domenica 29 settembre 2019

Juggernaut - Neuroteque: perdersi nella strada verso il posto dove tutto è consentito

(Recensione di Neuroteque dei Juggernaut)


Ma voi, come vivete la musica? 
Potrebbe sembrare una domanda senza senso o troppo campata per aria, una di quelle classiche domande che si pongono con la voglia di raccogliere quante più bizzarre domande. E invece non è così. L'approccio all'ascolto della musica è così variabile che è degno di uno studio approfondito. Anzi, sicuramente saranno già stati fatti diversi studi del genere. La musica è uno stimolatore di tante cose, una bestia che smuove gli angoli più nascosti del nostro essere, restituendoci delle sensazioni che raramente potremmo trovare altrove. La musica è viaggiare sdraiati a terra. La musica è diventare protagonisti di immaginari video che proiettano le nostre sensazioni su tutto quello che ascoltiamo.
Quindi voi, come vivete la musica?

Ci sono dischi che non possono essere banalmente ascoltati come se fossero la colonna sonora delle attività routinarie. Ci sono dischi che richiedono la completa attenzione, perché solo così riescono a aprire il loro vero universo all'ascoltatore. 
Neuroteque è così. Lo è perché la concezione musicale dei Juggernaut è sempre stata una concezione visiva, dove ogni singola nota diventa pellicola che cattura le immagini di una cinepresa. Tutto rigorosamente analogico, con quella fragilità legata a sovra o sotto esposizione, al processo di sviluppo della pellicola, a quel gioco tra sostanze chimiche e la magia del movimento catturato, modificabile e dunque trasformato in manifestazione artistica. Sono trascorsi cinque anni dall'uscita del mastodontico Trama ed era una necessità avere delle novità sonore da parte di una delle più interessanti band italiane in circolazione. Ed ecco qui questo nuovo lavoro, un disco che mette insieme una serie di elementi che non saltano magari alla luce al primo o secondo ascolto ma dopo una concentrata serie di play. Neuroteque è un disco con l'impronta chiarissima della band, è il loro sound, è il loro modo di scrivere dei brani pazzeschi che raccontano senza mai parlare, o, piuttosto, senza mai chiedere l'ausilio delle parole. Ma è anche un lavoro che mette in evidenza una crescita musicale che si riflette nella ricerca dei dettagli, nelle piccole sfumature che non sempre possono essere facilmente apprezzabili.


Neuroteque

Ma addentriamoci in questo universo chiamato Neuroteque. Quello che i Juggernaut  costruiscono attraverso la loro musica sono sette percorsi, o tracce, per raggiungere una meta, un luogo dove tutto è consentito. E come in tutti i racconti epici quello che interessa di più è il "come", il percorso, l'avventura, la contrapposizione tra l'aspetto obbiettivo e quello soggettivo. Quanto cambia una storia se è raccontata in prima persona o da un narratore onnipotente? Ecco, la band maneggia magistralmente quei tipi di narrazione, come se si trattasse della regia affermata di un artista che ormai ha una sua impronta in ogni lungometraggio che porta a termine. Per quello questo disco fa salti immensi nel tempo, per quello gioca con la psichedelica sensazione già presente nel disco anteriore, per quello è un disco che non si sofferma all'utilizzo di pochi, pregiati, generi, per quello diventa indefinibile. Anima progressiva? Può esserlo, in quanto a la sua concezione illimitata. Disco esperimentale? Fino a un certo punto. Più che esperimentale si tratta di un lavoro di profonda ricerca sonora, dove ogni dettaglio è prezioso come nella fotografia dei film che hanno fatto la scuola del cinema. 
E allora che cavolo di disco è? Non importa, non è necessario definirlo. Non bisogna catalogarlo anche se il mondo ci urla di catalogare tutto. Ma come si catalogano le emozioni? Questo è un disco alla Juggernaut  che si costruisce grazie alla comunione di quattro musicisti pazzeschi di mente aperta. 

Ma alla fine si giunge a Neuroteque? E' proprio qui che si cella il grande gioco dei Juggernaut. La loro narrazione strumentale non ci propina finali perché è l'ascoltatore a decidere se varcare la porta o meno. La band ci guida, ci fa vedere le strade tortuose, uniche e inquietanti, perché qualche volta raggiungere uno scopo non è qualcosa di semplice e perché il raggiungere quel "premio" ci fa subito pensare se ne valeva la pena. Volete entrare dentro Neuroteque? Pensateci molto bene.


