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lunedì 28 gennaio 2019

Innero - Chaos Wolf: dentro all'universo del black metal

(Recensione di Chaos Wolf degli Innero)


In un certo un gruppo è come una relazione sentimentale. Ci si entra e ci si rimane dentro sperando che tutto vada bene, che col tempo tutto cresca, migliori e sia sempre motivante. Ci sono gruppi che durano anni ed anni perché tutti stanno bene dentro. Altri, invece, soffrono costanti cambi o hanno una durata limitata, come se si trattasse di una relazione travagliata. Per quello quando si para di mettere in piede una nuova band c'è sempre la voglia di non ripetere eventuali errori del passato e fare funzionare tutto nel giusto verso.

Chaos Wolf è il primo album degli italiani Innero ma i musicisti che conformano questo progetto sono tutt'altro che neofiti nel mondo musicale. Infatti quello si sente perché questo lavoro non ha quelle evidenti lacune che si colmano solo col tempo. Un'altro aspetto che rimane in evidenza, e che indubbiamente è il grande pregio di questo disco, è che c'è una comunione di generi che donano grande originalità, spessore e dinamicità a tutto questo lavoro. Nulla è scontato, nulla è ripetitivo. E per chi, come me, cerca del movimento in un album si viene fortemente appagati. Dietro a questo pregio c'è indubbiamente un'idea molto chiara e un'uniformità d'intenti tra i diversi musicisti di questa band. Sanno cosa vogliono raccontare, sanno che ogni brano dev'essere un contenitore di storie precise e quella è la strada che percorrono. Una strada che mescola misticismo, mistero e natura e che fa capire qual è il mondo che colora queste tracce. Come capita spesso quando si parla di natura, di quella parte più affascinante e oscura molto spesso si ha a che fare con aspetti ancestrali, con paure e misteri che passano di generazione in generazione, quasi come si servisse essere attenti con quello che è la natura, con la sua grandezza che annienta e cancella l'uomo.

Chaos Wolf

Immagino che in tanti di voi, arrivati a questo punto, abbiate già fatto due più due e abbiate messo insieme tutti i pezzi che fanno capire che il lavoro che abbiamo di fronte è un lavoro di black metal. Tematiche molto care a questo genere che riesce a essere molto importante proprio perché racchiude in sé una estetica che da sempre piace tanto a parecchie persone. Chaos Wolf però è molto più ricco di questa semplice definizione. Quello che viene fatto dagli Innero non è replicare tematiche già notte da tempo immemore e giovare su una buona riuscita percorrendo la strada più semplice. No, questo loro debutto si basa su tutta una serie di contaminazioni. Il loro black metal è il punto di partenza ma l'aggiunta di elementi sciamanici, atmosferici ed arcaici regalano uno spettro musicale complesso e ricco. Ma la cosa intelligente, e che sicuramente darà risultati positivi, è che tutte queste aggiunte permettono di puntare tranquillamente allo zoccolo duro degli ascoltatori black metal portandoli poi su altre direzioni senza che sia un atto violento o un'imposizione. Caratteristiche queste che si ritrovano nei dischi intelligenti.

Grazie a questo Chaos Wolf mi viene da fare una considerazione importante. Cioè che la musica costruita dagli Innero sia perfettamente funzionale perché è completamente dentro a un universo musicale solido e ormai conclamato. Credo che pochi generi come il black metal abbiamo un fascino così grande che intrappola i propri ascoltatori diventando una parte fondamentale della propria vita.

Innero

Credo che osservare da vicino un paio di brani di questo lavoro permetta più chiaramente di capire che cosa abbiamo di fronte.
Il primo che scelgo è Among the Wolves. Si sente con chiarezza quel contrasto tra quelle che possono essere le regole più ferree del black metal tradizionale e aspetti di modernità che non stravolgono ma accrescono il discorso musicale. Brano da divorare perché veramente cattivante.
Il secondo è Unbowed, Unbent, Unbroken. Parlavo prima di tutto quello che è extra e viene aggiunto a questo lavoro, tutta quella parte sciamanica ed arcaica. Questo brano permette di illustrare fedelmente questa parte. Un insieme di elementi che s'intrecciano e danno nascita a un brano in costante evoluzione che arriva a sorprendere per come cambia.


