni e, di conseguenza, grandi riflessioni. La cosa più interessante è che quello che prevale più di qualsiasi altra cosa è l'emozione. Non c'è una ricercatezza tecnica, armonica, stilistica. Non serve, serve solo impregnare in ogni nota quello che si è appena vissuto. E l'ascoltatore riceve tutto ciò. Per quello queste "fotografie" sonore hanno una doppia vita, la prima quando sono state composte e registrate, cercando di congelare un'emozione, un sentimento o un momento vissuto; la seconda, quando vengono decodificate e reinterpretate da chi ascolta. In entrambi i casi la carica emotiva è immensa.

Feu Clair/Dix Mille Yeux

Come definire musicalmente questo lavoro? E' difficilissimo e per quello la via più semplice è quella di dire che siamo di fronte ad un disco sperimentale. Dove l'aspetto sperimentale giustifica l'ampio ventaglio di sensazioni sonore che vengono fuori da questo Feu Clair/Dix Mille Yeux, ma anche il fatto che è stato registrato in modo passeggero, veloce ed onesto, con la stessa urgenza con la quale sono nate queste tracce. Per quello il lavoro di registrazione non è stato svolto in uno studio ma Ueno Park ha scelto i posti dove immortalare queste canzoni in base ai momenti e al conferire alla suo musica altri elementi che facessero diventare questo disco qualcosa di unico. Per quello una galleria, una chiesa, una stanza vuota sono tanti degli spazi che andavano bene per questo disco. Scelte che sicuramente hanno a che fare con l'acustica e con la possibilità di arricchire quanto più possibile il suono senza l'utilizzo di elementi esterni, ma anche scelte circostanziali che indubbiamente hanno rafforzato la carica emotiva di ogni pezzo. Come vi dicevo prima questo è un disco fatto col cuore, con sentimento, e per quello i brani presenti sono molto diversi, qualcuno diventa quasi un mantra con piccoli fraseggi che si ripetono ossessivamente; altri sono fiumi in piena di note che si accavalcano con urgenza e voglia di uscire, una dopo l'altra, forti e presenti. Infatti sento che la difficoltà di suonare questo disco non stia tanto nella complessità delle sue composizioni, anche se certi brani sono difficili, ma nell'essere in grado di restituire la carica emotiva che hanno.

Feu Clair/Dix Mille Yeux

L'immagine che mi viene in mente pensando a questo Feu Clair/Dic Mille Yeux è molto bella. Per uno come me che ama la fotografia e che cerca di immortalare i momenti essenziali della propria esistenza, come i viaggi, è bellissimo pensare al fatto che il ragionamento fatto da Ueno Park è quasi lo stesso, ma invece di avere in mano la macchina fotografica e una chitarra che parla, che disegna, che cattura l'immagine per poi regalarcela, preziosa, unica, irripetibile. La spontaneità di questo disco colpisce dritta nel cuore perché non è perfetta, non è priva di piccole sbavature che magari in studio sarebbero imperdonabili, ma è proprio tutto questo a rendere questo lavoro prezioso, un lavoro che tocca il cuore dell'ascoltatore perché umano.

Ueno Park

Come capita con la fotografia i gusti sono molto soggettivi e qualcosa che ci tocca in uno scatto non necessariamente emozionerà tutti quanti, per quello è molto difficile slittare una qualsiasi "classifica" all'interno di questo disco adulando maggiormente qualche brano con rispetto agli altri. Io provo a raccontarvi due che in questi momenti sono riusciti a toccarmi di più.
Il primo è Cosmos, brano concretissimo che supera appena i due minuti. Mi piace per la sua emotività, per la sua pioggia infinita di note che assomigliano alle stelle cadenti che percorrono l'universo solo per essere viste da noi. S'impazzisce di fronte a tanta bellezza, così alta, così pura.
Il secondo è Eau Clair. Questo è un brano diverso dalla maggioranza di questo disco perché la chitarra viene sottomessa ad una serie di processi che la trasformano nella seconda parte facendola diventare eterea. Questa acqua scorre limpida, ancora una volta pura, quale tesoro ormai nascosto. Perché nel nostro mondo sembrano essere questi i tesori, la purezza, gli spazi vergini ed incontaminati. Ecco, questa canzone sembra narrarci tutto ciò, sembra essere l'emozione di fronte a qualcosa di così buono da non dimenticarselo mai. Anni fa andavo in campeggio e camminavo moltissimo. In queste escursioni assaggiare l'acqua che spontanea s'insinuava vicino ai sentieri era un'emozione unica. Non si trattava soltanto di saziare la sete ma di voler fissare nella mente quel sapore, sapore di acqua di montagna, di acqua incontaminata. Questa canzone mi ha restituito quella sensazione. 



