lunedì 31 ottobre 2016

Segnalazioni dall'underground

Questa rubrica nasce con l'intenzione di dare spazio a tutti gli artisti che in un modo o l'altro entrano in contatto con questo blog. 
Vi ricordo che per contattarci oltre a scriverci all'account email associato al blog potete scriverci a changagonzalez@yahoo.com o su facebook alla pagina www.facebook.com/postradioflo o su twitter all'account @ChangaProd

In quest'odierna rubrica sono quattro le segnalazioni da farvi.


  • Disease - The Year of Radio Silence. I Disease sono una band romana che vanta parecchi anni d'attività. The Year of Radio Silence è il loro terzo album e si costruisce come un lavoro concettuale che affronta le problematiche nello stabilire relazioni vere al giorno d'oggi. La loro musica è un'interessante mix di elementi che vanno dal prog metal al metal estremo passando da certe sfumature di death metal tecnico. Ricordano gli Intronaut ma la loro impronta ha un marcato ascendente anni 90. Disco validissimo uscito il 10 maggio di quest'anno. Potete seguirli su facebook: https://www.facebook.com/disease.progstreme



  • Elektrojezus - You Are the Alien. Band che nasce in provincia di Brindisi e che esordisce l'anno scorso con questo disco. La loro forza si basa nella coerenza del loro discorso musicale legato alla cosmologia con un'ottica quasi fantascientifica che ci porta ad immaginare quale potrebbe essere la colonna sonora di un futuro magari neanche troppo lontano. Il contrasto tra un elettronica che confina con la dance music e la chitarra ed il basso che non hanno problemi ad essere grintose come richiede il rock che confina col metal. Un elemento extra che arricchisce ancora il loro discorso viene rappresentato dal loro terzo componente, addetto alla parte "visual" che regala dal vivo altre pulsioni sensoriali. Per seguirli: https://www.facebook.com/elektrojezus


  • Nothing Hill - On the Moon at Noon. Un'altra band romana. Il loro nome permette perfettamente di capire la loro direzione sonora. Infatti la componente british è l'impronta più notoria dentro al pop rock del gruppo. Il loro discorso musicale è abbastanza ampio è ricorda artisti come Blackfield, Radiohead (nella loro tappa meno sperimentale) e The Smiths. Il disco è uscito quest'anno e rappresenta una base validissima sulla quale costruire un discorso musicale più approfondito. Potete ascoltare il loro disco su Spotify: https://open.spotify.com/album/5hsujOTSFPRg5Jjn6HmeZO


  • Andrea Turel Caccese - Optimus Primus. Questo EP nasce dalla mente di un eclettico artista campano non nuovo alla musica visto che in passato era stato il paroliere di un'ottima band chiamata Dirty Blood. Il discorso musicale di questo progetto mette in evidenza i gusti di Turel che costruisce elettronicamente una serie di tracce con un notorio tocco di metal progressivo intervallato a momenti ambient molto piacevoli. Quest'insieme da una spazialità alla musica che è molto gradita perché espande i suoi orizzonti per raccontare con i suoni una storia futuristica e dinamica. Per ascoltare l'EP: https://soundcloud.com/andrea-turel-caccese/optimus-primus-part-2-ft-kiwi-joshua?in=andrea-turel-caccese/sets/optimus-primus-ep


Mi fermo qua. Alla prossima con altre vostre segnalazioni!



venerdì 28 ottobre 2016

Cancel the Apocalypse - Our Own Democracy: la provocazione dell'acustico

(Recensione di Our Own Democracy dei Cancel the Apocalypse)

(Vous trouverez la version en français sous)

Spesso nella vita la cosa più interessante è la contrapposizione. Riuscir ad accostare due elementi che sembrano non avere nulla in comune, anzi, qualche volta proprio opposti, è un trucco geniale e non semplice. E' qualcosa che nell'arte diventa una costante perché quel messaggio arriva in modo molto più effettivo.

La contrapposizione è l'elemento cardine nella musica dei francesi Cancel the Apocalypse. Il loro disco di debutto, intitolato Our Own Democracy, evidenza questa contrapposizione dal primo aspetto più immediato che viene in mente, cioè la conformazione della band. Questo quartetto è costruito mettendo insieme due mondi che sembrerebbero non aver nulla in comune. Voce e batteria appartengono a due musicisti della scena metal e hardcore di Toulouse. La formazione viene completata con due musicisti classici proveniente da Bordeaux, che regalano alla band delle sfumature pregiatissime grazie alla chitarra classica ed il violoncello. Se mi fermo qua sono sicuro che nessuno di voi riuscirebbe ad immaginare com'è la musica dei Cancel the Apocalypse. Proprio qua c'è la magia ed il grande merito della band. Il loro discorso musicale è un post metal che nasce dall'acustico. In questo Our Own Democracy non c'è alcuno strumento elettrico ed il ricorso a l'effettistica è limitato al minimo normale di qualsiasi registrazione. Bella sfida! Sorge spontanea la domanda: ma è possibile comporre un'intero disco post metal usando solo strumenti acustici? La risposta sorprendente non è soltanto sì, è possibile ma oltre a ciò le possibilità sonore che si creano grazie a questo disco sono una grande novità in questo genere.



