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lunedì 25 febbraio 2019

The Moth Gatherer - Esoteric Oppression: l'io interno messo a nudo

(Recensione di Esoteric Oppression dei The Moth Gatherer)


La musica è un po' come l'amore. O è una forma d'amore. Per quello le sensazioni che fanno provare certi dischi quando vengono ascoltati per la prima volta si assomigliano tantissimo con il primo incrocio di sguardi con una persona che ci fa provare quello che volgarmente viene chiamato un colpo di fulmine. E' la pelle d'oca, è quella sensazione che più si approfondisce quella conoscenza e più ci si rimane infatuato. Quello è l'effetto che fa un bel disco. Basta un secondo per farti capire che la sintonia è proprio la tua, basta un minuto per capire che lo riascolterai daccapo svariate volte, bastano due o tre brani per sapere che quel disco sta entrando a formare parte della tua persona colonna sonora per la vita. Vi auguro che queste emozioni non si spengano mai.

Esoteric Oppression

Mi sono bastati pochi secondi di ascolto di questo Esoteric Oppression per capire che avevo di fronte un disco che mi stava parlando all'anima, senza filtri, senza strade complesse, un link diretto tra la musica dei The Moth Gatherer e la mia anima. Sembra una cosa banale, semplice, che si vive diverse volte ma non è così. Per uno che, come me, alla fortuna di avere continuamente a che fare con dischi nuovi e che passa più tempo scoprendo musica nuova, piuttosto che fermarsi ad ascoltare delle cose "vecchie", non è semplice avere a che fare con lavori che fanno quest'effetto. Indubbiamente la domanda che sorge spontanea è come mai questo disco è riuscito ad avere quell'impatto su di me. Credo che la risposta si nasconda nell'insieme di elementi che convergono in queste registrazioni. E' come se lo zoccolo duro di questo lavoro fosse già profondamente ben riuscito ma tutto quello che viene aggiunto regalasse ancora maggiore profondità. Perché spesso sono i dettagli a fare la differenza e a denotare la genialità. Dettagli che hanno reso celebri certi dischi e che rimangono sempre presenti nella mente degli ascoltatori. Ecco, questo disco è stato costruito con quei dettagli, quelle cose che ti vanno dire, cavolo, che bello, che interessante, che originale.

Esoteric Oppression

Parlavo prima del fatto che Esoteric Oppression parte da un'idea chiara. A livello musicale quest'idea è la sua sonorità, a metà strada tra il post metal e lo sludge metal. Brani lunghi, intensi, sentiti che ricordano molto quello che viene fatto da band come i Cult of Luna. E già questa base sarebbe perfetta per garantire un disco rotondo, molto ben fatto. Ma sono i dettagli, o le aggiunte, quello che fa da questo disco un meraviglioso disco. Quello che viene fatto dai The Moth Gatherer è aggiungere tutta una parte elettronica che gioca con le regole del post rock creando delle vere e proprie atmosfere eteree, che portano l'ascoltatore a sognare e a perdersi in questi paesaggi densi, forse ostici ma profondamente interessanti. Perché la musica è il riflesso dell'anima, delle emozioni che custodiamo e che spesso vengono fuori così, con energia ma soprattutto con complessità. Le emozioni possono essere le stesse ma due persone diverse non le vivranno mai nello stesso identico modo. Questo è quello che c'insegna questo disco, quello è quello che ci dimostra. Ci fa capire che quel percorso personale tra le emozioni è fondamentale e sacrosanto, che nessuno dovrebbe sentire che il proprio dolore, o amore o qualsiasi altra emozione, è più importante da quello degli altri. Siamo individui, non abbiamo una mente comune ed è nostro e di nessun altro il nostro percorso emotivo.

Forse è anche quello ad avermi collegato così fortemente a questo disco. Avere la sensazione che quello che viene suonato in Esoteric Oppression sia una fedele rappresentazione del mio stato emotivo. Ma la musica che cos'altro fa oltre a darci l'impressione che sia stata create appositamente solo per ciascuno di noi? Ben poco ma quella è proprio la sua importanza fondamentale. Quella è la sua magia, il suo modo di salvarci da noi stessi e di capire che il viaggio dentro alle emozioni sia da affrontare sempre. Per quello ringrazio i The Moth Gatherer per avermi regalato un nuovo legame fondamentale con la musica che amo.

The Moth Gathered

E' riduttivo presentarvi solo pochi brani da questo lavoro ma credo che farlo possa illuminarvi su quello che troverete dentro.
Scelgo The Drone Kingdom, brano d'apertura di questo disco. Brano che diventa intenso gradualmente, brano che sin dalle prime note riesce a trasportarci in un mondo unico, complesso, astrato ma interno. Meraviglioso. L'aggiunta dei fraseggi femminili regala ancora maggiore intensità e contrasti a una canzone che sarà, indubbiamente, uno dei miei favoriti di questo 2019.
La seconda scelta va a The Failure Design. Brano più diretto e crudo dell'anteriore ma che continua a lavorare su quella dualità metal/elettronica veramente fondamentale. Quello che viene dipinto con la musica è un paesaggio che potrebbe sembrare sconosciuto, inesplorato ma forse, o senza il forse, è una fotografia del nostro io più intimo. Un invito a capire chi siamo veramente.