Prezioso è questo Feu Clair/Dix Mille Yeux. Prezioso nella sua onestà, prezioso nelle sue imperfezioni, prezioso nella sua emotività. Provate ad essere trasportati dalle sue note, provate a lasciarvi guidare nei mondi che sono passati d'avanti agli occhi di Ueno Park, provate a perdervi in quei mondi e poi uscite. Uscite a camminare senza meta alcuna, uscite a respirare, uscite a fissare nella vostra mente i dettagli che vi sono sempre sfuggiti ma che erano sempre lì urlandovi: "guardami!". Uscite ad innamorarvi e poi, quando tornerete, sarete migliori.

Voto 9/10
Ueno Park - Feu Clair/Dix Mille Yeux
Atypeek Music
Uscita 07.07.2017

Pagina Facebook Ueno Park
Pagina Soundcloud Manuel Adnot

domenica 2 aprile 2017

Lynhood - Septembre: il dondolarsi della foglia prima di raggiungere la terra

(Recensione di Septembre di Lynhood)


Una tendenza naturale che viene fuori in ognuno di noi è quella di cercare delle comparazioni in tutto quello che scopriamo. Abbiamo quel bisogno di creare dei ponti tra quello che conosciamo e quello che stiamo scoprendo, forse perché è un modo di reggerci, di sentirci meno sospesi nel vuoto. E forse queste comparazioni possono anche essere utili per la fonte di provenienza, perché possono aiutare a scoprire dei mondi sommersi dei quali imparare più cose.

Se faccio questa premessa è perché ascoltando Septembre, primo EP della francese Lynhood, dietro al cui nome si nasconde la cantante e bassista Chloé Della Valle, mi sono venuti spontaneamente tre nomi abbastanza distanti tra di loro ma che possono trovare punti d'incontro. I tre nomi sono: Soap & Skin, The Third and the Mortal e Juana Molina. Queste comparazioni sono dei veri complimenti, perché nel loro modo personale di vivere la musica questi tre progetti hanno qualcosa d'unico, di profondamente sentito che ho incontrato in quest'EP.
La costruzione di questo disco vede la sovrapposizione di diverse tracce di basso alle quali viene aggiunta la piacevolissima voce di Della Valle. Quindi è un disco studiato, composto e registrato con la chiaroveggenza che viene fuori dai progetti personali di questo tipo, dove i limiti potrebbero sembrare tanti ma l'onestà che trasuda da ogni nota prevale su tutto. 

Septembre

Musicalmente Septembre ha diversi momenti che si susseguono su dei loop che esaltano la versatilità di uno strumento che può sembrare molto monocorde come il basso ma che, grazie a una serie d'interventi sonori attraverso degli effetti, diventa una fonte inesauribile di suoni. Siamo dunque su un campo sperimentale dove il suono è un materiale che viene trattato ed utilizzato per ricreare gli ambienti dell'anima inquieta di Lynhood. La sua musica è ricercata, è vellutata, è misteriosa, è nostalgica.

Septembre è autunno. E' un disco di un'intimità tale che fa venire alla mente le foglie secche degli alberi che riempiono dei lunghi viali deserti appena dopo l'ora di pranzo e che si colorano sempre più di dorato piano piano che tramonta. Lynhood costruisce un EP di quelli che ascolteresti senza sosta in particolare momenti, dove spalanchi la mente alla musica e ti lasci guidare, come una foglia che dondola appena si stacca dall'albero raggiungendo la terra senza alcun dolore.