La cosa interessante è vedere come le due "parti" dei Cancel the Apocalypse lavorano. Per la parte "metallara" possiamo tranquillamente immaginare che il loro compito sarebbe pressoché lo stesso se dovessero registrare un disco con strumenti elettrici. La batteria è ricca, dinamica, grintosa, aggressiva quando deve esserlo. La voce è ricca di sfumature, passeggia senza problemi tra la parte melodica usando diversi registri e la voce graffiata che è piena di agressività.
La parte "classica" invece ci regala la meraviglia di questo progetto. Personalmente credo che non c'è niente di peggio che incollare parti di musica classica a generi "moderni". Magari era un discorso interessante per i pionieri di questi sperimenti ma ormai è qualcosa di assolutamente superato. I Cancel the Apocalypse hanno l'intelligenza di non farlo. Non che non si noti la formazione classica in quei strumenti e che non ci siano parti che potrebbero perfettamente appartenere a qualche partitura classica ma non è questa la parte predominante. Chitarra e violoncello assumono il ruolo degli strumenti elettrici di riferimento regalando nuovi elementi. Infatti è sorprendente sentire come quei due strumenti riescano a dare una carica incredibile che nulla ha da invidiare ai dischi elettrici. Il ruolo del violoncello è particolarmente illuminante perché grazie alla sua presenza le sue linee sono molto più complesse e dinamiche di quello che potrebbe fare un basso, assumendo in certi momenti il ruolo di strumento solista.

Con Our Own Democracy i Cancel the Apocalypse danno una nuova dimensione al post metal contaminandolo con le loro soggezioni acustiche che regalano piccole sfumature folk e barocche, piccole, però, perché non decontestualizzano il genere di partenza. La loro musica è come la massima di Lacan che citano come motore, cioè: "la cosa migliore che può accedere all'uomo è il caos". Ma il loro caos è una provocazione, quella di "sporcare" il post metal con le loro sonorità acustiche e quella di "rubare" dalla musica un paio di strumenti che lavorano in modo poco ortodosso per l'immaginario di conservatorio. Un altro elemento provocatorio è la durata dei brani. Non la monumentalità presente in tanti lavori del genere ma brani concreti che non eccedono mai i tre minuti e mezzo.



Come consiglio d'ascolto vi segnalo Candlelight, brano che parte come una bella ballata cantautore francese per tramutare, prima in una canzone melodicamente molto orecchiabile e dopo in un acida canzone metal.
Un altro consiglio è quello di Bad Boxer part 2 perché è una delle canzoni che permette di apprezzare al meglio il gioco geniale della band. Brano sempre acustico ma di una forza delirante che esplode senza controllo.



I Cancel the Apocalypse sono una trovata geniale che serve ad ammutolire ancora una volta tutte quelle voci che dicono che tutto è stato inventato nella musica. Our Own Democracy è intelligente, molto ben suonato e pieno di una freschezza che conquisterà parecchia gente. Io vado a prendere la chitarra.

Voto 9/10
Cancel the Apocalypse - Our Own Democracy
Get a Life! Records
Uscita: 04.11.2016

Pagina Bandcamp Cancel the Apocalypse


Français:

(Traduction de Anne Duluc)

Cancel the Apocalypse – Our Own Democracy : la provocation de l'acoustique

(Avis sur Our Own Democracy des Cancel the Apocalypse)

