mercoledì 12 aprile 2017

Ghost Bath - Starmourner: la felicità è un delirio

(Recensione di Starmourner dei Ghost Bath)


Uno dei trucchi che più sembra funzionare nel mondo della musica è quello delle leggende urbane, di quelle storie messe in giro che non hanno mai avuto una fonte certa. Con l'avvento d'internet era molto difficile creare queste leggende perché, ormai, la conoscenza è a portate di tutti, o così dovrebbe esserlo. Per quello siamo passati da "leggende urbane" a "bufale". Mantenere, dunque, un velo di mistero sulla propria storia è sempre più difficile ma qualcuno lo fa.

La storia dei protagonisti di questa nuova recensione è a metà strada tra la leggenda e la bufala. Piuttosto ci sarebbe da dire che la band è riuscita a giocare con le voci false messe in circolazione e a giustificare il perché non siano state smentite. Oggi vi parlo dei Ghost Bath, band statunitense che pubblicò i suoi primi due lavori attraverso due case discografiche cinesi. Da questo dato obiettivo venne messa in giro la voce che si trattasse di una band cinese, caratteristica molto particolare che aggiungeva esotismo al lavoro svolto. I Ghost Bath non fecero nulla per smentire quest'informazione errata giustificandosi, alla distanza di un po' di tempo, dicendo che volutamente non avevano voluto correggere perché si rifiutavano di mettere delle face alla loro musica, in quanto il loro scopo era quello di riuscir a collegare le persone tra di loro.
Da allora sono successe molte cose che hanno permesso alla band di avere una vita propria e concisa senza necessità di mettere in giro altri miti. Grazie a Moonlover, disco del 2015, la band conquistò un'ampia platea affascinata dall'insieme di elementi messi in gioco. Musica dissacrante, viscerale, emotiva che si aggirava poeticamente in torno ad un immaginario gotico. Un black metal che non disdegnava di ricreare dei paesaggi sonori bui e ricercati.
Moonlover era la prima parte di una trilogia e dopo due anni ecco che arriva un nuovo capitolo intitolato Starmourner. Se il la prima parte era profondamente oscura, triste e sentita questo secondo disco è un'ingannevole contrapposizione. Ingannevole perché le motivazioni che ci sono dietro a questi brani parlano di gioia, del cosmo, del paradiso e dell'estasi, tutti elementi che porterebbero a pensare ad un disco luminoso, grandiloquente e colorato, ed invece no. Starmourner è malinconico, ancora una volta cupo e molto, molto sentito. Questo perché i Ghost Bath sono i Ghost Bath. Perché hanno un loro sound che ormai è inequivocabile.
Ecco qua la trappola: com'è possibile che un gruppo che per definizione è depressivo ed oscuro, riesca a mettere in piedi un disco monumentale che esalta i momenti migliori della vita? Nelle prossime frasi cercherò di spiegarvelo. 

Starmourner

Forse guardare tutto dal punto di vista musicale può aiutare. Starmourner è un disco che continua con l'idea sonora già nota negli Ghost Bath, vale a dire un black metal fortemente sentito, che da la priorità ad un enfasi drammatico piuttosto che aggressivo. Dunque tutti gli elementi presenti in questi disco sembrano rispondere ad un certo tipo di narrativa, piuttosto che essere musica banale e basta. Grazie a questa prospettiva è facilmente capibile perché molte delle cose suonate dalla band possono perfettamente passare per post metal o blackgaze. C'è, ancora una volta, un lavoro plastico del suono, come se l'insieme strumentale fosse la base per la realizzazione di qualcos'altro. A questo aggiungiamoci un modo di cantare viscerale e dissacrante e il punto della situazione è abbastanza chiaro. Ma, a questo punto, non si capisce come sia possibile che le tematiche di questo nuovo lavoro siano "felici". Qua c'è il tocco geniale. Sempre dal punto di vista strumentale, la ricorrente ricerca di melodie effettive funziona perfetto. Sono quelle che, anche se molto buie, non hanno un risolvo tragico ma, molto spesso, diventano epiche ed importanti come la tematica che c'è di mezzo. In altre parole tutto quest'entusiasmo si traduce in un senso di estasi, un estasi che trasuda da ogni nota di questo disco. Ma come capita spesso l'esaltazione non sempre è positiva. Qualche volta diventa così festosa che eccede, che sembra così importante da essere irragionevole. Ecco l'estasi dei Ghost Bath. Dunque non vi aspettate inni sulla bellezza della vita ma brani di irrazionalità e di stati lontani da quelli "normali".