Lynhood

The Master è la canzone che più mi ha toccato di quest'intero lavoro, ma tutte hanno una grande valenza, un peso specifico molto alto. Perché questa canzone? Perché nella sua prima parte mi ha riportato alla mente una band che amo, cioè The Third and the Mortal e il loro disco In This Room, disco che, senza eguali, è riuscito ad abbracciare una serie di generi dando nascita ad un linguaggio nuovo che mi è rimasto sempre dentro. Per quello ascoltare questo brano è stato illuminante, perché mi ha regalato cinque minuti di quella sostanza che da anni mi affascina.



Septembre parla all'anima con un discorso che viene dall'anima. Septembre non cerca di sembrare quello che non è. Non si costruisce con idee già fatte, con trucchi ricorrenti. Questa "nudità" si sente, si apprezza e ci incanta. Lynhood mi ha regalato 20 minuti di nostalgica pace e solo per quello bisogna ringraziarla. Mi auguro di riascoltarla molto presto.

Voto 9/10
Lynhood - Septembre
Atypeek Music/[reafførests]
Uscita 31.03.2017

Pagina Bandcamp Lynhood

sabato 25 marzo 2017

Owun - 2.5 : motore, luce ed onestà

(Recensione di 2.5 degli Owun)


L'onestà di fronte a tutto. Questa è l'arma vincente che paga nella musica. Ben poco importa quello che si fa, ma quando c'è l'onestà va tutto bene. Non bisogna mai scendere a compromessi, anche se molto spesso questo significa intraprendere strade molto più tortuose. Ho sempre avuto l'impressione che l'onestà si sente, si percepisce in qualunque modo, che un brano suonato col cuore arriva sempre alla testa dell'ascoltatore, invece uno costruito a misura non riuscirà mai a andare nel profondo.

2.5

Osservando da lontano la storia degli Owun, band francese, è facile intravedere delle tappe e dei cambiamenti. Attivi dal 1992 la loro carriera è stata piena di pause, di cambi di formazione e di adattamenti musicali. Ma quello che arriva ascoltando questa loro ultima fatica, intitolata 2.5 è una grande onestà. Onestà che mette insieme i diversi generi masticati dalla band dando nascita ad un linguaggio proprio che non trova paragoni in altre band esistenti. C'è una componente sarcastica molto interessante nella musica di questo gruppo. Componente che potrebbe essere alla radice di quest'insieme di elementi, come se la loro musica facesse parte della colonna sonora di qualche commedia noir. Infatti le note di questo disco sono facilmente accostabili a delle immagini che sfilano davanti ai nostri occhi a 25 fotogrammi al secondo.

2.5

Sicuramente quella capacità visiva è associabile al profilo post rock presente nella musica di questo 2.5, ma, come dicevamo prima, questo è solo uno dei pezzi di questo puzzle che si completa con del noise e una dose interessante di rock sperimentale. Le armonie sono ricercate, spesso acide, le strutture sono variabili e anche se la maggior parte della musica degli Owun è strumentale la voce trova una collocazione strategica. 

2.5

La musica di questo 2.5 non vuole essere piacevole, non vuole essere un tormentone che non lascia le nostre teste, non vuole essere facilmente canticchiabile. No, per i Owun l'importante è essere fedeli alla loro linea di pensiero, a questa concezione quasi futurista, robotica oserei dire, che ci ricorda i film fantascientifici degli anni 70. L'estetica è curatissima, delicata, molto studiata per poter così raccontare delle storie tutt'altro che semplici e tutt'altro che scontate. 

Owun

Pesco due canzoni da questo disco.
La prima è Foul. Inizia con un profilo assolutamente noise per mutare poi in un'interessante intreccio di elettronica e rock che ricorda in certi passaggi i lavori anni 80 dei King Crimson. E' quella la parte robotica, molto presente.
La seconda è Tom Tombe, delirante pezzo dove l'energia tocca le vette più alte. Forse è qui che si sente molto l'aspetto post rock ma vissuto in un modo assolutamente personale che si distoglie dall'immagine che normalmente si può avere si questo genere.