Anche se siamo soltanto a febbraio mi è molto chiaro che Esoteric Oppression farà parte del mio personale elenco di dischi migliori di questo 2019. Sarà così perché la sua capacità di creare un legame con quel che sono, quel che amo nella musica e quello che vivo in questi giorni, è qualcosa che viene fuori solo di rado. I The Moth Gatherer ci sono riusciti grazie alla loro sensibilità, al loro modo di costruire delle architetture sonore che non sono altro che il nostro io interiore messo a nudo. Sublime.

Voto 9/10
The Moth Gatherer - Esoteric Oppression
Agonia Records
Uscita 22.02.2019

mercoledì 28 novembre 2018

Shibalba - Stars Al-Med Hum: pronti a viaggiare?

(Recensione di Stars Al-Med Hum di Shibalba)


Si sa, nella musica ciascuno cerca una via di sfogo o un modo di fomentare un determinato stato d'animo. Per quello la musica che ascoltiamo spesso diventa il riflesso di quello che siamo, di come si comporta la nostra personalità. Per quello i gusti possono evolversi col tempo, perché così come si cambia anche la musica ci deve dare altre sensazioni. Per quello in ogni momento decidiamo qual è la musica migliore per andare a riflettere quello che viviamo proprio in quel momento. E per quello sicuramente le persone più interessanti sono quelle che riescono ad ascoltare quanta più musica diversa.

Stars Al-Med Hum non è un disco per tutti. Perché la musica dei Shibalba non è per tutti. Non è musica di semplice digestione perché è motivata da una serie di concetti che non hanno molto a che fare con la musica più "tradizionale". Più che mai affrontare questa musica significa entrare in mondi che generalmente rimangono inesplorati. E' donarsi a uno stato di trans, ad affrontare un viaggio astrale ed esplorare gli angoli più nascosti del subconscio. L'aspetto fondamentale di quest'esercizio sta nel indirizzare questo viaggio nella direzione che ciascuno preferisce o necessita. Per quello la meta che si raggiungerà sarà sempre diversa. Qualcuno potrebbe dare un significato mistico, qualcun altro potrebbe andare verso delle zone oscure, qualcuno invece cercherà di scoprire degli aspetti che rimangono sempre nascosti, qualcun altro avrà una specie d'illuminazione religiosa, a prescindere di che religione si tratti. Questo è il potere di questa musica, questo è il viaggio che s'intraprende appena inizia l'ascolto di quest'album.

Stars Al-Med Hum

Immagino che sia già molto chiara qual è la naturalezza della musica di Stars Al-Med Hum. Musica che spesso viene definita come meditative trance dark ambient per la capacità musicale dei Shibalba di condurre l'ascoltatore verso l'interno essendo un lume che più che condurre illumina gli angoli oscuri che ciascuno decide d'esplorare. Credo che qui radichi la chiave di lettura di questo disco, perché non si tratta di un lavoro che impone una strada inopinabile ma è, al contrario, una porta d'acceso verso un mondo dove ognuno scegli qual è la direzione che deve prendere. Per quello aspetti sciamanici si mescolano con sonorità drone, col dark ambient e con questo trance costruito con l'ipnotica reiterazione di basi ritmiche. Un disco, dunque, che ha la capacità di trasportare l'ascoltatore senza definire con chiarezza il dove, perché non è quello l'obiettivo. Il viaggio che ciascuno fa cambierà di volta in volta, dimostrandosi una esplorazione profonda di quello che non facciamo vedere tutti i giorni. Per quello è un lavoro da ascoltare in assoluto relax, pronti a viaggiare e a affrontare noi stessi.

Stars Al-Med Hum

Stars Al-Med Hum diventa, dunque, un invito a lasciarsi trasportare in profondità, a lasciarsi andare alle cose che normalmente si cerca di tenere a bada. I Shibalba tornano a raggiungere una grande maestria in quello che si propongono, in questa capacità di aprire delle porte verso degli angoli tutt'altro che facile da raggiungere. Per quello chi apprezzerà questo disco non lo farà tanto per la sua struttura musicale quanto per la possibilità di vivere delle cose straordinarie.

Shibalba

Tutte le tracce di questo disco hanno parte del loro titolo simile, cioè Alignment. Io prendo la seconda traccia e ve l'approfondisco un po' di più.
Il suo titolo è Alignment II TEI Re Re Re e se l'ho selezionata è perché è quella meno "sciamanica" dove si può apprezzare in modo più nitido l'utilizzo di strumenti come la chitarra elettrica o le tastiere. Per tutta la parte iniziale può sembrare più una "canzone" anche se sin dall'inizio c'è spazio per basi che si ripetono ossessivamente. Dopo si sviluppa in profondità, come se piano piano si andasse ad abbracciare degli abissi interni per trovare qualche piccolo raggio di sole che indica dove avviene la risalita. 


Dunque rilassatevi, trovate un'ora nella quale nessuno vi disturberà, spegnete telefono, mettetevi comodi e fate partire Stars Al-Med Hum. Chissà dove vi porterà questo viaggio, chissà che cose vedrete, chissà se vorrete tornare a farlo o meno. Intanto c'è da ringraziare i Shibalba per il biglietto, ricordando che spesso diventa più significativo il tragitto e non la meta. Buon viaggio a tutti.