Chaos Wolf è dunque un eccellente debutto, una dimostrazione del fatto che la musica regala sempre nuovi elementi, come se fosse una fonte inesauribile che darà sempre da bere a chi si avvicinerà. Senz'altro bisogna essere riconoscenti verso gli Innero, bravissimi a fare capire ulteriormente che il black metal è un universo che affascina e nel quale vi invito ad addentrarvi. 

Voto 8,5/10
Innero - Chaos Wolf
Third I Rex
Uscita 27.01.2019

domenica 18 marzo 2018

Formalist - No One Will Shine Anymore: il dissacrante gioco dell'onestà

(Recensione di No One Will Shine Anymore dei Formalist)


Se c'è un elemento che molto spesso va a regalare tanti spunti positivi nel mondo della musica questo è quello della condivisione. La capacità di mettersi a confronto con altri musicisti non è che un bene, perché in questo modo si riesce a trovare dei punti di visti diversi da quelli che si ha normalmente. In certi casi da questo tipo d'interazione nascono delle collaborazioni molto positive che ingrandiscono ulteriormente l'orizzonte musicale. Ci sono tanti esempi del genere, di lavori nati grazie all'interazione di musicisti che ammiravano mutuamente i lavori di altri musicisti. Infatti se c'è qualcosa che non dovrebbe mai fare parte della musica è lo spirito di competizione.

I Formalist non solo sono una realtà italiana, ma sono anche una band che mette insieme una serie di musicisti di quattro progetti molto importanti come Forgotten Tomb, Viscera/// e Malasangre, in altre parole quello che normalmente viene definito come una super band. Dal mio punto di vista, quando accadde qualcosa del genere ci deve sempre essere una giustificazione artistica, questo perché non c'è tanto senso di fare più o meno le stesse cose che vengono fatte nei progetti di provenienza. Per quello c'è un occhio di riguardo particolare nei confronti di No One Will Shine Anymore, primo disco di questo gruppo. A questo punto, e avendo fatto tutte queste premesse, mi sembra molto importante dire che l'ascolto che ho dato a questo disco non è un ascolto comparativo con le altre band ma, a quanto possibile, un ascolto che abbia valenza solo e soltanto sul disco in questione. Arrivati a questo punto devo dire che una cosa che rimane molto chiara sin dall'inizio è che i Formalist hanno le idee molto chiare. Sanno cosa vogliono comunicare e lo fanno molto magistralmente. Il loro è un disco nichilista che non ha, neanche lontanamente, l'intenzione di risultare piacevole o colorito. Vogliono fare un disco dissacrante e ostico, e quello è quel che ci viene restituito.

No One Will Shine Anymore

Un altro appunto fondamentale da fare su No One Will Shine Anymore è che si tratta di un disco di solo tre lunghi brani. Questa è un'informazione fondamentale per capire come si muovono i brani, come vengono strutturati in modo di inglobare tutte le sensazioni volute senza lasciare spazio a interpretazioni alternative. I Formalist vogliono dimostrare la loro posizione assolutamente estranea al mondo attuale, un mondo che non soltanto fa parte della loro realtà ma viene anche rifiutato e dissacrato. Musicalmente questo si traduce con l'ausilio dello sludge, del post metal e di certi elementi drone. Insomma, un disegno musicale che diventa un fedele riflesso delle intenzioni della band e che trova anche ulteriori conferme nelle tematiche trattate. 

Se c'è qualcosa da dire su No One Will Shine Anymore è che siamo di fronte a un disco onesto. Facendo una comparazione con una tipologia di persone esistenti questo disco dei Formalist sarebbe uno di quei personaggi che non si curano mai di dire quello che veramente e onestamente pensano, senza badare a quello che il loro modo di comportarsi può provocare. Penso che tante volte è meglio avere queste persone in giro piuttosto di altre che di fronte si fanno gentili e simpatiche e dietro si divertono a sparlare. Infatti questo disco fa esattamente lo stesso effetto, per qualcuno sarà un disco eccessivo e difficile da digerire, per altri sarà un'opera trasparente e senza alcun secondo fine da quello di scuotere le coscienze.