Souvent dans la vie, le plus intéressant réside dans l'opposition. Réussir à rapprocher deux éléments qui semblent ne rien avoir en commun, qui sont parfois même complètement opposés, est quelque chose de génial et difficile. Quelque chose qui, dans l'art, devient une constante parce que le message est transmis de façon beaucoup plus efficace.
L'opposition est la pierre angulaire de la musique des français de Cancel the Apocalypse. Leur premier disque, intitulé Our Own Democracy, met cette opposition en évidence dès la première idée qui passe par la tête, c'est à dire la formation du groupe. Ce quatuor est construit à partir de deux mondes qui sembleraient ne rien avoir en commun. La voix et la batterie viennent de la scène métal et hardcore de Toulouse. La formation est complétée de deux musiciens classiques originaires de Bordeaux qui offrent au groupe des nuances remarquables grâce à la guitare classique et au violoncelle.
Si je m'arrête là, je suis sûr que personne d'entre vous ne réussira à imaginer la musique des Cancel the Apocalypse. C'est justement là que se trouve la magie et le grand mérite du groupe. Leur discours musical est un post métal qui naît de l'acoustique. Dans Our Own Democracy il n'y a aucun instrument électrique et le recours aux effets se limite au minimum ordinaire de tout enregistrement. Beau défi ! Vient alors une question : “Mais peut-on composer tout un disque post métal en utilisant uniquement des instruments acoustiques ?” La réponse surprenante n'est pas seulement le fait que cela soit possible mais au delà de ça, les possibilités sonores créées grâce à ce disque sont une grande nouveauté pour le genre.
Il est intéressant de voir comment travaillent les deux “parties” des Cancel the Apocalypse. Pour la partie métal on peut facilement imaginer que leur tâche serait presque la même s'ils devaient enregistrer un disque avec des instruments électriques. La batterie est riche, dynamique, fougueuse, aggressive quand elle le doit. La voix est riche de nuances, elle navigue sans difficulté de la partie mélodique en utilisant divers registres à la voix écorchée pleine d'aggressivité. 
La partie classique quant à elle nous offre la suprise de ce projet. Personnellement, je crois qu'il n'y a rien de pire que de coller des genres “modernes” à la musique classique. C'était peut être un discours intéressant pour les pionniers de ces expériences mais c'est maintenant complètement dépassé. Les Cancel the Apocalypse ont l'intelligence de ne pas le faire. Non seulement on remarque la formation classique de ces instruments et certains passages pourraient parfaitement appartenir à quelque partition classique mais là n'est pas l'essentiel. La guitare et le violoncelle remplissent le rôle des instruments électriques de référence en offrant de nouveaux éléments. En effet, il est surprenant d'entendre comment ces deux instruments réussissent à donner une énergie incroyable qui n'a rien à envier aux disques électriques. Le rôle du violoncelle est particulièrement éclairant car sa présence rend ses lignes mélodiques bien plus complexes et dynamiques que celles que pourrait produire une basse, assurant parfois le rôle de soliste.
Avec Our Own Demaocracy, les Cancel the Apocalypse donnent une nouvelle dimension au post métal en le marquant de leurs impressions acoustiques qui offrent de petites nuances folks et barroques, petites toutefois parce qu'elle ne décontextualisent pas le genre de départ. Leur musique est à l'image de la maxime de Lacan qu'ils citent comme moteur : “ La meilleur chose qui puisse arriver à l'Homme est le chaos”. Mais leur chaos est une procovation, celle de “salir” le post métal avec leurs sonorités acoustiques et celle de “voler” à la musique deux instruments qui travaillent de manière peu orthodoxe pour l'imaginaire de conservatoire. Un autre élément de provocation est la durée des morceaux. Pas de monumentalité présente dans tant de travaux du genre mais des morceaux pragmatiques qui ne dépassent jamais les trois minutes et demie.
En conseil d'écoute, j'attire votre attention sur Candlelight, morceau qui débute comme une belle ballade d'auteur-compositeur français pour muter, d'abord en une chanson mélodiquement très audible puis en une acide chanson métal.
Je vous conseille également Bad Boxer part 2 parce que c'est une des chansons qui permet d'apprécier au mieux le jeu génial du groupe. Morceau toujours acoustique mais d'une force délirante qui explose sans contrôle.
Les Cancel the Apocalypse sont une trouvaille géniale qui sert à faire taire encore une fois ceux qui disent qu'en musique tout a été inventé. Our Own Democracy est intelligent, très bien joué et plein d'une fraîcheur qui conquerra beaucoup de monde. Moi, je vais prendre ma guitare.

Note 9/10
Cancel the Apocalypse – Our Own Democracy
Get a Life ! Records
Sortie : 04/11/2016

mercoledì 26 ottobre 2016

Raspail - Dirge: l'urlo inascoltato

(Recensione di Dirge dei Raspail)


In ogni percorso di vita c'è un decennio che ci segna particolarmente. Generalmente è quello che coincide con la nostra adolescenza, quello che marca il passaggio da bambino ad adulto. Le esperienze che viviamo in quel frangente ci segnano per il resto della vita. Anche per la musica è così. Si crea un legame particolare con quelle canzoni e quelle note che hanno marcato la nostra adolescenza.

Per i Raspail sono gli anni 90 ad aver avuto un'influenza innegabile. Il doom metal primordiale che ha dato nascita a tanti gruppi fondamentali come i Katatonia o i Paradise Lost, ma, com'è successo con queste band, anche nel caso del gruppo del quale ci occupiamo oggi quel genere è stato solo il punto di partenza. E' così perché Dirge, album di debutto di questo gruppo italiano, è un contenitore di diverse soggezioni sonore che, come detto prima, nascono nel doom ma vanno ad abbracciare tutta una serie di derivati come il post rock, il shoegaze, l'ambient ed il drone. C'è da ringraziare che sia così perché grazie a ciò questo lavoro passa da essere un esercizio di nostalgia ad una proposta fresca ed interessante che regala la personale interpretazione della band.



Forse a giustificare quest'insieme di elementi musicali c'è il fatto che i tre membri dei Raspail non solo non sono nuovi al circuito musicale underground ma lo sono avendo alle spalle dei progetti come i Klimt 1918 i Novembre, i Psychotic Despair ed i Room with a View. Tutti gruppi che spiccano grazie ad una loro interpretazione personale e molto ben riuscita di diversi generi metal e del rock di nicchia. 
Ma vado a parlare più accuratamente di questo Dirge. Come detto in precedenza è il doom a farla di base dotando le canzoni di quella ritmica che messa insieme al suono cupo delle chitarre ed alla voce scream fa l'effetto di un telo nero avvolgente. Gli stessi Raspail utilizzano un'immagine per definire questo disco. Dicono che assomiglia al paesaggio rurale dei dintorni di Roma guardato durante la note. Quello stesso paesaggio che è stato fonte d'influenza per tanti poeti ed artisti. L'immagine funziona abbastanza bene perché, effettivamente, la musica dei Raspail ha ben poco d'urbanità e si nutre di quella qualità che è quella di raccontare delle cose anacronistiche. La loro musica può perfettamente narrare quello che è successo ai tempi dei romani come qualcosa che è capitato in questi giorni. Infatti i sub-generi che arricchiscono la capacità compositiva della band hanno tutti in comune la capacità evocativa regalando continuamente un ambiente fatto di ombre, dello spostarsi delle foglie per via di qualche brezza, dei giochi dei riflessi nell'acqua e dei rumori della natura. Tutto questo in contrasto con il passaggio dell'uomo su quelle terre e su come la natura si "riappropria" dei propri spazi. 