Voto 8/10
Shibalba Stars Al-Med Hum
Agonia Records
Uscita 23.11.2018

Pagina Facebook Shibalba
Pagina Bandcamp Shibalba

sabato 30 settembre 2017

Antarktis - Ildlaante: quella gelida sicurezza invidiabile

(Recensione di Ildlaante degli Antarktis)


Qualche volta la voglia di dar vita a nuovi brani è così grande che non basta con avere un solo progetto in piedi. La esistenza dei side project ha sempre risposto ad una volontà di avere delle dinamiche diverse sulle quali esprimersi, lasciando da parte quello che la strada principale delineata dalla band primordiale. C'è anche la voglia di aver a che fare con nuovi musicisti che possono regalare delle sfumature diverse dando così vita a brani che sarebbero impossibili da concepire nella band principale. Personalmente sono un grande sostenitore di questa tipologie di progetti perché molto spesso fanno venire fuori dei grandissimi lavori, come se questa rinnovata libertà si riempisse d'energia.

Gli Antarktis sono principalmente il side project di due musicisti della band svedese In Mourning, della quale vi parlai più di un annetto fa grazie al loro disco Afterglow (la recensione è qui). Per quello diventa abbastanza semplice dover riflettere su quello che c'è in più o in meno in ciascuno di questi due gruppi. La differenza principale sta in quello che muove la musica di ciascuno dei questi progetti, nel caso della band principale un progressive death metal, invece nel caso del disco del quale vi parlo quest'oggi, Ildlaante, è il post metal. Due mondi che possono avere dei punti in comune, e che, obiettivamente, non sono due universi separati, ma lo stesso c'è una partenza diversa dietro a queste due idee. Potrei dire che il discorso degli Antarktis è più moderno perché appartiene ad un genere che sembra avere tanto da dire ancora. E questo mi piace parecchio, perché Ildlaante è un disco solidissimo che denota che la giovane esistenza di questa band non fa trasparire una timidezza sonora. Questo è un disco contundente, divertente, intenso. Un disco che porta subito alla mente band come i Cult of Luna o i Rosetta, vale a dire un post metal trascinante e molto molto interessante.

Ildlaante

Ildlaante è un lavoro costituito da sei tracce che si agiranno intorno ai nove minuti ciascuna. Ed è questa monumentalità costruttiva quella che arriva all'ascoltatore, questo senso di avere un disco solido che non presenta alcuna crepa, un disco che riprende tutti il diktat di questo genere musicale. Gli Antarktis combinano riff pesantissimi di chitarra con ritmiche sostenute, parti che si susseguono in loop per poi venire brutalmente interrotte da un'anima ancora più pesante. Questo è un disco freddo, quasi ghiacciale come vuole il nome della band. E' un disco che non corre alcun rischio, che viaggia su binari sicuri affidandosi ad una voce perfetta dentro agli standard voluti dal post metal. Per lo tanto non abbiamo stravolgimenti, non abbiamo proposte così nuove da essere illuminanti ma abbiamo una nuova pietra sulla quale piano piano si erige uno dei modi di fare metal più interessanti dal mio punto di vista. 

Ildlaante

Ildlaante sa di vento gelido, sa di quella sicurezza imposta di chi vive in posti ingovernabili. Sa della disciplina interna che si deve avere perché tutto funzioni bene, perché il minimo errore può essere fatale. Come si traduce in musica tutto ciò? Nel modo nel quale viene costruito questo disco degli Antarktis. Paradossalmente sembra di stare di fronte ad un copione imparato a memoria e ripetuto quasi senza pensarci ma è proprio grazie alla sicurezza che c'è dietro che questo accadde. Questo non è un disco di fragilità, non è uno di quei dischi che possono avere centinaia d'interpretazioni, non è un disco "cosmico". Questo è un lavoro contundente dalla prima fino all'ultima nota e per quello ha tutte le caratteristiche per diventare una di quelle opere da citare quando si vuole illustrare che cos'è un determinato genere musicale, in questo caso il post metal.

Antarktis

Prendo i due estremi del disco per illustrarvi meglio il mio discorso.
Aurora apre questo disco, ed è un'alba di quelle che si attendono con furia. E' il primo sole dopo una lunghissima notte oscura e gelida. Potrebbe perfettamente sembrare un brano dei Cult of Luna o degli Isis, perché ha tutti gli elementi che hanno reso celebri quelle due band. Una costruzione che si basa sul susseguirsi di diversi loop, una capacità di aggiungere "layers" alla loro musica, una dinamicità fatta di parti suonate con diverse intenzioni e per finire un crescendo emotivo che arriva ad un climax. Brano prezioso.
Cape Meteor Pt. 2 è invece il brano di chiusura di questo meraviglioso album. E' quella che potremmo chiamare la traccia "diversa" dove si lascia spazio ad una lunghissima parte strumentale atmosferica. E' il giaccio che si scioglie, e il vento carico di neve e il suono che crea nel suo lungo percorso. Un brano visivo, che ti mostra quello che ti racconta. Ma quanto più dentro si sta più diventa effettiva la coda del brano, dove tutto esplode, dove il vulcano esplode, dove tutto quello che era teso in attesa di un evento magnificente cade e si trascina dentro a qualcosa che non può avere alcuna opposizione. Intenso.


Io spero che anche se gli Antarktis siano a tutti gli effetti un side project riescano a regalarci parecchi dischi, perché le loro caratteristiche sono all'altezza delle principali band del post metal ed il materiale di quel genere è sempre poco. Ildlaante, per me, si guadagna di diritto un posto dentro alle novità più interessanti che questo 2017 ci ha lasciato. Ascoltatelo, merita parecchio. 