2.5 come una nuova versione. 2.5 come una misura. 2.5 come qualcosa da decifrare. La musica degli Owun è complessa, articolata ed affascinante. E' ben pensata, è libera. Avvicinarsi non è semplice, buttarsi dentro è una bella avventura.

Voto 8/10
Owun - 2.5
Atypeek Music
Uscita 24.03.2017

Pagina Facebook Owun
Pagina Bandcamp Owun



giovedì 23 marzo 2017

Térébenthine - Visions: i piedi sulla terra, la testa nell'aria

(Recensione di Visions dei Térébenthine)


Qual è il numero ideale di componenti di un gruppo? Non esiste risposta a questa domanda ma qualcosa che generalmente prevale è la sensazione che più persone ci sono in un gruppo più difficile sia trovare un equilibrio e la formula giusta per riuscire a portar avanti il progetto. Oltre a quello c'è la grande libertà che esiste nel mondo della musica ma che in queste ultime due decadi ha reso molto più naturale vedere dei gruppi con dei formati atipici o inaspettati. In quel senso il duetto batteria-chitarra è sempre più diffuso e praticato. Questo perché i due principali mondi sonori, quelli del ritmo e quello dell'armonia/melodia, vengono resi essenziali, diretti e semplici.

Visions

La batteria sulla terra, la chitarra nel cielo. Questa è la definizione che è stata regalata ai Térébenthine, duo francese del quale mi occupo quest'oggi grazie al loro LP Visions. Una definizione asciutta ma perfetta per capire la dinamica di quello che fa questo gruppo. Due mondi che potrebbero sembrare opposti ma che dialogano tra di loro, che si cercano e si rifiutano, che si allontanano per poi cercare di essere una cosa sola. Non so bene come nasceranno le canzoni del gruppo ma mi azzardo ad avanzare una mie tesi. Secondo me molto nasce dall'improvvisazione, dalla voglia, riconosciuta dagli stessi musicisti, di avere una valvola di sfogo dalla vita. Dico questo perché si nota che ci sono provocazioni sonore intraprese da uno dei due strumenti che poi vengono capite, amplificate ed incrementate dall'altro strumento. Un dialogo lungo, dunque, che aspetta la spazialità dell'immaginazione per dare risposte originali ed inattese. 

Visions

Come genere i Térébenthine ricordano in parte quello che fanno i nostrani Sdang! anche se c'è una dose di maggiore violenza pazza nella musica dei francesi. In tutti i casi Visions è un lavoro che si muove tra le acque del post rock e del math rock. Creazioni oniriche che definiscono i propri contorni col lavoro strumentale dei due ottimi musicisti. La batteria è massiccia, precisa, energica, doti che personalmente cerco sempre in un musicista del genere. La chitarra è spaziale, psichedelica, sporca, aperta. Perché sta a lei di fare il lavoro di trasporto, di fantasia, di trascendentalità. E' grazie a tutto ciò che le note contenute in questo disco sorprendono, sono inattese, sorprendenti, molto complesse. Il risultato ottimale viene garantito da un'evidente complessità e comprensione dei due componenti della band. Si capisce che c'è un grado di comprensione e d'intendimento molto alti.

Visions

E' difficile decidere che cos'è meglio, se avere di fronte un lavoro maestoso, pieno di arrangiamenti per un numero elevato di strumenti, o invece scegliere l'essenzialità di due strumenti. Questo potrebbe sembrare un tranello nella musica dei Térébenthine ma tutto quello che c'è oltre finisce per far capire che non siamo ne a un estremo ne all'altro. Questo perché i risultato finale di Visions è di una ricchezza incontenibile. Sono due strumenti che riempiono tutto quello che c'è da riempire. Che regalano un'originalità preziosa traducendo storie in musica.