Juggernaut

Scelgo due percorsi, o brani, che mi hanno segnato maggiormente in questa epopea sonora.
Il primo è Titanismo. Un percorso lisergico, che inizia con pochi indizi per poi diventare una corsa tra paesaggi mai esplorati e mai affrontati. Tutto cresce, tutto diventa sempre più importante, facendo capire che non c'è modo di tornarci indietro. A un certo punto bisogna fare un respiro molto profondo e decidersi a continuare a camminare. Poco importa se la meta è lontana, non si torna più indietro. Ma piano piano che si avanza si perdono le convinzioni del perché si è iniziato a percorrere questo sentiero.
Il secondo è Orbitalia. Forse la strada più oscura, quella che in un principio, per via del buio, non permette di vedere molto. Ma quando gli occhi si abituano accadono due cose. La prima è che si scopre un mondo nuovo, cose mai viste prima. La seconda è che si capisce che quelle cose in realtà hanno sempre fatto parte di noi ma soltanto adesso riusciamo a viverle. Questa è la strada che io scelgo, o che forse mi ha scelto.



Non vi limitate a dare pochi ascolti a Neuroteque. Questo è un disco che retribuisce quello che succede con le città più belle e meravigliose. Bisogna perdersi per trovare i nostri angoli preferiti. I Juggernaut  hanno messo in piedi un disco che può sembrare un labirinto ma non lo è, perché entrandoci dentro e capendo la sua logica diventa un posto meraviglioso. Per quello, ascoltatelo e ascoltatelo e piano piano anche voi deciderete se arrivare alla meta o se continuare a esplorare creando magari altri percorsi.

Voto 9/10
Juggernaut - Neuroteque
Subsound Records
Uscita 11.10.2019

Pagina Facebook Juggernaut
Pagina Bandcamp Juggernaut

mercoledì 25 settembre 2019

Kayo Dot - Blasphemy: quando la musica costruisce storie

(Recensione di Blasphemy dei Kayo Dot)


L'insicurezza molto spesso è il modo migliore di vivere una vita intensa. Può sembrare un discorso senza senso perché da sempre c'insegnano che dobbiamo cercare la sicurezza, la sicurezza di un lavoro fisso, di una famiglia, dei beni materiali che piano piano riusciamo a comprare. Ma questo discorso sembra farci cadere nell'omologazione di una vita sempre troppo simile. Non che non sia un bene sapere che si può vivere senza paure ma è bello dover affrontare sempre situazioni diverse e tenere sempre in attività le nostre capacità più grandi, di adattarci, di sopravvivere, di essere sempre intelligenti.

Blasphemy

Uno dei primi dischi recensiti su questo blog è Plastic House on Base of Sky, disco del 2016 che aveva messo in evidenza una nuova tappa della mutazione di quella creatura indefinibile chiamata Kayo Dot. Chissà come sarà esplorare la mente di Toby Driver, mente maestra dietro a questo gruppo impressionante, chissà che meccanismi mentali scattano ogni volta che affronta la tappa di composizione di un nuovo disco. Se c'è una certezza è che è impossibile anticipare le sue mosse. E' impossibile capire cosa verrà fuori dalla sua ennesima creazione. E se avete qualche dubbio ascoltate in ordine cronologico tutti i lavori della band aggiungendoci questo ultimo Blasphemy. Vi ritroverete a saltare da un'isola a un'altra senza collegamenti logici e diretti. Ebbene sì, questo nuovo lavoro continua a essere inserito in quella voluta fragilità camaleontica. Anche se, a onore del vero, qualche piccola sicurezza c'è, per esempio il fatto che l'elettronica, intesa come creazione sonora attraverso dei synth, sia ormai una sfida per la mente brillante di Driver, e ne troviamo la conferma di ciò nel fatto che gli ultimi tre dischi della band vanno sempre in quella direzione, senza mai, però, abbandonare l'apporto, essenziale, di strumenti più "standard" come la chitarra o la batteria.