Voto 8,5/10
Antarktis - Ildlaante
Agonia Records
Uscita 06.10.2017

martedì 19 settembre 2017

King Parrot - Ugly Produce: non esistono le mezze misure

(Recensione di Ugly Produce degli King Parrot)


Una delle segnali più importanti che ti portano a capire che stai facendo qualcosa d'importante è la sponsorizzazione di qualche famoso. Capiamoci, non sto parlando di un aspetto economico ma soltanto del fatto che qualcuno "grande" faccia complimenti sulla tua propria strada musicale. Com'è naturale i famosi hanno sempre uno sguardo particolare per scovare certe cose. Sanno che cosa hanno vissuto e qual è stato il processo che gli ha portati ad essere quello che sono, per quello hanno la capacità di capire molto più velocemente quando c'è del talento o meno in qualche artista. 

Ugly Produce

Gli australiani King Parrot sono stati inondati di parole dolci da parte di diversi personaggi essenziali nella storia del metal, come Phil Anselmo. Per quello l'arrivo di questo loro terzo disco, intitolato Ugly Produce, diventa un esame molto esaustivo di quello che sanno fare e del ruolo che piano piano si stanno conquistando. Credo che bastano pochi ascolti per capire come un personaggio come Anselmo vede in questa band quello che lui ama nella musica. Forse la cosa che unisce entrambi questi artisti è il fatto che non esistono barriere dentro quello che fanno. Sono dei pugili pronti a sferrare una serie infinita di pugni che si fermerà soltanto quando il loro rivale cadrà disteso al tappetto. Per quello questo disco non ha sosta, non ha artifici, non ha trucchi che allunghino il brodo. E' una bomba sonora a tutti gli effetti. Una bomba che esplode trascinando con sé tutto quello che c'è intorno. Questo è un disco così diretto che non da il tempo di iniziare a digerirlo che è già finito. Le sue dieci tracce non cercano di conquistare l'ascoltatore, è un lavoro che si ama o si odia, senza alcuna via di mezzo.

Ugly Produce

Ugly Produce non cerca il alcun modo di essere un disco piacevole, non vuole regalare momenti di apertura. E' dall'inizio alla fine un discorso continuo. E' una overdose di metal mescolato all'harcore. E' una macchina fuori di controllo che non accenna a fermarsi. I King Parrot risultano pesanti, asfissianti e sgradevoli. Non hanno peli sulla lingua e sono pronti a sparare su tutto, sulla nostra società, sul modo di essere di tante persone, sulla non vita che viviamo, o che ci fanno vivere. Sanno che l'unico modo di far diventare effettivo il loro discorso è quello di non usare mezze misure, di sparare fino ad aver scaricato tutto il caricatore. Per quello non c'è uno strumento, o una traccia vocale, che non siano graffianti, agitati e spregiudicati. Per quello ricordano molto il thrash degli anni 90, il punk dei 70 o l'harcore pure questo dei 90. Perché quella energia, messa a servizio di quel messaggio è qualcosa che oramai non si vede tanto. Sembra che nel rincoglionimento generale del mondo ci sia stato anche un modo di tacere tante di queste voci, anzi, si è diventati molto più estremisti, cercano di vivere in modi inesistenti, migliori o peggiori di quello che è veramente il nostro mondo.

Ugly Produce

Come ho detto prima Ugly Produce è un disco che si ama o si odia, ed è proprio questo il pregio che dobbiamo riconoscere ai King Parrot. Non vogliono risultare simpatici a tutti i costi ma non vogliono neanche essere quella voce fuori dal coro da venerare ed ammirare. Loro cantano quello che vedono, quello che vivono. Cantano il disastro di mondo che è diventato questo mondo. Vanno avanti su quella strada senza voler essere piacevoli, pionieri di qualche corrente di pensiero o altro. Loro non vogliono piacere perché non c'è niente di piacevole dentro di quello che fanno. Sono onesti come pochi, per quello o gli ami o gli odi.

King Parrot

Visto che c'è una grande linea di coerenza tra tutti i brani di questo lavoro è difficile individuarne qualcuna specifica da approfondire, ma per darvi un po' la visione di quello che può essere questo disco pesco la prima e l'ultima traccia.
Entrapment apre questo disco con l'energia in alto sin dal primo riff di chitarra. Ripeto, qua stiamo di fronte agli ereditieri di un modo, più che un genere, di vivere la musica. Per quello questo è un costante bombardamento di 2 minuti e 49 secondi. Il primo round è andato e l'avversario fa già fatica a reggersi in piedi.  
Spookin' the Animals è il brano più lungo di questo lavoro, essendo l'unico che supera i 4 minuti. Forse, dentro a quello che è il margine nel quale si muove la band, è possibile affermare che si tratta del brano più "riflessivo" quello che lascia piccoli spiragli dai quali si può, brevemente, respirare. 


Non credo che una società perfetta riesca mai ad essere reale, è qualcosa di utopico, ma se ci avviciniamo a viverne una di quel genere è essenziale che si ascoltino tutte le voci possibili, perché quella differenza di vedute molto spesso mostrerà la realtà. In quell'ambito una voce come quella dei King Parrot è fondamentale, perché non cerca di mascherare le cose, le dice come sono e basta. Ugly Produce è brutale ma è vero, e quello è quello che veramente conta.