Formalist

Come detto in precedenza questo disco è composto da solo tre brani, per quello approfondisco solo uno dei tre.
Quello che ho selezionato è Foul, brano centrale di questo lavoro. In un certo modo questo brano rappresenta l'equilibrio in questo intero lavoro. Non è grintoso come il primo, non è riflessivo come il terzo. E' un brano che si trascina essendo in perfetta linea con i brani doom  contaminato con elementi sludge e andando qualche volta a sconfinare con il drone. Come succede generalmente con brani di questo genere si viene circondati e avvolti in questa spessa nebbia musicale dalla quale è impossibile uscirne fuori.


No One Will Shine Anymore non è una minaccia, è una realtà. E' un disco che vuole sottolineare quanto è patetica la vita di chi sente di aver vinto tutto quanto perché "popolare". Ma il problema maggiore è che molto spesso sembra che questo deva essere l'unico scopo nella vita di ognuno. Sempre essere sotto i riflettori. Il dissacrante messaggio dei Formalist arriva diretto, senza giochi di parole o quant'altro. Bisogna prenderlo e accettarlo, perché la verità è sempre preziosa.

Voto 8/10
Formalist - No One Will Shine Anymore
Wooaaargh/Toten Shwan Records/Third I Rex
Uscita 16.03.2018

martedì 27 febbraio 2018

Charun - Mundus Cereris: le anime tra di noi

(Recensione di Mundus Cereris dei Charun)


Una figura assolutamente affascinante è quella dell'essere che fa da ponte tra due mondi, quell'essere che ci "strappa" dalla vita terrena per portarci in quella, ipotetica, dimensione immortale. E' una figura affascinante perché sembra appartenere un po' a entrambi i mondi. Il suo compito non è affatto semplice e deve misurarsi con il dolore dei cari del defunto che non si rassegnano alla sua dipartita. Ma è inflessibile, incontestabile nel suo ruolo che deve assolutamente essere portato a compimento. 

La musica dei sardi Charun ha molto in comune con le caratteristiche indicate poc'anzi. C'è qualcosa di etereo, di divino e demoniaco nelle note da loro suonate, come se la loro musica avesse degli origini molto più profondi da quelli che in realtà ha. Tutte queste sensazioni vengono fuori dall'attento ascolto di Mundus Cereris, secondo album della band. Sarebbe facile pensare che questo accade perché la band si muovo su un piano strumentale e l'assenza di parole aiuta a inseguire quella direzione, ma sarebbe molto riduttivo. Ascoltando questo disco mi vengono alla mente due gruppi che hanno queste caratteristiche, cioè i giapponesi Mono e gli italianissimi Ornaments. Tutti e tre questi gruppi hanno la capacità di distogliere l'ascoltatore dalla dimensione reale e proiettarlo in mondo parallelo senza tempo e senza confini.

Mundus Cereris

Mundus Cereris è un disco fedelissimo al suo titolo, un lavoro che sembra essere veramente un contenitore di anime che vengono improvvisamente liberate con ogni traccia di questo lavoro. Ma c'è molto altro oltre al senso ultraterreno di questo lavoro dei Charun. Le anime non sono anime e basta, ma appartengono ciascuna a una figura che ha vissuto una vita particolare, che si è nutrita di esperienze, di gioie e di traumi. Qualcuno che se ne sarà andato con uno stato d'animo particolare. Qualcuno che magari non si era completamente realizzato, qualcuno che magari provava odio, qualcuno che non aveva avuto modo di esternare tutto quello che sentiva verso i suoi cari quando era in vita. Per quello questo non è un ritorno e basta ma diventa un ingente lavoro di comunicazione, di forza rivolta al mondo che è stato lasciato a proprio malgrado. Per quello questo disco ha una dimensione lontana dalla nostra realtà. Per quello anche se siamo di fronte ad un lavoro di post metal strumentale sembra in realtà di essere di fronte a una serie di brani senza epoca,che rispondono a racconti dimenticati nel tempo e che per fortuna ci giungono per farci capire che anche se il mondo si è evoluto ancora siamo immersi nel mistero dell'esistenza.