Dirge ha la sua forza nella maestosità di quello che racconta e ricorda che dove mettiamo i piedi ci sono anni ed anni di processi, di tracce lasciate perché qualcuno riuscisse a scovarle. Per quello serve rispetto di fronte alla natura e al passato. Ma il discorso intrapreso dai Raspail non è legato all'esaltazione di tutto ciò, altrimenti sarebbe diventato un discorso hippie o new age. Il loro discorso è legato alla notte con tutto quello che presuppone. E' un rifugio nel quale si sono nascosti per anni ed anni i maggiori artisti che sapevano che quello era il loro posto dove sarebbero stati indisturbati. E' una passeggiata in solitudine dove la dimensione "umana" si spegne per far parlare la natura che ci ricorda che siamo minuscoli e che non possiamo pretendere di governarla. Per quello la tonalità è minore, le melodie sono cupe e la voce è un urlo.



L'opening track, The Wanderer, illustra perfettamente il resto del disco. Si apre con un intro che spazia tra il drone e l'ambient per poi lasciare spazio alla potenza del doom. E se si potesse pensare che questo insieme di generi era solo casuale l'ascolto di tutto il disco spazza via qualsiasi sospetto: la musica dei Raspail è costruita così.
Un altro brano che vi segnalo è Et in Arcadio Ego, frase latina che esalta il ruolo della morte. In questo brano, ma non è l'unico, si può apprezzare una serie di elementi che allontanano le fondamenta del doom dando spazio a piacevolissimi fraseggi del basso ed intermezzi ritmici che richiamano il black metal.




Dirge è un disco furbo. Lo è perché prende il doom anni 90 ed aggiunge una serie di elementi che lo arricchiscono senza stravolgerlo. Grazie a questo esercizio i Raspail troveranno indubbi consensi tra chi è cresciuto consumando i primi dischi dei Katatonia o dei Paradise Lost ma anche tra chi ha seguito l'evoluzione permanente nel mondo del metal con la costruzione di brani che dipingono dei scenari impressionanti. I Raspail hanno saputo cogliere il meglio del loro universo musicale e di quello che hanno voluto raccontarci, e ci sono riusciti.

Voto 7,5/10
Raspail - Dirge
Sick Man Getting Sick Records
Uscita 11.11.2016

lunedì 24 ottobre 2016

Hail Spirit Noir - Mayhem in Blue: e tu, dove starai quando arriverà il caos?

(Recensione di Mayhem in Blue dei Hail Spirit Noir)


Essere coerenti è un punto di forza come pochi. Abbracciare un credo, un'intenzione, un'impostazione ed esaltarla con la naturalità di aver fatto una scelta importante è da applauso. Bisogna credere in quello che si è senza mai scendere ad alcun tipo di patto, senza mai cercare di piacere per forza a qualsiasi persona. Insomma, bisogna essere coerente.

Gli Hail Spirit Noir lo sono. In ogni traccia del loro nuovo disco Mayhem in Blue si sente la coerenza di una direzione musicale particolare e molto originale. La loro musica è tanto psichedelica quanto progressiva e nuota in mezzo alle acque del black metal. Non è semplice trovare qualche altro gruppo che porti avanti un discorso musicale del genere e questo da ancora più peso a questo nuovo album della band greca. Dei tre elementi musicali descritti prima quello che spicca di più, senza alcun dubbio, è la parte psichedelica. Le linee di tastiera e molti dei riff di chitarra sono le guide sulle quali si sviluppa il resto del loro discorso musicale. Infatti è quel tocco a regalare un anacronismo molto particolare perché accosta la band a tutto il movimento psych rock di metà anni 60. Tocco che viene abbandonato appena i loro brani si sviluppano prendendo direzioni impensabili.



Mayhem in Blue è un disco sorprendente per la sua varietà. Non ci sono due brani simili ed in certi momenti si apprezza anche un'impronta mediterranea che parla degli origini geografici dei Hail Spirit Noir. L'utilizzo di diverse voci che vanno dal pulito ad una teatralità che potrebbe ricordare la voce di Rob Zombie è un buon paragone di quello che succede a livello strumentale. Infatti l'aspetto prog della musica della band non sta tanto nella complessità ritmica o armonica delle proprie composizioni ma bensì nel regalare dei momenti assolutamente diversi all'interno dello stesso brano. Momenti di grandissima bellezza nella loro parte più acustica e di esaltata energia quando si toccano le vette del black metal. Di fatto la band stessa è la prima a dichiarare che con questo lavoro hanno voluto esaltare il loro lato più aggressivo senza, però, rinunciare alla loro impronta psichedelica. Questa è la chiave. Perché gli Hail Spirit Noir regalano un'originalità che fa venire fame. Una fame che si sorprende con delle portate sonore nuove che si costruiscono con abbinamenti inattesi.