Voto 7,5/10
King Parrot - Ugly Produce
Agonia Records
Uscita 22.09.2017

giovedì 3 agosto 2017

Decrepit Birth - Axis Mundi: i mostri che creiamo

(Recensione di Axis Mundi dei Decrepit Birth)


Le direzioni che sta prendendo la musica sembrano tirate fuori da qualche libro di fantascienza. La notizia di questi giorni, che ci presenta un tour di Dio che sarà presente come un ologramma, è una roba allucinante che ha spaccato i pareri del pubblico. Perché già l'idea che possano esistere tribute band, che scimmiottano ogni singolo dettaglio di qualche band famosa che ha un artista scomparso, è una semi aberrazione. Pensare, dunque, a questo utilizzo delle immagini di un artista che non può assolutamente esprimere la sua volontà è qualcosa, nella mia opinione, di orribile e che ci porta ad un altro livello di quello che veramente è la musica live. Soprattutto viene da chiedersi quante altre sorprese ci ritroveremmo nel futuro immediato.

Faccio questa riflessione perché Axis Mundi, quarto disco degli statunitensi Decrepit Birth, ci regala, oltre a nove brani inediti, tre cover molto significative. Una di queste è Orion, dei grandissimi Metallica che furono, quelli quando ancora era in vita quel bassista che è diventato un icona. Naturalmente mi riferisco a Cliff Burton, e l'idea di "farlo rivivere" nello stesso modo di Dio sarebbe un'oscenità, invece cover come questa fanno capire molto meglio la sua importanza e vera dimensione.
Ma addentriamoci in questo Axis Mundi nel modo migliore, cioè descrivendo cosa c'è nel ritorno dei Decrepit Birth che da ben sette anni non pubblicavano materiale nuovo. Subito dico che questo lavoro ha un peso consistente e che questo ritorno è tutto tranne che scontato. Axis Mundi è un disco intenso, consistente, tecnicamente pregevolissimo, che ci riporta indietro nel tempo agli anni dove il tech death metal sorprendeva per la nuova vita che stava regalando al mondo del metal. E la cosa curiosa con questo genere è che non suona per niente superato, cosa che invece affonda tanti altri lavori "nostalgici". Mi sbilancio di più affermando che un disco di questo tipo funge perfettamente da colonna sonora odierna, di questo bombardamento tecnologico in costante evoluzione che sembra lobotomizzare la maggioranza della popolazione.

Axis Mundi

Affermavo prima che è abbastanza chiara un'impronta nostalgica in questo lavoro, aiutata anche dalle tre cover, che oltre ad Orion ci regalano nuove interpretazioni di brani dei Sepultura e dei Suffocation. Ma quest'impronta non è forzata in quanto i componenti dei Decrepit Birth provengono proprio da quel mondo e non stanno facendo altro che mettere in gioco le proprie capacità. Qua potrebbe sorgere un quesito che spaccherebbe i giudizi popolari. E cioè: questo è un disco che suona vecchio o questa caratteristica non distoglie assolutamente la forza del messaggio ricercato? Io, che generalmente sono molto critico verso certi esercizi "malinconici" che evocano tempi distanti, tendo per la seconda alternativa. Axis Mundi è un disco del 2017, e anche se ha certe caratteristiche che lo portano indietro nel tempo sarebbe molto difficile immaginare una sua concezione nel passato. Tutto ciò non è dovuto al suono, neanche al genere suonato, ma a quello che arriva, alla sensazione che galleggia nell'aria dopo che le dodici tracce del disco si spengono, infiammando il silenzio. C'è ben poco spazio per esercizi nostalgici, il modo nel quale le canzoni di questo disco impattano l'ascoltatore è qualcosa di nostri giorni. C'è una concretezza molto maggiore da quella del passato, c'è un'urgenza di gridare "presente!". 

Axis Mundi

Come capita molto spesso la società è un fiume in piena che ti travolge così velocemente da non renderti veramente conto dove sei capitato e come mai ti trovi proprio lì. Axis Mundi in un certo modo riesce ad individuare il nemico facendoci capire che è proprio dentro, che è una nostra creatura, che ci illude di renderci più liberi quando in realtà siamo tutti schiavi. Perché i mostri non sono più esseri orripilanti che provengono dall'immaginazione luminosa di qualche mente brillante. I mostri odierni sono quasi invisibili, sono silenziosi e sono così attrattivi che si fanno desiderare. Ebbene, la sensazione che io avuto ascoltando questo disco e che i Decrepit Birth ci aprono gli occhi a tutto quanto.

Decrepit Birth

Pesco due brani inediti ed una cover per darvi l'idea di quello che c'è in questo lavoro.
Per l'inediti il primo è Spirit Guide. Credo che si capisce perfettamente con questo brano qual è l'equilibrio tra "passato" e "presente". In un certo modo tutto quello che abbiamo in questa canzone sembra pescato dalla fine degli anni 90 ma è il modo di metterlo insieme che stupisce e sorprende dando la dimensione odierna di tutto questo disco. Bisogna soffermarsi sulla splendida intro di questo brano, un vero gioiello. 
Il secondo inedito va un po' fuori dalla linea di tutti gli altri. Mi riferisco a Embryogenesis. Sorprende già per la sua introduzione di tastiera, che regala una dimensione sinfonica a tutta la canzone, senza essere mai fuori dalle righe dettate da tutto il restante disco. L'altra particolarità è che si tratta dell'unica traccia strumentale, e per quello c'è una compattezza molto bella tra tutti gli strumenti.
Per la cover sarebbe semplice parlare di Orion, ma come non voglio essere così scontato pesco Desperate Cry, brano iconico dei brasiliani Sepultura, originalmente incluso nel celebrato disco Arise. Se c'è qualcosa che ha contraddistinto la band sudamericana è il loro percorso che partiva da suoni veramente grezzi per, piano piano, affinare tutto quanto. Per quello è una sfida interessantissima capire come una band così tecnica come i Decrepit Birth affronti un brano del genere. E la cosa interessante è che c'è un'equidistanza tra quello che è il brano originale e quello che è l'impronta del gruppo. Questa è una cover che si rifà tantissimo alla canzone originale ma che non disdegna di essere una nuova interpretazione, quasi come se andasse a migliorarla.