Mundus Cereris  è un canto d'anime, è un momento di solennità. E' assistere a uno spettacolo irreale dove non è facile capire se che si vede stia accadendo veramente o sia prodotto dell'immaginazione. I Charun ci guidano in questo viaggio senza paragoni, in questo modo di capire chi siamo, attraverso quello che sono stati quelli che c'erano prima di noi. C'è del cosmico, dell'ultraterreno ma anche tanta introversione perché ciascuno di noi è un cosmo che cerca di andare oltre alla propria realtà. Questo disco sembra di parlare di tutt'altro ma alla fine parla di ciascuno di noi come individuo complesso.

Charun

Pesco due brani da questo lavoro che, in tutti casi, merita di essere ascoltato per intero, senza interruzione e con la possibilità d'immergersi completamente nella musica.
Il primo è Nethuns ed è un brano che scorre come l'acqua, che scivola piano piano dandoci l'idea di quello che significa essere parte di un ciclo infinito che è legato alla vita. Prezioso e fondamentale, perché grazie alla partecipazione del compositore Stefano Guzzetti siamo di fronte a un punto d'inflessione dentro a questo interessantissimo album.
Il secondo è Menvra e di nuovo il titolo è fedelissimo a quello che viene suonato. Il potere e la saggezza mescolati alla femminilità. La capacità di essere autorevole nel modo che soltanto una donna riesce ad esserlo.


Questo secondo disco dei Charun certifica lo stato di salute della musica underground italiana. Nulla da invidiare a grandi realtà straniere dove, qualche volta, diventa più semplice portare avanti un discorso musicale di questo genere. Mundus Cereris è un disco ricchissimo, figlio di una coerenza musicale e di una voglia di trasmettere quello che si ha in mente. Bellissimo lavoro da ascoltare senza alcuna distrazione.

Voto 8,5/10
Charun - Mundus Cereris
Third I Rex
Uscita 25.02.2018

domenica 31 dicembre 2017

Pissboiler - In the Lair of Lucid Nightmares: tutti i colori del buio

(Recensione di In the Lair of Lucid Nightmares dei Pissboiler)


Trovo che uno degli aspetti più difficili ed insormontabili, nel mondo della musica, sia quello di rompere con i preconcetti. Generalmente si tende a mettere delle etichette su tutto, cercando così di limitare ad un terreno conosciuto quello che si ascolta. E' qualcosa che capita sempre, come se si dovesse per forza associare le cose, senza lasciare alcun spiraglio ad altri tipi di creatività. Per quello quando vengono fuori degli sforzi che rompono queste dinamiche bisogna essere sempre riconoscente e felice. Sono questi gli sforzi di rottura e costruzione, sono questi gli sguardi che si rivolgono all'evoluzione e alla voglia di continuar a costruire un linguaggio musicale inarrestabile.

Molto onestamente devo affermare che uno dei generi musicali che mi è più difficile seguire più a fondo è il funeral doom. Non perché abbia delle caratteristiche più ostiche con rispetto a tante altre correnti musicali ma ben sì perché molto spesso mi sembra che sia un genere che rimane sempre congelato, che non offre niente di nuovo e che non ha abbastanza sfumature come per differenziare quello che fa una band di questo mondo piuttosto di un'altra. Per quello il primo LP degli svedesi Pissboiler mi sembra incredibilmente interessante. Questo disco, intitolato In the Lair of Lucid Nightmares, è un lavoro che per la prima volta mi porta ad ascoltare con entusiasmo questo genere. Ma occhio, il perché farà capire che è, da una parte, questo fascino è figlio di una piccola "trappola". E sì, perché non possiamo parlare di un disco "puro" ma dobbiamo fare i conti con un'insieme di generi che ruotano intorno al funeral doom senza posizionarsi mai dentro. Per lo tanto sì è possibile affermare si aver a che fare con un disco di quel genere ma non è possibile attribuirle quello'etichetta al 100 per 100. 
Per fortuna è così, perché dalla mia umile opinione ogni disco nuovo dovrebbe essere uno sforzo di novità, un regalo all'arte di nuove vie da percorrere e non un girare in tondo incessante. 