Anche una persona depressa può essere felice, ma quando lo è, essendo ancora dentro a quel disturbo mentale, vive una felicità artificiale che è un'esaltazione di pochi elementi sui quali non si può veramente costruire una serenità. Starmourner è quello. E' un delirio di felicità di fronte a cose magnificenti, portato avanti da una mente cupa e drammatica chiamata Ghost Bath. Ed è quel contrasto a rendere magnifico quest'album. Dove tutto viene amplificato, come passassi da un filtro che ingrandisce e distorce le cose.

Ghost Bath

Questo è un disco monumentale anche nella sua durata. Ben 71 minuti di musica per 12 tracce che sembrano disegnare delle idee. C'è da dire che di queste canzoni qualcuna diventa quasi un'introduzione mirata, come il caso della prima traccia, Astral, che con una malinconica linea di tastiera fa capire che cosa ci sarà dopo. C'è spazio anche ad altre canzoni che non appartengono proprio all'immaginario black metal, come la strumentale e semi acustica Angelic. Io, però, pesco due idee da guardare più da vicino.
La prima si chiama Celestial ed è molto interessante per le aperture sonore. Inizia come un brano di black metal per poi passare a qualcosa d'elettronico, dove una tastiera molto bella vede sovrapporsi una batteria elettronica. La particolarità è che la linea di tastiera subisce diverse modifiche del pitch sembrando quindi stonata. Suggerisce gli angoli dell'universo dove tutto cambia.
La seconda si chiama Cherubim e come potete ben capire tutto l'immaginario religioso è abbastanza presente, ma con uno sguardo particolare, dissacrante. Infatti questo cherubino non sembra innocente ed infantile ma sembra quasi artificiale nel suo sorriso immutabile e nelle sue forme troppo tonde. Si apprezza facilmente quest'esaltazione irreale. 


Cos'è la felicità? Una domanda troppo grande e personale da ritrovare un'unica risposta. Quando siamo felici è vera la nostra felicità? Tutto questo viene fuori ascoltando questo disco dei Ghost Bath. La positività di Starmourner è inquietante e porta a dire basta. Perché tra le sue crepe si vede che, in fondo, è solo una maschera, e quello che c'è sotto è ancora tanto triste e desolato come prima. Viene da dire che per fortuna i Ghost Bath sono tristi, perché grazie a quello questo disco diventa un gioiello. 

Voto 9/10
Ghost Bath - Starmourner
Northern Silence Productions/Nuclear Blast
Uscita 21.04.2017

lunedì 10 aprile 2017

Pale King - Monolith of the Malign: le crepe nel monolite

(Recensione di Monolith of the Malign dei Pale King)


E' un dato di fatto abbastanza conclamato che nella musica ci siano tantissimi casi di fan che amano particolarmente, e qualche volta esclusivamente, la prima parte dell'esistenza di un gruppo. Forse perché i gruppi che riescono a dare un salto di qualità, passando da essere uno tra tanti ad avere un'importante voce propria, danno questo salto per delle qualità ben definite. Quello che succede dopo, generalmente, è che ciascun gruppo si evolve andando ad abbracciare nuove destinazioni sonore che non sempre accontentano tutti quanti. Per quello tutto quello che sono i lavori primordiali vengono molto spesso guardati come la via più interessante da seguire.

Visto che ho fatto questa riflessione è interessante vedere che tanti gruppi prendono spunto dagli origini di altre band, e con le proprie composizioni cercano di essere fedeli eredi di quella determinata tradizione musicale. E' quello che succede ai protagonisti della mia recensione odierna, gli svedesi Pale King, che con i loro album di debutto, intitolato Monolith of the Malign, cercano di ricreare le sonorità death metal melodico di gruppi di una scuola più "oscura" con rispetto a tanti altri. Gruppi come i primi Paradise Lost o  Amorphis, che successivamente si sarebbero distanziati andando a percorrere delle strade molto personali che si distoglievano da quel punto di partenza. Per lo tanto nella musica dei Pale King c'è tanto di old school, come se la loro musica si fosse fermata 25 anni fa.