20 anni sono scivolati in modo quasi impercettibile. Ormai apparteniamo ad un'epoca di costanti evoluzioni dove tutto quello che esce diventa subito dopo vecchio. In questa incessante successione di novità non c'è spazio a chiedersi il perché e il dove si vuole arrivare. Sembra che lo sviluppo e le leggi di mercato avanzino con due ritmi diversi, e che sia la seconda a consentirci o meno accesso a nuovi mondi. Il mostro l'abbiamo creato noi e l'abbiamo cresciuto. Per me Axis Mundi mi è servito come uno schiaffo che fa riflettere. E già solo per quello questo ritorno dei Decrepit Birth è da ringraziare.

Voto 8/10
Decrepit Birth - Axis Mundi
Agonia Records
Uscita 21.07.2017

domenica 30 aprile 2017

Shibalba - Psychostasis - Death of Khat: pronti ad affrontare il subconscio?

(Recensione di Psychostasis - Death of Khat degli Shibalba)


Seppur siano passati molti anni tutt'oggi il mondo mitologico ci affascina e ci fa porre delle domande che non sempre trovano risposta. Ancora non ci sono risposte esaustive a tanti misteri legati al modo di vivere, alle costruzioni monumentali, a certe adorazioni divine e al dominio assoluto di certe scienze. Infatti è paradossale che nella sua continua evoluzione l'umanità abbia perso certi periodi lasciando indietro delle lacune che, forse, non saranno mai colmate. Abbiamo solo interpretazioni, giustificate o meno da tesi accademiche, che cercano di spiegare ma che non ci consentono di capire fino in fondo.

Psychostasis - Death of Khat

Shibalba è un progetto nato con la volontà di ricreare l'effetto sciamanico ed esoterico legato a certe culture. Per quello il loro sforzo è quello di guidare la mente attraverso stati d'ipnosi che permettano di raggiungere certi luoghi dove, diversamente, sarebbe impossibile arrivare. Il nuovo sforzo di questo gruppo greco svedese si chiama Psychostasis - Death of Khat ed è il lavoro del quale mi occuperò nelle seguenti righe. 
Con quest'introduzione credo che sia abbastanza chiaro che quello che ci possiamo aspettare non è un disco inteso come una compilation di brani con la classica forma "canzone". Ed infatti sin dalle prime note questo disco ci regala quel esoterismo quasi new age che sembra essere diventato un elemento fondamentale nel lavoro di certe figure professionali. La differenza sostanziale con quei dischi prettamente new age sta nell'alta dose di oscurità che impregna questo disco. Non c'è luce ma il portale che c'invitano ad attraversare è il punto di partenza dentro al mistero, all'incontro con essere sovrumani dotati di poteri eccezionali. Ma andando oltre l'altro aspetto fondamentale e molto interessante è che questo mondo unico è costruito dalla band senza prendere una sola linea guida ma mescolando una serie di elementi che potrebbero appartenere a più culture diverse.

Psychostasis - Death of Khat

La strizzata d'occhio dei Shibalba è rivolta all'oriente ma così come capita nella storia, dove strani parallelismi sono stati evidenziati tra culture molto lontane, anche musicalmente non tutto quello che sentiamo in questo Psychostasis - Death of Khat proviene dall'Asia. Le contaminazioni presente in questo disco vengono fuori anche in altri modi, uno su tutti: l'utilizzo di strumenti "autoctoni" dell'oriente insieme ad altri "moderni" come le chitarre elettriche, con un utilizzo simile a quello fatto nel drone metal, o i synth che si divertono a ricreare degli ambiente complessi e misteriosi. Per quello un paragone valido sarebbe quello con parte dei lavori dei grandiosi Dead Can Dance, dove l'oscurità ha, ancora una volta, un peso molto importante. C'è da sottolineare però che lo sforzo musicale di questo terzetto è quello di creare un vero stato di trance e non quello di riportare in vita certe forme musicali ormai dimenticate. I Shibalba costruiscono un futuro basandosi su certi elementi del passato.

Psychostasis - Death of Khat

Un viaggio è sempre un'esperienza illuminante. Se non altro perché ci toglie dalla nostra quotidianità e ci obbliga ad affrontare una serie di elementi nuovi, ad aver a che fare con sconosciuti, a meravigliarci di fronte a cose che non conoscevamo. Anche questo Psychostasis - Death of Khat è così. Non è un disco lineare, è onirico ma anche brutale, è misterioso ma anche una rivelazione. E' questo ignoto che ci viene presentato quello che ci porta ad avvicinarci o a voler scappare via a gambe levate. Ma tutto capita dentro di noi, dentro le nostre teste, poco abituate ad evadere. Per quello il contributo degli Shibalba è prezioso, perché ci regala la possibilità di essere in altri mondi che in realtà ci appartengono.