Térébenthine

Pesco due brani e faccio un piccolo appunto su un terzo. Parto da quest'ultima considerazione perché nella tracklist di questo disco l'ultimo brano si chiama Jackson Martinez. Per chi non lo sapesse questo personaggio è un calciatore colombiano, ritenuto un bravo attaccante in qualche momento per poi scemare consistentemente la sua carriera andando a giocare in Cina. Ci sarebbe da chiedere alla band perché hanno scelto proprio lui come influenza di uno dei loro brani.
Invece per quanto riguarda le canzoni che più mi hanno segnato vi dico subito che la prima è Mer Noire. Bellissima nella sua triste poesia sonora. E' una canzone di desolazione dove l'aspetto post rock sommerge quello math. Ma occhio, c'è un'energia particolare in questo gruppo francese che personalizza completamente il loro discorso musicale. Una specie di spiraglio di follia che toglie la perfezione che tanti brani post rock ricercano. Volutamente la musica viene sporcata e resa unica. Perché la bellezza sta soprattutto nelle imperfezioni. Insomma, questo "mare nero" ha il nero della tristezza ma anche delle regioni occulte della nostra mente.
Il secondo brano è Goutte d'eau. Torna l'acqua come elemento protagonista. Ma la goccia in questione è complessa. Può essere delicata, quasi impercettibile, ma può essere terribile come la goccia della tortura cinese. Può essere un piccolo elemento ma può anche essere quello che fa travasare un contenitore creando una specie di piccolo tsunami. 



La cosa bella di questo Visions è l'originalità con la quale la band "racconta" queste storie. E' una narrazione sorprendente che prende in considerazione tutti i possibili sbocchi che può avere un concetto di partenza. Per quello la musica dei Térébenthine è complessa, lunga e articolata e per quello anche noi finiamo per avere i piedi sulla terra e la testa nell'aria.

Voto 8,5/10
Térébenthine - Visions
Atypeek Music
Uscita 24.03.2017


martedì 20 dicembre 2016

Noyades - Go Fast: crudi, acidi e diretti

(Recensione di Go Fast dei Noyades)


La crudeltà è un disturbo mentale tanto eradicato nell'uomo che continuamente ci stupisce. La crudeltà è ceca e difficilmente arrestabile. La crudeltà è piena d'adrenalina e, questa è la parte più inquietante, provoca piacere. C'è gente che gode essendo crudele, e c'è gente che gode guardando la crudeltà.

Quest'oggi vi parlo del secondo disco del power trio francese Noyades, lavoro che s'intitola Go Fast. Ma prima di andar a raccontarvi che cosa c'è dentro a questo interessante lavoro credo che sia illuminate soffermarci sul nome scelto dalla band. Le "noyades" rappresentano uno degli atti più crudeli e brutali del post rivoluzione francese. Consisteva nel riempire delle barche con dei prigionieri legati ai polsi ed ai piedi, una volta riempita la barca era portata al punto più profondo del fiume Loira e per via delle falle che venivano procurate alle barche, poco sotto la linea di galleggiamento, le imbarcazioni affondavano trascinando i prigionieri ad una morte orribile. Quei pochi che riuscivano a salvarsi venivano uccisi a colpi di lancia.
Questa spiegazione potrebbe portar a pensare che i lidi musicali dei Noyades siano molto crudi e spregiudicati, ed invece non è così. L'aspetto pescato da un evento così scioccante è quello della brutalità, intesa come un atto irrazionale. Infatti la musica di questo trio di Lyon è un fiume in piena incurante di darsene, canalizzazioni o qualsiasi altro sforzo per comandare le acque. I Noyades sprigionano energia a base di ritmiche esaltate, intrecci melodici di grande fattura tra basso e chitarra, distorsione squillante e una batteria con un sound che ci porta indietro nel tempo. Go Fast è un contenitore pronto a spezzarsi in qualsiasi momento, ogni volta che uno dei musicisti picchia più intensamente il proprio strumento.

Go Fast


Cercando di contestualizzare meglio questo disco bisogna dire che ci muoviamo nel campo del rock. Più specificamente Go Fast nuota nelle acque di un rock che si sparte in modo naturale tra sonorità acide ed altre psichedeliche. Tutti i brani sono strumentali e cercano di essere molto evocativi spaziando tra momenti goliardici ed altri più seri. Sia una via che l'altra vengono intraprese con una naturalità impressionante dando a questo lavoro una varietà molto significativa. Certi brani sono concreti e diretti come spetta una tradizione punk, altri sono più studiati e ricercati e c'è anche spazio all'epicità di un'ultima traccia dove la band, in 17 minuti, flirta col math rock ed il post rock.