Monolith of the Malign

Ma cerco di illustrarvi maggiormente in cosa consiste questa sostanziosa differenza con altre, celebri, band dei melodic death metal. Creo che l'ago della bilancia si sposta sensibilmente dalla parte più dark di questo genere, vale a dire verso quell'universo che prende molto più in considerazione l'intenzione del doom. Per quello invece di avere dei riff di chitarra affilati, eredi dell'heavy metal, il ruolo della chitarra è molto più cupo e misterioso. Ad incrementare questa sensazione ci pensano le tastiere, giostrate in modo giusto, che danno un tocco buio facilmente associabile ad immaginario più gotico. 
C'è da dire, in tutti i casi che questo Monolith of the Malign ha degli aspetti nuovi che lo fanno diventare un disco uscito nel 2017. Questi elementi hanno a che fare con le contaminazioni musicali che spaziano dunque tra quel melodic death metal andando a sfiorare, occasionalmente, dei suoni più black metal con quelle incursioni doom, almeno per certi versi, e quelle pennellate più gotiche.

Dunque non sarebbe un errore pensare che i Pale King raccolgono un'eredità interessante, lasciata dagli origini di certe band, e utilizzano questi elementi per creare un loro suono riconoscibile e particolare. Per quello si spazia senza avere un "fondamentalismo" sonoro, per quello presi singolarmente ciascuno degli strumenti suonati in questo Monolith of the Malign potrebbe far parte di qualche altro genere, e per quello il risultato risulta nuovo.

Pale King

Due canzoni da approfondire.
La prima è The Curse. L'ho scelta perché qua rimane molto chiaro qual è l'intenzione della band. Un'intenzione che va oltre al replicare qualcosa di già sentito. Per quello questo brano ha diversi momenti che si susseguono con naturalità non svelando la parte più melodic death metal se non dopo parecchi minuti. E' quest'insieme d'intenti quello che da la forza alla band.
La seconda è A Haunted Place. Credo che prendendo i due titoli sia abbastanza chiaro che le tematiche si muovo sempre intorno all'occulto e a quella malvagità sovrumana. In questo brano però, ci sono spiragli di luce che si filtrano grazie a delle belle variazioni di dinamica ed una forte presenza delle tastiere. Anche qua è sul ritornello che si apprezza quell'impronta melodic death metal.



Nella musica è molto difficile essere originale e uno sguardo ai gruppi che ti hanno segnato viene fuori quasi spontaneamente. Questo Monolith of the Malign è una chiara testimonianza di tutto ciò. Ma la cosa interessante è che invece di avere di fronte un monolite ostinato i Pale King sono in grato di mettere tutto quello che hanno masticato musicalmente, facendo uscire un lavoro che regala qualcosa di nuovo avendo, nello stesso tempo, lo sguardo rivolto al passato.

Voto 7,5/10
Pale King - Monolith of the Malign
Soulseller Records
Uscita 21.04.2017


domenica 9 aprile 2017

Atavismo - Inerte: quando la terra parla

(Recensione di Inerte degli Atavismo)


Ci sono certi posti nel mondo che hanno avuto il privilegio di essere stati la casa di tante culture diverse nel corso degli anni. Questi posti conservano, e vivono, un'eredità che s'insinua con più meno prepotenza essendo parte fondamentale delle caratteristiche locali. L'Andalusia è uno di questi posti, e il passaggio degli arabi ha lasciato un patrimonio culturale, storico ed architettonico impressionanti, di una bellezza estetica unica.