Blasphemy

Blasphemy ha un'altra caratteristica fondamentale ed è il fatto che si tratta di un disco concettuale, basato su un romanzo di uno dei collaboratori di lunga data di Driver, cioè Jason Byron. Una storia che potremmo riassumere come la ricerca di tesori da parte di tre personaggi, tesori che saranno distrutti dal vero tesoro che tutti cercano, cioè un ragazza addormentata con un terribile potere chiamata, appunto, Blasphemy. Questo dato diventa fondamentale per capire le connessioni tra tutti i brani e l'atmosfera che unifica questo nuovo disco dei Kayo Dot. Siamo in un ambito fantascientifico anche se la storia tocca molti altri aspetti che sono un riflesso della vita e del nostro mondo. Per quello musicalmente tutto si basa sulla creazione di veri e propri paesaggi sonori ricchi di quella componente fantascientifica. Anzi, la sfida diventa anche molto più complessa perché è necessario avere la capacità di costruire una serie di suono che vadano bene alla storia e poi riuscire a cucire tutto insieme, dando una coerenza tra storia, musica, canto. Credo che qui sia fondamentale soffermarsi un attimo e capire che, con rispetto ai tempi dove i brani dei maudlin of the Well, band precedente alla nascita dei Kayo Dot, venivano composti cercando di riprodurre i viaggi astrali che facevano  Driver and Co., siamo di fronte a aspetti molto più concreti, molto più studiati e ragionati. Occhio, non voglio assolutamente sminuire i lavori dei maudlin of the Well perché personalmente sente che siano uno dei progetti più interessanti e sottovalutati dell'avanguardia musicale degli ultimi 25 anni. Il mio ragionamento è volto soltanto a enfatizzare il processo di maturazione dietro al modo di lavorare di un determinato musicista. 

Blasphemy

Io penso che la musica dei Kayo Dot non abbia uguali. Soprattutto per questa impressionante capacità di reinvenzione ma anche per il fatto che quello che riescono a riprodurre e qualcosa di unico che non potrà mai essere paragonato a null'altro. Blasphemy è una nuova conferma di tutto ciò, è un disco pieno di personalità, di tocchi stilistici dei quali tanti artisti sono carenti. E' un compromesso di coerenza con sé stessi, è un essere che si presenta senza barriere, senza alcuna voglia di stare simpatico a tutti. Per quello può fare impazzire o può allontanare le persone.

Kayo Dot

Pesco due brani in questa epopea musicale.
Il primo è Turbine Hook and Haul. Brano di tranquillità apparente, di disperazione contenuta, di domande senza risposta, di incomprensioni ma anche di svolti positivissimi. Per quello il suo suonare è una linea che si muove tra la tranquillità e la disperazione. Difficile da concepire? Ecco perché è bellissimo.
Il secondo è Blasphemy: A Prophecy. Dal mio punto il miglior brano di questo disco. Non soltanto perché è il punto finale di questa storia ma anche perché merita a tutti gli effetti di essere annoverato come uno dei "classici" della band. Quello grazie al pregiato tappetto strumentale guidato dalle tastiere, al lavoro della chitarra e alla forza della voce, che costruisce un mondo bellissimo. Brano magistrale.



Sono molto onesto. Blasphemy non è il disco dei Kayo Dot che più mi sia piaciuto. Non è un disco semplice, così come non lo è nessuno della band, e, come ho scritto prima, sicuramente è un disco che fa nascere giudizi molto radicali. Ma l'intelligenza e la genialità che contraddistingue la strada del gruppo trova un'ennesima conferma. Il mondo necessità di dischi come questo, di impulsi come questo, di storie come questa. E già solo per questo io sono ultra grato. 

Voto 8/10
Kayo Dot - Blasphemy
Prophecy Productions
Uscita 06.09.2019

sabato 21 settembre 2019

Costin Chioreanu & Sofia Sarri - Afterlife Romance: un amore d'oltretomba

(Recensione di Afterlife Romance di Costin Chioreanu & Sofia Sarri)


Qualcuno afferma che dietro a qualsiasi evento nella vita si celi l'amore. Anche le canzoni più rabbiose mai scritte in realtà rispondono all'amore, a quello negato, a quello tolto, a quello che non è possibile vivere. Ma l'amore dev'essere compreso come qualcosa di grande e importante, qualcosa che va oltre alle emozioni che una determinata persona ci può fare sentire. L'amore dev'essere visto come una ragione di vita, uno scopo che ci porta a prendere decisioni e a indirizzare la nostra propria strada. E perché? Perché solo in quel modo si verificano cose che non sono facilmente spiegabili, cose che vanno oltre alle logiche e a tutto quello che diventa standard. 