Il gioco d'illusione che è questo Mayhem in Blue fa ruotare la musica in uno spettro dinamico permanentemente contaminato. Le parti black non sono mai "pure" perché c'è l'aspetto psichedelico. L'aspetto rock è solo un'illusione perché nuotiamo nelle acque del metal. Le sfumature progressive ci sono e non ci sono perché non sono l'aspetto fondamentale. Insomma, questo è un disco che incanta per poi distoglierci violentemente dall'incantesimo. E' un disco che ha il "blue" presente nel titolo ma ha anche il caos (mayhem). Infatti è un lavoro di un caos nostalgico vissuto in modo assolutamente diverso dal caos cantato da tante altre band black metal. E' quasi sarcastico come un film eccessivamente splatter ma dopo tutto il sarcasmo viene la tristezza e la nostalgia di quello che siamo diventati. Il caos non è più una festa ma l'unica soluzione ed è triste.



La title track racchiude tutto quello che è questo disco. Tastiera, basso e batteria incantano con le loro linee ipnotiche e chitarra e voce s'incaricano di raccontare quello che vede un'osservatore del caos che descrive come il mondo che conosciamo è stravolto. E' un brano di una bellezza nostalgica impressionante.
Lost in Satan's Charms è un altro brano che regala un prospettivismo particolare passando da un relato di sensazioni, che musicalmente si traducono in un motivetto che si ripete a loop suggerendo uno stato dal quale è impossibile scappare, a un nuovo relato da osservatore che descrive quello che succede intorno. Il cambio di relato coincide col cambio musicale ma il brano finisce come inizia facendo capire che la parte mentale è quella più importante.



Mayhem in Blue ha il suo punto di forza essenziale nell'essere un'opera diversa. Se questo disco fosse una persona sarebbe quella che non segue mai la massa, quella che fa delle cose che, all'inizio, ci stupiscono ma che riflettendoci sopra si traducono in genialità. Infatti per gli Hail Spirit Noir il caos non è violenza, non è distruzione, non è rivoluzione. No, per loro è la nostalgia dell'osservatore. Quando arriverà il caos anch'io farò così, mi sederò ad osservare pensando ai bei tempi.

Voto 8,5/10
Hail Spirit Noir - Mayhem in Blue
Dark Essence Records
Uscita 28.10.2016

venerdì 21 ottobre 2016

SVIN - Missionær: senza limiti è più bello

(Recensione di Missionær degli SVIN)


Pensate ad un viaggio. Non qualsiasi ma a quello che vi ha lasciato una traccia profonda che vi ha portato a prendere decisioni importanti sulla vostra vita. Pensate a quella volta che avete vissuto immersi in una cultura assolutamente diversa dalla vostra cercando di decifrare le parole declamate in lingua locale, e anche se capivate nulla o poco eravate felicissimi. Questa è la magia del viaggio e per quello tutte le persone dovrebbero viaggiare, sempre e spesso. Perché viaggiare è ritrovarsi.

I danesi degli SVIN forse non sono stati così segnati dal loro viaggio in Islanda per registrare questo Missionær ma è indubbio che il paese dei vulcani ed i geyser ha avuto una fortissima influenza sulla band. Il viaggio non è stato casuale ma aveva come obbiettivo quello di recarsi agli studi dei Sigur Rós per dare vita al loro quarto disco. L'influenza del paese nordico è tangibile nelle infinite immagini che suggerisce questo nuovo lavoro. Immagini che parlano di natura infinita, di riflessi di luce nei celi eterni, dell'acqua che non si stanca mai di scorrere. Questo è uno di quei lavori che non meritano assolutamente di essere circoscritti a qualche genere perché "l'appartenenza" è l'ultima delle preoccupazioni. Il motore che muove i musicisti degli SVIN è la capacità di dipingere con la loro propria musica.



Posso definire questo Missionær come un disco sperimentale, difficile per l'ascoltatore medio. Un disco che non disdegna assolutamente l'utilizzo del drone e dell'abstract rock ricreando degli ambienti sonori complessi ma assolutamente coinvolgenti, intensi e disarmanti. E' difficile entrarci, ma se capiti dentro vieni travolto e non vuoi più uscire. Ma questo lavoro degli SVIN è anche altro, perché insieme agli elementi prima descritti, che potrebbero sembrare questo disco un lavoro per un pubblico molto specifico, troviamo degli elementi pescati dal jazz, un superbo utilizzo del sax, e dall'ambient noise. Chitarre sporche, acide e rumorose. Batterie martellanti. Bassi monocordi che aggiungono solo profondità. Insomma un insieme stranissimo che regala un pathos impressionante. Missionær è un disco cucito a strati dove l'elettronica e gli strumenti analogici dialogano quasi sfidandosi regalando delle tracce di un'originalità unica. E' curioso che in certi momenti gli SVIN riescano a ricordare la parte più sperimentale dei King Crimson senza la pretesa progressiva. Un altro gruppo che mi viene in mente ascoltando questo Missionær è The Knife  di Shaking the Habitual che si prestava a certe sperimentazioni strumentale tutt'altro che scontate. 