Go Fast


Infatti Go Fast è un disco ingannevole, perché potrebbe portar a pensare che è facile circoscriverlo a certe linee guide semplice ed invece non è così. E' psichedelico, è acido, è brutale, è diretto ma, allo stesso momento, è anche ricercato e complesso. Quello che non cambia è lo spirito "sporco" che c'è dietro ad ogni nota suonata. Infatti sembra voluto che ogni piccola briciola presente in questo disco deva essere ingrossata da un immaginario sonoro che ci riporta a quel'indie rock proficuo che visse i suoi tempi d'oro con l'avvento del garage rock e del noise. Questo è l'unico accordo in comune dentro ai Noyades, tutto il resto è un viaggio imprevedibile.

Noyades


Vi voglio segnalare due brani, i due estremi del disco. Perché la loro estremità non è soltanto dovuta alla loro collocazione dentro a questo lavoro ma, anche, alla loro costruzione.
Réplique apre quest'album con l'energia a palla. Costruito su una linea di chitarra bellissima, che possiamo abbinare al math rock, ci presenta lo spirito della band. Nessuno strumento si sovrappone ad un altro ma sono tutti e tre presentissimi e piacevolissimi. Si sente molto nettamente il suono del basso Rickenbaker.
Reflects è invece l'altra faccia. E' il brano epico e, sicuramente, il più poetico. Cerca di raccontare, attraverso la musica, i movimenti della superficie dell'acqua. Per quello dura 17 minuti e per quello è pieno di dinamica. Lunghe note piene psichedeliche lasciano spazio a ritmiche violente, per poi tornare alla calma e così via. Come un mare che vede abbandonare la calma piatta prima della tempesta ad un caos della natura. 



Go Fast è il classico disco che dimostra che l'essenziale è, molto spesso, molto più ricco del complesso. Soltanto tre strumenti cantano molto di più di quanto lo farebbe una band piena di strumenti e con la voce. Questa è la forza dei Noyades, liberi dentro alla comunione di gruppo che si apprezza in ogni nota suonata. Brutali dentro alla loro capacità di essere diretti e concreti. 

Voto 8/10
Noyades - Go Fast
Atypeek Music/S.K. Records
Uscita 22.10.2016

sabato 17 dicembre 2016

Alfie Ryner - What's Wrong? e lo spirito che si eleva oltre al tempo

(Recensione di What's Wrong? degli Alfie Ryner)


Il mondo è un posto complesso. Viviamo, teoricamente, in un'epoca globale ma ci meravigliamo ancora di fronte a certi aspetti culturali quando questi provengono da lontano. E credo che sia fondamentale viaggiare e conoscere altre civiltà, altre usanze, altri pensieri. Perché non siamo impermeabili alle contaminazioni culturali, anzi, queste ci fanno crescere. Non c'è nulla di più sbagliato che pensare che il fatto di essere nati in un posto piuttosto dell'altro ci imponga di seguire certe tradizioni o modi di vivere. Siamo così complessi che è giusto, e fondamentale, che ognuno di noi cerchi nel mondo, nella sua totale vastità, i riflessi di se stesso.

What's Wrong?


Il jazz è la culla delle contaminazioni musicali. E' il maggior fomentatore dell'improvvisazione intesa come fonte di crescita e di evoluzione. Per quello è proprio questo genere il punto d'inizio della musica dei francesi Alfie Ryner. Un punto iniziale che si espande in tante, sorprendenti direzioni. What's Wrong? è un disco che ci regala momenti di math rock, di post rock, di free jazz, di metal progressivo, di trance e tanto altro. E' un compendio di suggestioni sonore infinite che trovano un equilibrio pazzesco. E' un disco spaziale che regala nuovi confini alla musica.

What's Wrong?