Shibalba

Un'altra cosa da rimarcare è che tra gli strumenti utilizzati per registrare questo disco ci sono diversi fabbricati con delle osa e certe percussioni sono formate da teschi. Come se questa percezione di oltremondo dovesse essere presente anche così. Per quanto mi riguarda ci sono due brani che mi sono particolarmente piaciuti, forse perché sono tra i quali dove si sente con più chiarezza il lavoro degli strumenti "contemporanei". Questi sono:
La title track che ha anche il compito d'aprire questo disco. Tastiere e cori si mescolano per lasciare lo spazio ad una voce narrante che sembra essere la guida in questa discesa verso gli abissi. Piano piano che scendiamo si apre un nuovo mondo, tribale, oscuro, fatto di ritmi ossessivi sui quali la chitarra trova modo di accostarsi all'idea di rapirci in questo viaggio.
Reanimation of Akh è invece il punto più alto di questo disco. Ancora una volta la base viene affidata alle tastiere che con un suono di arpa si dileguano in una serie di arpeggi che formano il loop ipnotico sul quale un coro di voci maschili ed una chitarra acustica costruiscono un momento di bellezza assoluta. Spegnere le luci, mettersi comodo, alzare la musica e mandare una volta ed un'altra ancora questa canzone è un rimedio contro tutto, fidatevi.


Il fascino di Psychostasis - Death of Khat sta nell'essere un lavoro assolutamente lontano dal nostro mondo. Ma ci vorrebbe molto più Shibalba nei nostri giorni. Lo ci vorrebbe per farci capire che non siamo nulla, o che siamo pochissimo. Lo ci vorrebbe perché l'universo è dentro di noi, e ce lo dimentichiamo costantemente. Meno superficialità e più spirito, meno omologazione e più apertura mentale. E la musica può essere la chiave, come sempre.

Voto 8,5/10
Shibalba - Psychostasis - Death of Khat
Agonia Records
Uscita 30.04.2017


mercoledì 5 aprile 2017

Azarath - In Extremis: col controllo in mano

(Recensione di In Extremis degli Azarath)


Come tutte le cose nella vita la musica ha bisogno di educazione. L'udito dev'essere abituato ad ascoltare e a riconoscere cose valide o meno in quello che sente. Per quello quando qualcosa è obiettivamente valida salta subito alla vista. E per quello non è assolutamente corretto chiudersi a un numero limitato di generi. E' fondamentale ascoltare un sacco di musica diversa, ed è l'unico modo di capire che si è di fronte a qualcosa di valido o meno.

In Extremis è il sesto LP dei polacchi Azarath e mette fine ad una lunga parentesi di sei anni dal loro ultimo lavoro. E' un disco brutale, ben suonato, senza pause che mette in chiaro che la band non è l'ultima arrivata, anzi, che ha la personalità autorevole per essere un punto di riferimento dentro del black/death metal. Si sente un'impronta "classica" dentro alla musica della band, l'utilizzo di un suono consolidato che predilige ritmiche energiche, portate avanti soprattutto da Inferno, ex-batterista dei Behemoth, voci graffianti ma limpide, infatti è da ringraziare che si raggiunge un alto grado di comprensione di quello che il gruppo canta, e chitarre che denotano la storia della band. Infatti per quanto riguarda quest'ultimo "riparto" è evidente l'origine anni 90 del gruppo.

In Extremis

Come detto in precedenza In Extremis è un disco pesante e diretto che mette insieme musica e parole. Le stesse tematiche oscure, a tratti violente, trovano un riflesso nella musica, che non cerca assolutamente di essere riflessiva. Infatti questo lavoro degli Azarath è un tripudio di violenza. Per quello la batteria non ha alcuna intenzione di abbassare il tempo, il basso cavalca alla impazzita e le chitarre costruiscono dei riff affilati come coltelli. Tutto si muove su quella lama affilata pronta a tagliare.

In Extremis

Il black metal e il death metal possono piacere o meno. Possono essere profondamente ostici per certe orecchie, ma per chi ha un anima musicale ci dovrà essere la riconoscenza di stare di fronte ad un disco molto ben suonato. In Extremis è contundente e, lo dico un'altra volta, autorevole. Viene fuori con una sicurezza salda che denota che gli Azarath avevano idee chiare da portare avanti con formule collaudatissime.

Azarath

Vi approfondisco due canzoni di questo disco.
La prima è The Slain God. Questo brano abbassa leggermente i bpm diventando più ipnotico, anche perché i riff di chitarra abbracciano sonorità più orientali. Si capisce l'oscurità che viene cantata. Si sente questa forza evocativa.
La seconda è Sign of Apophis. Molto più brutale dell'altra. Fa capire l'intensità messa in gioco dalla band. Senza respiri, senza mollare la presa su quello che si vuole comunicare. Drastica, aggressiva, instancabile. 


In Extremis simboleggia molto fedelmente la sensazione che viene fuori ascoltando questo disco, perché ci si sente appesi ad un filo che sembra stare per spezzarsi da un momento all'altro. E' questa tensione quella che porta avanti questo sesto disco degli Azarath, una tensione difficile da controllare. La band ha il controllo e si diverte ad averlo.

Voto 8/10
Azarath - In Extremis
Agonia Records
Uscita 07.04.2017

lunedì 26 dicembre 2016

Code - Lost Signal: l'intimità oscura e complessa

(Recensione di Lost Signal dei Code)



Quanto è importante l'amicizia. Ti regala dei gesti di profondo valore che costruiscono la nostra personalità, il nostro modo di essere e di comportarci. Mi sento fortunato d'avere degli amici che mi hanno illuminato musicalmente spalancandomi le porte di nuovi orizzonti musicali che non conoscevo e dai quali adesso non posso fare a meno. Per quello bisogna curare le amicizie, bisogna dare oltre a ricevere e bisogna crescere insieme a loro.