Missionær è un disco che inquieta e meraviglia. E' un disco che passa dal rumore assordante, al noir jazzistico per poi portarci a cadere in un vortice psichedelico. E' un disco pieno di oscillazioni, è un bombardamento di onde sonore intriganti, è un invito a viaggiare anche se la meta non è chiara. E' un disco che non si pone alcun genere di limiti e che porta l'ascoltatore a sorprendersi scoprendo com'è stato costruito. Ripeto, però, che non è un disco per tutti e che la stra grande maggioranza degli ascoltatori "comuni" non sopporterà un ascolto troppo prolungato. Ma è chiaro che gli SVIN se ne fregano di quei ascoltatori. A loro interessa la mente aperta, curiosa e non quella preimpostata. Se voi vi trovare nella prima categoria siete fortunati.



Missionær non è un disco lineare ma, come ho raccontato prima, passeggia senza problemi tra diverse intenzioni sonore. Per quello non è semplice selezionare poche tracce che diano l'idea di questo lavoro. Dødskontainer è rumorosa, quasi punk. Færgen Ellen è un incrocio tra un brano dei Morphine ed una melodia folkloristica giapponese. V è noir e jazz. Japser è ipnotica ed inquietante. Kirkeorgelsafrikaner è un incrocio tra i King Crimson, i The Knife e Philip Glass. Per finire, Stella è cosmica e trascendentale.



Gli SVIN regalano, con questo Missionær, una prova elevatissima di qualità, di originalità e di complessità. Un disco che sta molto, ma molto avanti a tante cose sentite e risentite. E' un lavoro che traduce gli infiniti suoni della natura in musica. E come capita con la natura, solo in pochi saranno in grado di ascoltare tutto. 

Voto 9/10
SVIN - Missionær
Pony Rec
Uscita 21.10.2016

mercoledì 19 ottobre 2016

Wang Wen - Sweet Home, Go! E l'oriente che ci apre gli occhi, di nuovo

(Recensione di Sweet Home, Go! dei Wang Wen)


L'Oriente. Posto magico e misterioso per chi, come me, ha passato tutta la sua vita nell'occidente. L'Oriente che è legato, soprattutto, ad un'idea di vita diversa, ad una profonda filosofia spirituale che porta a guardare il mondo con altri occhi. L'Oriente, che è sinonimo di disciplina, di lavoratori instancabili. L'Oriente che vorrebbe, per certi versi, essere più simile all'occidente e l'occidente che lascia la porta aperta all'Oriente.

Per la prima volta, oggi vi parlo di una band cinese, i Wang Wen, e del loro nono album intitolato Sweet Home, Go! La curiosità che avevo appena mi è arrivata la copia di questo disco era grande perché non capita spesso di sentire un gruppo post rock di quelle latitudini ed in tutta onestà riconosco che fino a poco non sapevo proprio della loro esistenza e della loro fiorita carriera. Ed è stato un vero peccato perché questo Sweet Home, Go! è un disco pregevolissimo che equipara questa band cinese con tanti nomi sacri di questo genere regalandoci, anche, il loro tocco personale. Chiama l'attenzione, infatti, la grande versatilità che si trova in quest'album, in parte grazie all'aiuto di una serie di strumenti "off-rock". Corde e fiati intervengono in punti mirati ingrandendo il discorso musicale intrapreso dalla band cinese. E se a questo aggiungiamo altri interventi sonori elettronici "rubati" alla drone music possiamo completare il quadro di questo lavoro.



L'aspetto più interessanti di questo disco è quello degli incontri tra mondi diversi. L'orientalismo dei Wang Wen ha ritrovato l'occidentalismo di due produttori europei che, stando alle informazioni che ho su questo lavoro, hanno dato chiarezza alla voglia di sperimentazione della band. Non solo, il gruppo narra che il processo compositivo aveva in mente un'altra contraddizione fondamentale: quella del modernismo. L'idea di riuscir ad essere facilmente collegati con tutto il mondo, di riuscir a stabilire relazioni multiculturali ma, nello stesso tempo, la povertà di relazioni "vere" e "tangibili". Un altro aspetto sottolineato dalla band è il valore diverso del tempo dove qualcosa che è appena nato sembra, subito dopo, superato. Sweet Home, Go! è magnificente perché manifesta una grande voglia di trattare, musicalmente, queste tematiche. E ci riesce, molto bene aggiungo. Ci riesce perché la band cinese è perfettamente in grado di prendere il ruolo essenziale del post rock, cioè quello di essere un genere fondamentalmente evocativo, e costruisce delle canzoni che diventano dei veri e propri racconti pieni di colpi di scena e di transizioni emotive che spiegano perfettamente come si passa dall'essere ammagliati da qualcosa a capire che, in realtà tutto è superficiale e basta.

Musicalmente bisogna ribadire che il punto di partenza è quello del post rock ma i Wang Wen dimostrano un vorace appetito musicale che si traduce nell'aggiunta di elementi musicali di altri generi come il rock sperimentale, il drone, l'ambient, il post metal e l'elettronica con sfumature di trip hop. Un insieme molto particolare che li avvicina ed allontana contemporaneamente a tanti gruppi. Per giustificare questo monumentale compendio di elementi c'è solo il lavoro evocativo che utilizza il registro migliore che serva a descrivere quello che si vuole raccontare senza parole.