Ho vissuto tre anni in Spagna e sono andato spesso in Andalusia perché ogni città che ho visitato era un piccolo gioiello di gente festosa, di case bianche, del profumo del mare e del sole prepotente. Per quello ascoltando la musica degli Atavismo mi sembra di capire molte cose, di ritrovare quello che ho vissuto in quelle note che ci parlano d'incontri, incontri di passato e presente, incontri di generi, incontri del mondo musicale internazionale e di quello locale. Questo Inerte, che rappresenta il secondo lavoro discografico di questo trio di Algeciras, parla della loro terra senza dover utilizzare parole per farlo. Anzi, le parole si tingono di una poetica brezza in un pomeriggio estivo, tanto preziosa quanto rara.
In questo disco c'è un tocco di passato, c'è un'impronta andalusa che va oltre a qualsiasi cliché, e c'è una pienezza sorprendente considerando che il gruppo ha la classica formazione di power trio.

Inerte

Mi concentro di più sulla musica. Atavismo è indubbiamente un disco progressivo, con lunghi brani che si perdono su vie psichedeliche. Ma non solo, come dicevo prima nella musica di questo Inerte c'è dell'Andalusia in forma molto presente. Per quello c'è sempre uno sguardo rivolto al mondo arabo e l'eredità lasciata in Spagna. Una specie di hard rock che ha trovato uno sviluppo particolare in quella regione. Ma la cosa interessante è che la combinazione di queste generi ha anche un sapore nostalgico, come se a livello sonoro ci sia stata la ricerca di un sound marcatamente anni 70 che mi riporta, in parte, ai lavori fatti da un genio della musica, un tale Luis Alberto Spinetta, che nella sua Argentina ha lasciato dei dischi gioielli che giocano con il rock psichedelico in un modo assolutamente diverso dai dischi anglosassoni. Ecco, anche in questo disco c'è un modo diverso di concepire tutto quanto, e quel modo dipende soltanto del posto da dove proviene questa musica, dall'aria che si respira per le strade di Algeciras e in tutta la regione, qualcosa che sarà diverso da qualsiasi altro posto al mondo.

Inerte è un controsenso, perché di movimento in questo disco ce n'è tanto. Gli Atavismo sono ossessivi, poetici, sfrenati. Hanno quello spirito del primo hard rock di dare un'impronta lisergica a tutto quello che viene suonato. S'immergono così tanto dentro alla loro musica da volerla ingrandire al massimo, come se mettere un punto finale alle loro canzoni fosse un'impresa impossibile. Sono un labirinto di strade strette, di case bianche che salgono e scendono, di profumo d'arancia, di pomodoro e di oliva. Sono il suono fatato che ti porta a cercare da dove proviene e da metterti a ballare nel tuo mondo in mezzo ad altre persone che si muovono come meglio vogliono, lasciando che il corpo risponda alla musica.

Atavismo


Questo disco è formato da cinque brani molto diversi tra di loro. Io pesco i due più lunghi.
Il primo è El Sueño. Acido da sembrare quasi un brano stoner ci presenta un intreccio di voci, punto di forza della band, dove tutti e tre i componenti si danno da fare. Piano piano che il brano si sviluppa da quell'acidità si passa ad una parte psichedelica dove la chitarra trova pane per i suoi denti. Un lunghissimo assolo risulta piacevolissimo perché non è mai virtuoso e pedante, ma è una voce che ci guida attraverso questo "sogno" pazzo.
Il secondo, e brano di chiusura del disco, è Volarás. Anche in questo caso la modernità incontra il passato creando un insieme interessante. Una lunghissima introduzione strumentale lascia poi spazio ad un brano che potrebbe perfettamente essere uscito da qualche disco dei Pink Floyd o dei Rush, lì dove il rock progressivo non è tecnica ma sentimento e fa emozionare. Ancora una volta l'intreccio di voci funziona, soprattutto per la contrapposizione tra quelle maschili e quella femminile. E, anche questa volta, la chitarra prende il posto della voce per "raccontare". Bellissimo.


Inerte mi ha portato dietro nel tempo e mi ha fatto pensare che gli Atavismo faranno dei concerti intensi, che ti prendono e monopolizzano la tua attenzione fino a che, malauguratamente, le luci si riaccendono. Questo perché la loro formula funziona, perché dimostrano di avere un equilibrio tra origini, influenze ed originalità. Il loro rock poteva solo nascere in Andalusia e quell'unicità è preziosa, perché parla della terra. 