Afterlife Romance

Le collaborazioni sono sempre qualcosa di affascinante, perché vanno ad accrescere tutto quello che è un germoglio o perché permettono di esplorare nuovi orizzonti. Per quello il disco del quale vi parlo quest'oggi, Afterlife Romance, presuppone un inseguire uno scopo finale da parte di due artisti molto interessanti. Da una parte abbiamo il multidisciplinare Costin Chioreanu, artista rumeno famoso non solo per il suo percorso musicale ma anche per essere la mente dietro all'artwork di diversi lavori di grandi band metal. D'altra parte abbiamo Sofia Sarri, interessantissima cantante greca proprietaria di una voce eterea e dinamica che si presta perfettamente all'idea che ingloba questo lavoro. 
Infatti è essenziale capire quale sia il punto d'inizio di questo lavoro. Tutto nasce da una visione che sopraggiunge Chioreanu in una visita notturna al cimitero di Vienna.   Cosa verrebbe fuori da una storia che ricreasse l'amore tra due fantasmi? Un amore nato in quella dimensione d'oltretomba e non durante la vita. Un amore dove tutti gli altri fantasmi passano a essere personaggi secondari che arricchiscono questa trama. Insomma, un romanzo di oltretomba. 

Afterlife Romance

Che colore bisogna dare a un lavoro del genere? Non è una domanda banale perché secondo me giustifica moltissime scelte di questo lavoro e spiega anche l'origine dei due musicisti che costruiscono questo disco. Sembra che tutto corrisponda a una sfumatura, a un tocco che va a aggiungere dettagli a un maestoso quadro. Come se la condizione di artista visivo di Chioreanu abbia spinto per fare di questo Afterlife Romance un disco che dipinge con i suoni. E per quello la voce di Sofia Sarri diventa fondamentale. Perché il suo modo di utilizzarla, senza puntare a limitazioni, abbracciando una serie di registri ampi, è perfetta. Ed è qui che scatta il mio amore per questo disco, perché mi riporta alla mente dei lavori d'avantgarde metal che mi hanno sempre fatto innamorare, come i pregiatissimi tesori sonori nati dai The Third and the Mortal e da gruppi-conseguenze nati dopo, come Calmcorder o The Soundbyte. La sua voce regala questo livello ultraterrene che è perfetto per narrare questa storia. Musicalmente le scelte sono sempre molto azzeccate. Questo è un disco che si basa su una ricerca pura si una sonorità spettrale ma mai distorta. Per quello i suoni sono pressoché pulitissimi, partendo dal protagonismo della chitarra, passando dal tappetto perfetto delle tastiere e andando al contributo ritmico della batteria, una batteria che riempe senza mai essere assordante o prepotente. Tutto rimane pulito, tutto confluisce in questa direzione spettrale che non necessita d'altro. Per quello gli accordi rimangono sospesi, per quello la voce sembra bellissima ma intangibile, per quello la ritmica è ricercata. E' un vento d'oltretomba dal quale non è possibile fuggire. 

Afterlife Romance

Afterlife Romance ha un'altra grande qualità. E' un disco che ha un tocco di nostalgia che riporta alla mente tutti quell'immaginario romantico dell'epoca vittoriana ma lo fa con una nuova lettura, molto elegante ma illimitata, dove le scelte portano a spandere quello che potrebbe venire in mente con troppa facilità. L'idea di Costin Chioreanu & Sofia Sarri cresce e ci dimostra che certe tematiche non solo non passano mai di moda ma hanno tanto altro da dire.

Costin Chioreanu & Sofia Sarri

Scelgo tre brani che per me sono un passo sopra agli altri.
Il primo è The Gardenian Night Shift, brano d'apertura di questo lavoro e perfetto biglietto di visita. Il gioco tra fraseggi di chitarra, tappetto delle tastiere e batteria ricercata sono la base perfetta per una voce che non fatica a spaziare, a toccare vette alte per poi cadere, come una carezza che non si riesce ad afferrare. E' la porta d'ingresso a un nuovo mondo.
Il secondo è Dance on the Clouds Floor. Un brano che da un esempio prezioso si come si costruisce un'opera piena d'originalità. C'è uno sviluppo prezioso, mai scontato, tutto condito con una forte carica emotiva. Chi ascolta finisce per trovarsi, anche lui, disteso in un pavimento di nuvole.
Il terzo è Thanatoguards, brano che diventa la coronazione di quest'amore. Per quello la dolcezza che custodisce è anche rarefatta, per quello c'è un tocco inquietante, come se si tratasse di un amore sbagliato, incorretto, impossibile ma, invece, reale. Bellissimo ma inquietante, un brano da regalare soltanto a chi saprà cogliere la bellezza che conserva dentro.