Code


Quest'introduzione non è casuale ma si aggancia perfettamente all'EP protagonista di questa mia nuova recensione. Il lavoro in questione s'intitola Lost Signal ed è l'ultima novità discografica degli inglesi Code. Perché ho fatto il discorso sull'amicizia? Perché ho conosciuto questa band pazzesca grazie ad un carissimo amico spagnolo che mi ha fatto scoprire un sacco di musica incredibile oltre ad aver suonato e composto insieme a me dei brani che mi porto sempre nel cuore. Il perché sono molto contento di aver conosciuto i Code e di ritrovarmi ad ascoltare queste nuove sei tracce, viene dato dalla capacità musicale di questa band inglese che nuota nelle complesse ed oscure acque dell'avantgarde metal, genere che, a fin dei conti, è quello che più mi sorprende ed affascina. L'insieme d'elementi che si legano dentro alla musica dei musicisti di questo genere crea una musica complessa, emotiva, ancestrale, complessa. Fatta di testure di difficile interpretazione, di accordi dissonanti che acquistano una logica coerente, di sonorità oscure che rappresentano un'alternativa alla triste "normalità".
Questo Lost Signal si alinea perfettamente con tutte queste premesse. E' un EP pieno di melodie di rara bellezza, di paesaggi sonori fantascientifici, di suoni d'intimità oscura che confermano, ancora una volta, che l'essere umano è pieno di mondi inesplorati. 
Costruito come una reinterpretazione di sei brani del passato musicale dei Code, tre dell'ultimo LP Mut ed altri tre che provengono ognuno dai tre dischi precedenti della band, Lost Signal viene adunato da una specifica volontà musicale che abbraccia più la parte avantgarde distanziandosi dalla parte black metal, molto spesso apprezzabile negli scorsi lavori della band. Per quello, anche se i brani originali sono distanti temporalmente di una decina d'anni, c'è una linearità indispensabile a collegare tutte le canzoni di questo disco.

Code


Come detto in precedenza, Lost Signal, si costruisce con un'intenzione molto chiara, cioè quella di tradurre musicalmente il presumibile momento artistico dei Code. Un momento che potremmo tradurre come di maturità musicale, di un'essenzialità che va subito al dunque senza passare da eccessivi contorni che si verificano quando la band gioca con altri generi. Per quello se si facesse una comparazione tra le versioni originali dei brani e quelle contenute in questo nuovo EP potrebbe dare l'impressione d'assistere ad un ammorbidimento della band. L'importante è andare oltre per trovare quell'intenzione di grande intimità che è quella che prevale su tutto il resto. Il lavoro dei Code è meno violento o urlato ma non perde la sua dimensione complessa ed oscura. Anzi, viene rimarcata ancora di più perché le diverse trame sonore s'intrecciano con grande complessità. In quel senso il lavoro del riparto chitarristico è fondamentale. E' da quei arpeggi oscuri e dissonanti che si contrappongono alle ritmiche altalenanti che nasce l'originalità della band. Nulla è banale o scontato e adesso, grazie a Lost Signal, diventa più profondo e saggio.

Code


La grazia di centrare quel punto così complesso è quello che glorifica questo lavoro. Quel punto è quello della spregiudicata originalità, della creazione di un linguaggio musicale che può trovare sfumature simili in altri eroi dell'avantgarde metal ma che da un'impronta unica ai Code. Il loro modo d'interpretare un genere così particolare non è assolutamente ostico o autistico ma s'insinua nelle menti dell'ascoltatore come una cellula impazzita pronta ad annidarsi e riprodursi avvolgendolo in una nebbia colorata che non proviene da questo mondo. Lost Signal affascina, sorprende e, soprattutto, cattura, facendo sembrare banale tanta altra musica. 

Code


Delle sei canzoni contenuti in questo lavoro mi voglio soffermare su due, distanziate da una decina d'anni.
La prima è Affliction, la cui versione originale si trovare nell'ultima LP della band, Mut. E' un brano costruito su una ritmica ingannevole che da l'impressione di essere lentissima, ma che sprigiona così tanta energia da essere contundente. E' l'unico brano di questo lavoro dove, oltre a la voce pulita, si può apprezzare dei passaggi cantati in growl. E' anche questa sovrapposizione di voci quella che tesse questa trama così complessa ed originale.
Il secondo brano è Brass Dogs e fa parte, originalmente, del primo disco della band, Nouveau Gloaming. Ad un primo ascolto da l'impressione di essere rimasto molto fedele alla versione primordiale ma c'è un grande lavoro rivolto a prendere l'essenza della canzone dandole un'impronta molto più intima. La linea di chitarra è di una bellezza disarmante. 

Code


Lost Signal è un lavoro che poteva sembrare molto semplice ma che, invece, cella un grande rischio. Perché dare una nuova vita a certi brani in molti casi sembra un'eresia ed un allontanarsi da sensazioni oneste collegabili ad un'epoca precisa. Per quello la coerenza che c'è in questo nuovo lavoro dei Code paga e regala un ottimo risultato. Questi brani non sono stati trasformati, non hanno perso la propria impronta ma hanno subito un altro trattamento. Così come un fotografo gioca con certi parametri dei propri scatti anche la band inglese ha fatto lo stesso, accentuando certi aspetti ed offuscandone altri, senza mai togliere completamente o aggiungere cose che precedentemente non c'erano. Così facendo i Code hanno dato un senso compiuto a questa scelta che poteva sembrare molto dispari. Ascoltare Lost Signal è un grande piacere.

Code


Voto 8,5/10
Code - Lost Signal
Agonia Records
Uscita 25.01.2017