Voto 8,5/10
Atavismo - Inerte
Temple of Torturous
Uscita 07.04.2017

venerdì 7 aprile 2017

Common Eider, King Eider - Shrines for the Unwanted, Respite for the Cast Aside : la bellezza e l'orrore

(Recensione di Shrines for the Unwanted, Respite for the Cast Aside dei Common Eider, King Eider)


C'è musica che non ha strutture. Musica che non insegue gli stessi principi che sono alla base di tante altre creazioni. Musica che deve essere vissuta in modo diverso, che ti deve catturare perché prende un protagonismo totale. Certa musica non può ne vuole essere un semplice sfondo. Quella musica diventa un rituale, e perché il rituale funzioni completamente bisogna buttarsi dentro. Altrimenti è meglio starne fuori.

Ogni volta che mi capita tra le mani un disco di drone cerco sempre di avere la migliore apertura mentale possibile per capire tutto quello che c'è dentro, per entrare in quel micro universo generato dalle tracce di un lavoro del genere. Quello è lo sforzo che mi sono ritrovato a fare con questo Shrines for the Unwanted, Respite for the Cast Aside (che per comodità chiamerò SFTURFTCA), nuovo lavoro degli statunitensi Common Eider, King Eider. Comparato con tanti dischi del genere questo lavoro ha delle caratteristiche uniche che mi hanno sorpreso. E' come se la sostanza che c'è dietro ad ogni creazione di questo quartetto fosse molto più tangibile e materiale che quella di tanti altri gruppi. Ed è una sostanza nella quale s'intreccia e si mescola la bellezza e l'orrore.
Se dovessi paragonare questo disco a qualche altra cosa lo paragonerei con i suoni che si sentono nell'ignoto. Un insieme di bellezza sconosciuta e di follia di fronte a qualcosa che non si è in grado di capire. Per questo questo disco, per me, ha il suono di monumentali creature oscure, che perfettamente potrebbero saltare fuori da un racconto di H.P. Lovecraft. Qualcosa di cosi grande da portare alla follia, a non avere più il controllo su noi stessi.

Shrines for the Unwanted, Respite for the Cast Aside

Prima parlavo non solo di orrori ma anche di bellezza. E' una contrapposizione molto forte, mi rendo conto. Ma è veramente quello che viene fuori. Strumentalmente ci sono dei passaggi di sogno, dove tutto sembra fatato, dove il mondo che si scopre è un mondo di luccichii preziosi, dove i colori, i suoni ed i profumi svelano una parte della natura che non era alla nostra portata. Per quello c'è tanta bellezza in questo SFTURFTCA. Gli interventi vocali, invece, sono l'orrore. Urla improvvise che mescolano disperazione e pazzia, come se i pionieri di queste scoperte perdessero la testa di fronte a questo nuovo mondo. Sono delle urla che hanno la valenza di una bussola scomparsa, dell'incapacità di tornare a quello che si conosce, alle sicurezza della propria casa, intesa come rifugio, come posto sicuro dove essere in pace. 

I Common Eider, King Eider affascinano e spaventano. Sono capaci di catturare l'attenzione dell'ascoltatore, di convincerlo ad oltrepassare questo portale, di farlo sorprendere di fronte alla bellezza dell'ignoto, per poi farli gelare il sangue di fronte all'orrore maggiore: cioè quello di sentirsi perso, senza sapere che strada seguire vedendo che i tuoi simili hanno perso il cenno. Questo Shrines for the Unwanted, Respite for the Cast Aside è un lavoro avvolgente e dissacrante che mette di nuovo in primo piano un quesito fondamentale: bisogna conoscere l'ignoto o lasciarlo lì e basta?

Common Eider, King Eider

Essendo un lavoro di blackened doom è impossibile rifarsi alla normale struttura "canzone". Per lo tanto non vado a pescare alcun brano in particolare ma vi descrivo com'è composto questo LP. Abbiamo di fronte quattro tracce registrate in studio, che variano la loro durata tra i 6 minuti e 40 e i 25 minuti e 37 secondi. Ci sono sfumature diverse tra di loro, e la parte "dissacrante" è quella centrale dell'album. A completare il quadro c'è un'ultima traccia registrata dal vivo a Vienna, lunga più di mezz'ora. In totale il rituale dura 85 minuti.