Afterlife Romance è un disco di una bellezza unica, fragile al punto di rischiare di rompersi in più momenti ma è proprio quella caratteristica, quella di appartenere a diversi mondi contemporaneamente, a farlo diventare una gemma da apprezzare. La compagine Costin Chioreanu & Sofia Sarri funziona perfettamente perché voce e musica confluiscono in un'idea che trova la piena realizzazione in questo prezioso lavoro. Non per tutti ma per quei pochi che sapranno capire ed emozionarsi.

Voto 9/10
Costin Chioreanu & Sofia Sarri - Afterlife Romance
Dark Essence Records
Uscita 18.10.2019

martedì 17 settembre 2019

Tool - Fear Inoculum: diventare immortali

(Recensione di Fear Inoculum dei Tool)


Tornare. Abbandonare l'isola felice per ritrovare la vastità del continente. Ma il ritorno non è mai lo stesso. La terra che si ritrova non è mai la stessa anche se, magari, non è cambiata di una virgola. Tornare significa far crescere, significa avere un altro sguardo, significa scuotere tutto quanto, significa creare il silenzio intorno quando si parla, perché quello che si ha da dire è importante. Tornare è essere invincibili, altrimenti non si ritorna.

13 anni. Tanti sono trascorsi da quello che era l'ultimo disco in studio dei Tool. Quel 10.000 Days che ha sempre diviso un po' i fans, che hanno sempre percepito delle debolezze in un disco che rimano, lo stesso, un capolavoro del rock/metal dell'ultimo millennio. Da allora i Tool erano diventati più mitologia che realtà. Le continue voci che parlavano dell'imminente uscita di un disco nuovo, le diverse notizie che facevano rimandare quest'uscita per svariati motivi, tanto da pensare che Fear Inoculum fosse un bluff, uno schiaffo in faccia a tutti gli insaziabili inseguitori dell'ultima vera super star band. Perché non veniamo con sciocchezze, non esiste al giorno d'oggi alcuna altra band in grado di decidere di mettere a disposizione in tutti gli store digitali la propria discografia monopolizzando qualsiasi forma di classifica. Non esiste nessuna altra band in grado di superare in classifica l'ennesima star pop. Viviamo nei 2000! Gli anni 90 sono finiti da un pezzo! E invece eccoli lì, quei quattro cavalieri di un apocalisse mistica che ci regalano la speranza più grande che ci sia, cioè che il metal/rock non è morto, non è un prodotto underground, non è il capriccio di pochi stoici nostalgici. No, cazzo. Fear Inoculum è IL DISCO degli anni 2000. E' l'equivalente a un Led Zeppelin 4 a un Black Album dei Metallica e a tanti classici che non muoiono mai. Solo che è presto e ancora non ce ne rendiamo conto.

Fear Inoculum

E' curioso. Ho lodato Fear Inoculum senza accennare minimamente a quello che troviamo dentro. Appena uscito è stato un disco che ha presentato un primo sintomo di grandiosità. E, cioè, non è piaciuto a tutti. In molti sono rimasti delusi di fronte a un'attesa di qualcosa di pirotecnico, di un lavoro che cancellasse tutta la pregressa discografia del quartetto presentando un rivoluzione fatta musica. Forse sarebbe stata la via più semplice, forse era semplice affidarsi a un paio di trucchi di prestigiatori per urlare: "ma cazzo hanno fatto i Tool!". E invece no. Fear Inoculum è un disco di un'eleganza unica, di una complessità così grande ma così intelligente che tutto sembra logico, bello, diretto. E' un rompicapo che non stanca, che non esige ragionamenti complessi, perché ci si è dentro e basta. Senza farsi domande, senza la possibilità di chiedere di scappare perché chi sarebbe così sciocco da scappare da quel paradiso? Questo è un capolavoro perché mai i Tool erano riusciti a trovare un punto di equilibrio così perfetto. Aggressivo ma senza la rabbia di Ænima, mistico ma senza quell'esoterismo pungente di Lateralus. Un disco dove la globalità arriva prima dei dettagli ma se ci si mette ad analizzarlo allora si potrebbero scrivere trattati sul lavoro ritmico, sulla sovrapposizione di fraseggi, sul come costruire brani mastodontici che non cadono mai nella banalità. Un disco che lascia in chiaro che le quattro menti dietro a questi brani non sono dei ragazzini, non sono profeti della propria chiesa e non sono anime maledette. Sono quattro menti geniali che s'intrecciano dando nascita a una creatura geniale. Nessun strumento viene a perdersi, nessun strumento diventa più importante degli altri. Tutti hanno il giusto spazio per far vedere cosa sanno fare. A incoronare questo lavoro strumentale dove la tecnica va messa a favore della genialità, c'è la voce, impeccabile, bellissima, pesante nelle parole mai dette a caso ma mai prima protagonista. Tutto è essenziale, tutto si sente, tutto è un capolavoro. 