Immaginate di prendere i Tool e di buttarli in mezzo al jazz. Questo è quello che succede con gli Alfie Ryner. L'emotività, la spiritualità e la complessità dei propri brani sono perfettamente in linea con quelli della band di Maynard James Keenan ma hanno un linguaggio musicale diverso molto più legato al jazz. Ma, curiosamente, circoscrivere la musica della band francese a quella del quartetto statunitense è limitante. In What's Wrong? si toccano tante altre rive piene di acidità musicale, di giochi psichedelici come se fosse un complesso rituale sciamanico ancestrale. Infatti l'aspetto antropologico è molto presente in questo lavoro, che si avvale di titoli come "Masque Korobla", riferita alle maschere di rituali spiritici dei Senufo o "Choeurs Funéraires" che è una libera reinterpretazione della band di una canzone indonesiana che viene cantata in coro di fronte a qualcuno che è appena trapassato. Non solo, linguisticamente sono diversi gli idiomi presenti in questo lavoro, come se la musicalità di ognuna si adattasse perfettamente alla dimensione musicale desiderata. 
What's Wrong? usa ed abusa, con pieno criterio, della dimensione del loop, sul quale si costruiscono strati sonori pronti ad apparire e sparire come spiriti goliardici. E' un disco roccioso e maestoso, solido quanto complesso nella sua musicalità.

What's Wrong?

Le tracce di questo lavoro sono complesse perché rappresentano una rilettura di tanti stimoli sonori e culturale che, molto spesso, hanno una radice profonda. What's Wrong? è spregiudicato perché non si cura di mantenere un certo genere di fedeltà con la forma originale di quello che ha influenzato gli Alfie Ryner. E' un disco libero e misterioso, è la creazione di un nuovo rituale partendo da vecchi e remoti rituali dove la dimensione umana acquisisce vette ignote. 

Alfie Ryner


La già nominata Masque Korobla ha il compito di aprire il disco. Costruito su un monologo esistenziale che esalta le qualità e i difetti dell'uomo, declamato in spagnolo, fa capire che questo disco ci regalerà un'intensità unica piena di complessità.
La title track si apre con una linea di basso e chitarra che richiamano prepotentemente i Tool ma l'entrate del sax fa capire che la dimensione della band francese va in tutt'altra direzione. Infatti dopo due minuti la canzone prende una via quasi opposta che, ancora una volta cambia, per richiamarci alla mente la parte più esperimentale dei King Crimson
E il richiamo a questa grandiosa band continua con Some Black. Questa volta si tratta di brano cantato che volentieri ci ricorda la parte strumentale dei Crimson e non solo. Brano strepitoso, pieno di dinamica. 
Per finire ci segnalo I am the Mountain. Costruita su un'ossessiva base di contrabbasso e batteria regala un andar e vieni di suoni, di voci con una teatralità, che ricorda gli Oxbow, che da una incisività visuale unica. Massiccia, pazza e bellissima. Perfetta chiusura per un gran lavoro.



What's Wron? traduce la curiosità di un gruppo di musicisti che sanno che è proprio quello, la curiosità, il motore che spinge i cambiamenti, la conoscenza, la sperimentazione. Ed è da ringraziare perché gli Alfie Ryner hanno la forza di pescare degli stimoli variopinti nelle culture, nelle lingue, nei suoni e nei generi per creare un'opera impressionante. La musica è sempre un passo avanti a tutto, e questo disco lo dimostra.

Voto 9/10
Alfie Ryner - What's Wrong?
Atypeek Music
Uscita 31.10.2016

mercoledì 23 novembre 2016

CHROMB! - 1000: essere adulti emotivi e bambini selvaggi allo stesso tempo

(Recensione di 1000 dei CHROMB!)


L'originalità è un fiore più raro che unico. Spesso si tende a confonderla con il coraggio ma non necessariamente sono cose che vanno mano nella mano. L'originalità diventa sempre più difficile perché più passa il tempo e più ci sembra che tutto sia stato inventato.

Quest'oggi, ancora una volta, il mio viaggio musicale mi porta in Francia, paese che si dimostra culla di progetti musicali pregevolissimi. Il turno è di una band chiamata CHROMB! e del loro nuovo disco intitolato semplicemente 1000. Questo viaggio è affascinante perché la musica di questa band si tinge di quell'avanguardia intelligente e ricercata alla quale ci hanno abituato artisti come i King Crimson, John Zorn, i Soft Machine e, aggiunta mia, i Time of Orchids. Tutti collegati dalla drastica voglia d'innovare senza rinunciare ad un aspetto essenziale, quello della piena libertà creativa. 1000 è un disco notevole che spazia tra la sperimentazione, l'ironia, l'energia del rock e la creazione di paesaggi sonori interessanti. I quattro componenti dei CHROMB! lo fanno senza avere l'ausilio di chitarre ma basando le loro creazioni ad un formatto basso-batteria-sax-tastiere sulla quale adagiano delle voci giocherellanti che non hanno problemi a cantare sia in francese che in inglese. 