Forse la mia personale interpretazione di questo disco è assolutamente dissimile a quella che i Common Eider, King Eider avevano in partenza quando hanno registrato questo disco. Ma credo che la magia della musica stia proprio lì, nel fatto che riesce a suscitare sentimenti ed immagini diverse asseconda di chi si trova ad ascoltare. A questo punto sarei molto curioso di sapere cosa provoca a voi questo Shrines for the Unwanted, Respite for the Cast Aside.

Voto 8/10
Common Eider, King Eider - Shrines for the Unwanted, Respite for the Cast Aside
Sentient Ruin Laboratories
Uscita 07.04.2017

giovedì 6 aprile 2017

Alfahanne - Det Nya Svarta: prendimi per quel che sono

(Recensione di Det Nya Svarta degli Alfahanne)


Il cinismo può essere una dote. In un mondo dove la superficialità fa da padrone avere uno sguardo verso il mondo può essere un salvagente non indifferente. Riuscir a parlare con chiarezza, senza peli sulla lingua non sarà sicuramente il miglior modo di farci degli amici ma nessuno potrà accusarci di essere falsi. Non sto invitando tutti quanti ad essere cinici, perché in primis io non lo sono, ma dico semplicemente che chi lo è forse ha capito qualcosina in più sul nostro mondo.

Det Nya Svarta

Il terzo disco degli svedesi Alfahanne sa di cinismo. Intitolato Det Nya Svarta è il primo lavoro pubblicato con la Indie Recordings dopo un binomio di dischi usciti per un'altra grande casa discografica norvegese, la Dark Essence Records. Ma torno al punto essenziale, cioè quest'impronta cinica nella musica degli Alfahanne. A livello di parole ho come riferimento soltanto le osservazioni della band, che parlano del mondo che viviamo e di come affrontare la vita in queste circostanze. A livello musicale, invece, quest'idea viene fuori con chiarezza, nella spregiudicatezza con la quale la band mette insieme una serie di generi che potrebbero cozzare tra di loro dando nascita ad un loro linguaggio proprio. Una sorta di musica anarchica che non ha alcuna intenzione di camminare su dei binari prestabiliti. 

Det Nya Svarta

Det Nya Svarta ha un po' l'anima punk, il suono rock e lo sguardo rivolto al metal. E' tutto e non è nulla. E' contundente ma leggero allo stesso tempo. Rende perfettamente l'idea di quanto sudore butterano sui palchi gli Alfahanne, perché è quello che arriva attraverso queste note che non sono altro che l'accompagnare un movimento che nasce dentro al corpo di ogni membro di questo quartetto. Per quello le canzoni che conformano questo loro terzo LP sono quasi festose e urlano la necessità di contare con la risposta del pubblico ma se si pensa che questa festa sia superficiale e spensierata si sbaglia di grosso. C'è uno sguardo ironico, cinico, sarcastico rivolto verso tutti.

Det Nya Svarta

Il punto di forza di questo Det Nya Svarta sta proprio lì, nel fatto che sia un lavoro di una chiarezza d'intenti raccapricciante. Non servono metafore, interpretazioni profonde, sotto testi nascosti da interpretazione ermetica. No, la musica degli Alfahanne arriva diretta, spalancando porte che non dovrebbero uscite, senza preoccuparsi di quello che c'è dopo o di quello che c'era prima. E' un musica che urla "presente" e che deve essere presa per quello che è, ne meno ne più.

Alfahanne

La prima traccia di questo lavoro lascia già molto chiaro cosa ci sarà dopo. Col provocatorio titolo di Satans Verser non vuole essere un brano blasfemo ma una riflessione dei nostri tempi. Musicalmente è trascinante, originale, un intreccio di voci e suoni che costruiscono questo mondo sonoro.
Mitt Mörker Är Mörkare Än Ditt invece rappresenta una piccola variazione. Non è quel fiume in piena che sono le altre canzoni. E' molto più rilassato, come se volesse essere una specie di mantra che si deve insinuare nell'ascoltatore. E' uno dei punti diversi di questo disco.