Children's Place è un esempio perfetto. E' un brano che inizia con una base elettronica che profuma di trip hop per poi addentrarsi in pieno dentro ad un discorso post rock che, successivamente, si contamina d'elettronica per finire con la grinta del post metal. E' bella come un rifugio segreto di un gruppo di bambini ma è anche misteriosa come lo è la curiosità che spinge i bimbi a voler sapere e conoscere. 
Heart of the Ocean è un'altra traccia molto interessante. Inizia con un base drone sulla quale un pianoforte si diverte a buttare giù delle melodie malinconiche che danno il via al vero sviluppo del brano, vasto quanto è vasto l'oceano.



Sweet Home, Go! è un perfetto riflesso dei nostri tempi. E' globale ed è contaminato. Sono due culture, l'orientale e l'occidentale, che si cercano, si prendono per mano e si respingono. E' la tecnologia che fa diventare tutto semplice e alla portata di ognuno ma che ha tolto il valore a qualsiasi cosa. Ormai tutto è passeggero nell'era dell'usa e getta. La bravura dei Wang Wen sta nel narrare musicalmente tutto quello ma anche il momento successivo, cioè quello della solitudine e delle riflessioni. E' allora che capiamo che non siamo mai stati così collegati col mondo e, nello stesso momento, così soli. Ancora un'altra volta dobbiamo ascoltare l'Oriente.

Voto 8,5/10
Wang Wen - Sweet Home, Go!
Pelagic Records
Uscita 30.09.2016


lunedì 17 ottobre 2016

Madder Mortem - Red in Tooth and Claw: il tempo rende saggi

(Recensione di Red in Tooth and Claw dei Madder Mortem)


Il tempo. Tirano ed inflessibile. Saggio e paziente. Ossessivo ed angoscioso come una clessidra inarrestabile. Sovrano maestro che da continuamente lezioni senza mai atteggiarsi. Il tempo è il tesoro più grande che abbiamo e bisogna stringerlo forte forte.

Di tempo ne è passato per i Madder Mortem, concretamente 7 anni tra Eight Ways e il disco che oggi sottopongo al mio umile analisi. S'intitola Red in Tooth and Claw e rappresenta un passo in avanti nell'evoluzione di questa interessantissima band norvegese.
I Madder Mortem sono attivi nel mondo della musica sin dal 1993 ed ogni loro lavoro si trasmutava in un risultato che apportava nuovi elementi con rispetto al lavoro anteriore. Questo Red in Tooth and Claw non è l'eccezione. Anzi tutto bisogna dire che l'impronta della band è sempre la stessa iniziando dalla caratteristica più riconoscibile, cioè la voce della cantante Agnete M. Kirkevaag. Una voce di grande personalità, di un timbro caldo che riesce a muoversi senza problemi attraverso di diversi registri. E' anche presente la qualità della band di mettere insieme diversi generi musicali come il progressive metal, un certo spunto doom, un tocco di avant-garde metal ed un certo sguardo agli aspetti che ricordano l'heavy metal più classico come intenzione. Tutti elementi che vengono messi insieme nella creazione di brani che senza problemi s'incastrano nella testa di chi ascolta. Infatti i Madder Mortem hanno la grande qualità di riuscir ad individuare delle melodie effettive che contraddistinguono gran parte dei loro brani. Cos'è cambiato allora in questi 7 anni? L'enfasi. La forza con la quale intraprendono certe strade senza timidezza ed esaltando maggiormente le loro scelte musicali. Questo Red in Tooth and Claw trasuda sicurezza e personalità.



E' da notare, infatti, che il risultato d'insieme proposto dalla band norvegese difficilmente può trovare eguali. Si potrebbero trovare paragoni, infatti uno nuovo che viene fuori in questo lavoro è quello che ricorda altri norvegesi, i bravissimi Atrox, ma questi esercizi sarebbero racchiudili soltanto a certi passaggi ma non al complesso. Sicuramente gran parte di ciò è dovuto ad un certo tocco nostalgico nel fare le cose, o, piuttosto, si sente con chiarezza che la band suona da 23 anni e parte del sound che all'epoca andava forte continua ad essere presente nelle fondamenta dei Madder Mortem. La cosa affascinante è che, come fanno tanti gruppi, la loro carriera si poteva bassare sul replicare certe formule ed invece non è così. I Madder Mortem sono moderni, originali ed offrono un insieme energico e sorpressivo.

Red in Tooth and Claw è il perfetto riflesso di quello che abbiamo appena detto. Viene costruito con una versatilità sorprendente. Con riff di chitarra che passano senza alcuna difficoltà da sonorità hard rock marcatamente anni 90 ad altri di una pesantezza che soltanto nell'ultimo decennio ha visto la luce. Con una base ritmica virtuosa che non si limita a fare il proprio compito e basta ma arricchisce il risultato finale incrementando la sensazione di versatilità. Anche la voce, o le voci, contribuiscono a dare corpo alla globalità di questo nuovo lavoro. Tremendamente melodiche quando serve ma urlate furiosamente quando l'energia esplode.