1000


Sia il formatto della band che la libertà strutturale delle proprie creazioni avvicinano i CHROMB! all'immaginario jazz ma è assolutamente riduttivo limitarli a quella definizione. Nella loro musica sono presenti un'infinità di sotto generi quali il post jazz, il post rock, il progressive, il noise ed il rock in opposition. La cosa bella è che non ci sono forzature, ed il modo nel quale la band riesce ad inserire ognuno di questi paesaggi sonori diventa un discorso di sostanza e qualità. 1000 è un disco che per certi versi ricorda certi elementi dei King Crimson anni 80 ma la distanza di 30 anni si sente e il tutto viene arricchito con elementi nati negli ultimi anni. Si crea, dunque, un discorso sonoro che unisce la band con tanti mostri sacri del passato per quanto riguarda l'intenzione musicale ma che aggiunge nuovi elementi specchio di un'evoluzione musicale che non si ferma. 
L'altro aspetto interessante del lavoro di questa band sta nell'utilizzo degli strumenti, che non vengono mai circoscritti ad uno specifico ruolo ma che trovano lo spazio per dire la loro, per dialogare, per completarsi e per regalare importanti spunti.

Se c'è qualcosa che traspare da questo disco è il divertimento. Si capisce che i quattro componenti dei CHROMB! si divertono quando suonano e che la loro musica nasce in mezzo a quella specie di "rito". Come scrivono loro stessi nella loro biografia la loro musica è destinata ad adulti emotivi e bambini selvaggi. Direi di più, l'impressione è che loro stessi siano, simultaneamente degli adulti emotivi e dei bambini selvaggi. Dunque quella voglia di divertimento sfrenato incontra l'emotività e la voglia di raccontare qualcosa che arrivi alla testa ed al cuore di chi ascolta. Il risultato è sorprendente e bellissimo perché dentro a quei "deliri musicali" ci sono delle parti toccanti che si addentrano in ognuno di noi.

1000


Come al solito consiglio qualche traccia che, forse, può essere più indicativa del lavoro della band. Scelgo tre canzoni che fanno capire parte delle anime che convivono in questo 1000.
La prima è la traccia d'apertura del disco, Des Francis en Quinconce. Brano giocoso come pochi. Quasi circense e trascinante grazie ad una linea di basso in pieno stile Tony Levin. E' il delirio del divertimento, è il significato del concetto free.
Il secondo brano che vi segnalo è Favrice. E' una canzone strumentale e potrebbe perfettamente rappresentare la parte più progressive della band. E' la classica canzone che porterebbe il pubblico a muoversi senza sosta e senza possibilità di fermarsi, perché è trascinante, dinamica, divertente e concreta. 
Ultimo brano da indicarvi è Bonjoure. Anche in questo caso siamo di fronte ad una canzone strumentale che parte come una creazione che tranquillamente potrebbe appartenere alla new wave o al noise. E' una delle canzoni dove si può apprezzare la capacità di costruire dei scenari sonori pieni di sfumature, giocando anche con le opposizioni, col rumore e con le melodie ricercate.



1000 dei CHROMB! non è un disco per tutti, quello è indubbio, ma è un lavoro che sazia completamente la fame di chi ama la sperimentazione suonata con cognizione di causa. E' un lavoro pieno di qualità che dimostra che i musicisti dietro a questo progetto sanno perfettamente fare il proprio lavoro. Ma la qualità principale che salta alla vista è quella della coesione della band, figlia della voglia di divertirsi esplorando terreni illimitati. Un bellissimo disco.

Voto 9/10
CHROMB! - 1000
Atypeek Music
Uscita 03.10.2016