Det Nya Svarta ha personalità. E' come quelle persone preziose che sono riuscite a costruirsi un modo di essere unico, che non è paragonabile con nessun altro, con una convinzione di ferro e con la consapevolezza che non ci saranno mai dei compromessi di alcun tipo. O gli accetti così come sono o te ne vai alla larga. Ma se stai stare affianco a quelle persone riceverai una prospettiva assolutamente diversa, quindi preziosa. Teniamoci vicini gli Alfahanne.

Voto 8/10
Alfahanne - Det Nya Svarta
Indie Recordings
Uscita 07.04.2017

mercoledì 5 aprile 2017

Azarath - In Extremis: col controllo in mano

(Recensione di In Extremis degli Azarath)


Come tutte le cose nella vita la musica ha bisogno di educazione. L'udito dev'essere abituato ad ascoltare e a riconoscere cose valide o meno in quello che sente. Per quello quando qualcosa è obiettivamente valida salta subito alla vista. E per quello non è assolutamente corretto chiudersi a un numero limitato di generi. E' fondamentale ascoltare un sacco di musica diversa, ed è l'unico modo di capire che si è di fronte a qualcosa di valido o meno.

In Extremis è il sesto LP dei polacchi Azarath e mette fine ad una lunga parentesi di sei anni dal loro ultimo lavoro. E' un disco brutale, ben suonato, senza pause che mette in chiaro che la band non è l'ultima arrivata, anzi, che ha la personalità autorevole per essere un punto di riferimento dentro del black/death metal. Si sente un'impronta "classica" dentro alla musica della band, l'utilizzo di un suono consolidato che predilige ritmiche energiche, portate avanti soprattutto da Inferno, ex-batterista dei Behemoth, voci graffianti ma limpide, infatti è da ringraziare che si raggiunge un alto grado di comprensione di quello che il gruppo canta, e chitarre che denotano la storia della band. Infatti per quanto riguarda quest'ultimo "riparto" è evidente l'origine anni 90 del gruppo.

In Extremis

Come detto in precedenza In Extremis è un disco pesante e diretto che mette insieme musica e parole. Le stesse tematiche oscure, a tratti violente, trovano un riflesso nella musica, che non cerca assolutamente di essere riflessiva. Infatti questo lavoro degli Azarath è un tripudio di violenza. Per quello la batteria non ha alcuna intenzione di abbassare il tempo, il basso cavalca alla impazzita e le chitarre costruiscono dei riff affilati come coltelli. Tutto si muove su quella lama affilata pronta a tagliare.

In Extremis

Il black metal e il death metal possono piacere o meno. Possono essere profondamente ostici per certe orecchie, ma per chi ha un anima musicale ci dovrà essere la riconoscenza di stare di fronte ad un disco molto ben suonato. In Extremis è contundente e, lo dico un'altra volta, autorevole. Viene fuori con una sicurezza salda che denota che gli Azarath avevano idee chiare da portare avanti con formule collaudatissime.

Azarath

Vi approfondisco due canzoni di questo disco.
La prima è The Slain God. Questo brano abbassa leggermente i bpm diventando più ipnotico, anche perché i riff di chitarra abbracciano sonorità più orientali. Si capisce l'oscurità che viene cantata. Si sente questa forza evocativa.
La seconda è Sign of Apophis. Molto più brutale dell'altra. Fa capire l'intensità messa in gioco dalla band. Senza respiri, senza mollare la presa su quello che si vuole comunicare. Drastica, aggressiva, instancabile. 


In Extremis simboleggia molto fedelmente la sensazione che viene fuori ascoltando questo disco, perché ci si sente appesi ad un filo che sembra stare per spezzarsi da un momento all'altro. E' questa tensione quella che porta avanti questo sesto disco degli Azarath, una tensione difficile da controllare. La band ha il controllo e si diverte ad averlo.

Voto 8/10
Azarath - In Extremis
Agonia Records
Uscita 07.04.2017

martedì 4 aprile 2017

My Own Ghost - Life on Standby: le idee molto chiare

(Recensione di Life on Standby dei My Own Ghost)


Viviamo così immersi nei nostri tempi che facciamo fatica a capire le costanti evoluzioni nel mondo della musica. Quello che appena prima era nuovo, strano ed esclusivo, un attimo dopo diventa popolare, vendibile e di moda. Al contrario ci sono altre cose che prima erano veramente alternative, intese come proposte lontane dal mainstream, che si sono evolute ulteriormente per allontanarsi ancora di più da tutto quello che potrebbe sembrare di uso e consumo massivo. L'evoluzione è costante ed inarrestabile. In una direzione o l'altra.