Un altro controsenso che è stato molto ricorrente in questi giorni è che Fear Inoculum è un disco che suona troppo alla Tool. Mi spiego meglio, in tanti sostengono che musicalmente quello che si sente siano elementi che la band ha già messo in gioco in passato, soprattutto a livello sonoro. Io sono d'accordo fino a un certo punto. Credo che effettivamente il set-up di ogni singolo strumento sia rimasto molto fedele a quello che si era ascoltato in passato, credo anche che il tocco e il tipo di composizione siano fedeli a quello che avevamo già ascoltato ma c'è molto altro. Ci sono piccoli inserimenti sonori presenti soprattutto nella chitarra e nella batteria. E un discorso a parte dev'essere fatto sul riparto delle percussioni, mai così brillanti e complesse come in questo pazzesco lavoro. E soprattutto c'è un altro spirito che unisce tutti i brani, una concezione molto più rotonda con rispetto a tutto quello che si era sentito in passato. E dunque sì, è un disco dei Tool con i suoni dei Tool ma è un nuovo capitolo, una nuova porta che si spalanca a un livello mastodontico. 
Aggiungo un altro aspetto, secondo me questo è un disco che pesca tanto dal rock progressivo degli anni 70, dalla concezione musicale dell'epoca dove era normale trovarsi di fronte a brani infiniti, dove i canoni della musica pop ancora non avevano avvelenato tutta la musica, dove il "radio edit" era presente in solo pochi esempi. Qui gode tutto di una libertà preziosa, tangibile.

Tool

Immaginate di aspettare per 13 anni il ritorno di qualcuno a chi volete molto bene. Molto probabilmente la testa vi riporterà l'immagine dell'ultima volta che avete visto quella persona. E invece, appena vi si presenta d'avanti, ecco che iniziate ad analizzare, a capire se il tempo ha lasciato il suo lascito e come l'ha fatto. Ecco, con Fear Inoculum quel ragionamento era logico. Cosa ha fatto il tempo ai Tool? Li ha resi immortali.

Selezionare pochi brani da questo lavoro è un esercizio pesante perché tutti meritano, tutti sono parte di un universo più complesso ma, nello stesso tempo, regalano qualcosa di nuovo e articolato. Scelgo quelle che, ora, sono le mie tracce favorite.
La prima è Pneuma che non è una canzone ma un manifesto. Uno di quei brani da far diventare un mantra, un brano che ormai fa parte della colonna sonora della mia vita. Perché sintetizza una concezione spirituale fondamentale che sicuramente renderebbe molto più pacifica qualsiasi forma di convivenza nel mondo. Siamo tutti la stessa cosa, siamo tutti interconnessi, siamo tutti una stessa forza. E se usi questo brano come inno allora qualsiasi unione diventa ancora più semplice.
La seconda è Descending, uno dei due brani presentati in anteprima nel tour pregresso all'uscita del disco. E' un brano tremendamente Tool, un brano che ci ricorda i lontani capolavori di Lateralus ma con un tocco in più. E' epico, prezioso, emotivo, un gioiello. Voce vellutata dentro a un brano incredibile.
L'ultima è 7empest, ponte con quello che fino ad adesso era sempre stato il mio disco favorito dei Tool, cioè Ænima. E' un brano con una dose sufficiente di aggressività, con quella potenza che solo la natura restituisce, con quella voglia di spazzare via le ingiustizie e tutta la merda, tantissima, che ci circonda. E' un resoconto delle colpe, della soluzione finale dalla quale è impossibile scappare. Imprescindibile.


Non si tratta dei 13 anni. Non si tratta dei Tool. Non si tratta del fatto che Fear Inoculum abbia dato un calcio in culo ai dischi commerciali nella testa delle classifiche. Si tratta semplicemente del fatto di prendere un lavoro del genere, di ascoltarlo, di rimanerci rapiti, di riascoltarlo, di scoprire nuove cose, di non riuscir a decidere quale sia il brano migliore, di non rendertene conto e di usare inconsapevolmente uno o più dei loro brani come colonna sonora dei tuoi propri momenti da incorniciare. Questa è la definizione di un capolavoro.

Voto 9,5/10
Tool - Fear Inoculum
Volcano Entertainment
Uscita 30.08.2019