Come consiglio all'ascolto parto con If I could, brano che appartiene a quella ristretta categoria di canzoni che iniziano col ritornello che si basa su una frase urlata con sofferenza: "I'm so sorry". E' un brano che esemplifica perfettamente quello che ho scritto sopra perché passeggia senza problemi tra tre decadi di musica senza mai suonare scollegato o incoerente. Al contrario, è così effettivo che vi ritroverete anche voi a canticchiare improvvisamente il ritornello.
Returning to the end of the world è il secondo brano che vi consiglio. Questa canzone offre quel binomio forte-tranquillo che la band utilizza molto spesso passando da parte arpeggiate ad altre di riff micidiali di chitarra. Un altro mix di impulsi sonori provenienti da svariati origini.




Con Red in Tooth and Claw i Madder Mortem si ripresentano con prepotenza nei circuiti più progressivi e sperimentali del metal. Lo fanno con un'energia presente in ogni nota suonata come se volessero urlare che sono tornati. Il tempo ha fatto bene alla band perché la direzione che hanno intrapreso non solo è valida ma è onesta, moderna e molto piacevole. Ben tornati. 

Voto 8/10
Madder Mortem - Red in Tooth and Claw 
Dark Essence Records
Uscita 28.10.2016

venerdì 14 ottobre 2016

Fvnerals - Wounds: la densità del buio

(Recensione di Wounds dei Fvnerals)


La densità può avere tante accezioni. Può essere negativa, trasformare qualcosa in pesantezza e non permettere di apprezzarla fino in fondo. Può essere, invece, positiva e farci cadere in uno stato di abbandono in preda ad una sicurezza irrinunciabile. Lasciarsi avvolgere dal calore vellutato del letto in una fredda notte d'inverno è una goduria. Avere dei posti segreti che sono i nostri rifugi dove un buio denso ci protegge è un privilegio. Sappiamo che siamo al sicuro, che nessuno conosce quel posto del cuore.

Il disco del quale vi parliamo quest'oggi è denso perché s'impregna in quella densità propria ad un genere come il doom. Ritmiche lente, trascinate ed un registro musicale che predilige le basse frequenze. Ma occhio, sarebbe semplice ingannarsi e pensare che c'è "soltanto quello in questo Wounds, secondo LP degli scozzesi Fvnerals. Invece, come vedremo, non è così. Dimenticate il doom anni 90 costruito come una depressiva tela monocorde che piano piano ti avvolgeva. I Fvnerals prendono solo la parte più interessante di questo genere musicale e la mescolano con altri elementi dando nascita ad un disco attuale, originale e denso come il buio in una notte senza luna.



L'aspetto che spicca in questo Wounds è il contrasto tra la parte strumentale, pesante, lenta ed oscura, e la voce della cantante/bassista Tiffany Strom. Una voce abile a spostarsi tra diversi registri assecondando le intenzioni musicali della band in certi momenti, ed in altri, quelli che spiccano maggiormente, aprendo la sonorità, creando così una serie di contrasti molto graditi. In certi momenti la voce ci riporta alla mente i lavori di Chelsea Wolfe o di Darkher, che ho osannato abbastanza in questo blog. C'è quest'opposizione netta tra una musica concreta, pesante, che ha i piedi saldamente attaccati alla terra e la voce, che diventa senza problemi spettrale e dannata. 

I Fvnerals hanno come scopo quello di far addentrare l'ascoltatore in questo bosco notturno del quale si vede ben poco per via della nebbia persistente. In un certo modo bisognerebbe essere un pazzo per accettare un invito del genere ma la voce ha la qualità di essere accattivante al punto di lasciarsi trasportare. Quando arriva il giorno e tutto prende un'altra luce la sensazione che rimane è quella di aspettare una nuova notte e di addentrarsi ancora una volta in quel bosco per vivere di nuovo quell'esperienza.



Circoscrivere questo Wounds come un disco di doom e basta è molto riduttivo e ad ampliare questa percezione ci pensa il dark ambient che riesce a ricreare i paesaggi sonori perfetti.
Una mostra fedelissima di tutto ciò è il trinomio Void-Wounds-Shiver, prime tre tracce del disco. La prima è l'apertura perfetta perché mette l'ascoltatore nello stato mentale adatto a ricevere quello che viene dopo. Wounds è invece il brano che offre più sfumature guidando l'ascoltatore tra la nebbia ed il buio per illuminarsi improvvisamente come un lampo. Shiver sembra la continuazione logica del viaggio, infatti tutte e tre le tracce non hanno stacchi e s'incollano l'una all'altra. Shiver sembra far riposare l'ascoltatore che si fa cullare dalle armonizzazioni vocali della Strom.
L'ultimo brano che vi segnalo è Where, traccia che chiude il lavoro. Costruito su una linea di pianoforte oscurissima incanta con la voce, più spettrale che mai. E' una specie di ballata oscura, una discesa silenziosa su una barca che non sappiamo dove ci porterà.



Wounds è un disco particolare perché potrebbe portare all'inganno di pensare che si tratta di un lavoro monocorde ma la magia dei Fvnerals sta nell'essere riusciti a riempirlo di sfumature, di non sempre semplice lettura. Ogni nuovo ascolto garantisce lo svelarsi di nuove sensazioni riempiendo la sensazione sensoriale dell'ascolto di quest'ottimo lavoro. La densità del buio non deve spaventare.

Voto 8,5/10
Fvnerals - Wounds
Golden Antenna Records
Uscita 14.10.2016