Per la prima volta da quando scrivo questo blog i protagonisti di una mia recensione vengono dal Lussemburgo. Questo "onore" aspetta agli My Own Ghost per via del loro secondo disco intitolato Life on Standby. Un disco che rappresenta molto fedelmente una delle direzioni intraprese da un certo tipo di metal che confina col rock e che è "nuovo" di 20 anni. Infatti la band è molto onesta nel descrivere il proprio genere come un insieme di rock, pop e metal con interventi elettronici mirati. Un genere che non sarebbe stato possibile se non fossero esistiti gruppi come Nightwish, Epica e, in una linea più "commerciale", Evanescence, tra altri (gruppi che alla sua volta devono tanto a progetti preziosi come The Third and the Mortal e The Gathering). Infatti il protagonismo, per niente velato, aspetta alla potente voce femminile di Julie Rodesch, voce piacevolissima che ci riporta alla mente altre voci come quella di Anneke Van Giersbergen, Liv Kristine o Madonna

Life on Standby

Penso che sia abbastanza chiaro che il concetto inseguito dagli My Own Ghost sia quello di creare delle canzoni che senza troppi sforzi entrino in testa. Per quello è innegabile che il punto di partenza sia il pop, in quanto a strutture facili, con ritornelli molto effettivi e senza parti sconvolgenti. Brani che non eccedono mai i quattro minuti e passa nella migliore tradizione pop. Quel di più che regala l'originalità, e, diciamocela tutto, la caratteristica che mi porta ad occuparmi di questo Life on Standby, è quel vero e proprio flirt col metal, quella ricerca di suoni maggiormente aggressivi, con chitarre distorte ed una base ritmica decisa e diretta. C'è anche qualcosa che distanzia questo gruppo da altri nominati qua, ed è sicuramente il fatto di non lasciare spazio a quell'aspetto sinfonico che ha reso celebre tanti gruppi. Personalmente ringrazio che sia così, perché altrimenti mi ritroverei a commentare un disco eccessivamente simile a tante cose ascoltate e, sempre dal mio punto di vista, superate. 

Capiamoci, Life on Standby non è un disco impegnativo, non ha elementi sconvolgenti, ma è un disco che funziona molto bene. Anche se non sono un fan del pop credo che c'è un arte ed una capacità interessante nel riuscir a costruire canzoni che rimangono in testa essendo una novità e gli My Own Ghost riescono a farlo. I loro brani si lasciano ascoltare senza problemi, senza resistenze, con spensieratezza. Sono riusciti a centrare una formula che non è alla portata di tutti, e quello va riconosciuto.

My Own Ghost

Ci sono due brani che, credo, permettono di capire la sostanza di questo disco.
Il primo è il brano d'apertura che è anche la title track. E' un brano molto energico che evidenzia le capacità vocali della cantante del gruppo. L'intro elettronica ed altre incursioni di quel genere si mescolano con un rock molto energico che non fatica a insinuarsi nella testa dell'ascoltatore.
Il secondo brano è If I Stay e rappresenta il punto di maggiore apertura della musica della band lussemburghese. Qua l'elettronica prende il protagonismo ricreando delle atmosfere alla Madonna di Frozen, E' una ballata molto sentita e molto bella, con un tocco prevalente di nostalgia.



Life on Standby è un disco molto coerente con le idee di partenza degli My Own Ghost. E' suonato molto bene, è molto quadrato, è fresco. Per quello non è strano pensare che la carriera della band darà un bel salto in avanti. Certo, se quello che cercate è sperimentazione, novità e pazzia allora non è il caso di ascoltare neanche mezza traccia, per tutti gli altri ascoltate senza paura, il risultato vi piacerà. 

Voto 8/10
My Own Ghost - Life on Standby
Secret Entertainment
Uscita 07.04.2017

Sito Ufficiale My Own Ghost
Pagina Facebook My Own Ghost