In the Lair of Lucid Nightmares

I generi che s'intrecciano in questo In the Lair of Lucid Nightmares sono il già ampiamente nominato funeral doom, il drone metal e lo sludge, quest'ultimo presente in modo più nascosto. Generi che sicuramente hanno delle caratteristiche facilmente associabili ma che non erano stati, molto spesso, messe insieme con nuove intenzioni. E' lì che radica il grande pregio dei Pissboiler. Il loro modo di scrivere e "raccontare" si dissocia da quello primordiale del loro genere di appartenenza e si avvicina molto di più ad un'oscura intimità che ha anche delle sfumature surreali. Musicalmente è una ricerca di bellezza dove in pochi riescono a scoprirla. E' uno sforzo profondo che si nutre della varietà delle tracce regalate da questo disco. E' una strada mai dritta dove ogni curva ci porta a scoprire nuovi paesaggi inaspettati. Grazie a questa dinamicità nulla rimane statico e quella qualità "melmosa" del funeral doom viene cancellata lasciando spiraglio al passaggio di nuovi impulsi.

Colorare il buio può sembrare un controsenso, un'utopia, un'azione priva d'intelligenza ed invece è uno sforzo bellissimo. Colorare il buio è imparare a giocare con certi colori, è sapere dosare la quantità di nero che si deve utilizzare. In the Lair of Lucid Nightmares è pieno di sfumature da scoprire piano piano, perché a prima sguardo potrebbe sembrare una macchia inerte ma dopo si svela un disco pieno di dettagli, molti dei quali fanno capire l'intelligenza della band che c'è dietro a questo lavoro. I Pissboiler non solo danno l'impressione di mettere dentro quello che amano ma sanno anche farlo in modo di essere sempre dinamici e mai scontati.

Pissboiler

Sono quattro le tracce di questo lavoro, quattro anime che si susseguono con molta naturalità. Per quello spendo qualche parola per ciascuna di loro.
Ruins of the Past potrebbe sembrare a tutti gli effetti un brano funeral doom ma sono le incursioni sludge e la ricerca di melodie che lavorano benissimo quelle che lo accrescono e lo rendono unico.
Stealth presenta la prima apertura veramente interessante di questo lavoro. E' un piccolo brano strumentale dove elementi post s'intrecciano lasciando chiaro che non c'è un'unica via percorribile.
Pretend it Will End è uno degli altri brani dove si capisce che l'intenzione della band è quella di costruire creazioni che non rimangano statiche. Per quello funeral doom, sludge e post metal sembrano tutti figli di una madre unica e lì dove uno non ci arriva ecco l'altro pronto a dare un contributo.
Il disco si chiude con Cutters ed è qua che un'altra anima prende il totale protagonismo. In questo caso è il momento del drone metal, delle lunghe distorsione di chitarra che sfidano le frequenze più basse per portarci su dei mondi che sono tutt'ora sconosciuti. 


In the Lair of Lucid Nightmares è uno di quei dischi che sorprende per tanti aspetti. Dobbiamo considerare che ci troviamo di fronte al primo LP dei Pissboiler ma la sicurezza e concretezza nelle idee che ne vengono espresse sembrano frutto di un perfetto intendimento tra i tre membri della band, tre musicisti con un'idea molto chiara: suonare tutto quello che amano racchiudendolo in un progetto unico. Bell'azzardo ma molto ben riuscito.

Voto 8/10
Pissboiler - In the Lair of Lucid Nightmares
Third I Rex
Uscita 25.12.2017

Pagina Facebook Pissboiler
Pagina Bandcamp Pissboiler

martedì 3 ottobre 2017

Seventh Genocide - Toward Akina: precipitare nell'ignoto

(Recensione di Toward Akina dei Seventh Genocide)


Non so bene perché me sempre più spesso ho l'idea che più studiamo il cosmo e l'universo più arriviamo a capire delle cose su noi stessi. Come se il macro ed il micro fossero infinitamente collegati, come se tutti i fenomeni che accadono in scala globale fossero equivalenti alla nostra psicologia ma anche alla nostra anatomia e biologia. Per quello quando ho a che fare con dischi cosmici o dischi molto introspettivi trovo che ci siano tantissimi legami che finiscono per illustrare dei concetti abbastanza simili. 

Toward Akina è un disco infinitamente cosmico anche se parla di noi stessi, della profondità del nostra subconscio. E' un disco che cerca di espandere i limiti mentali della nostra esistenza e per farlo si affida ad un insieme di generi che si combaciano pronti a costruire un mondo nuovo. Questo è il secondo full-lenght dei romani Seventh Genocide ed è un disco che lascia una traccia non indifferente che raccoglie l'eredità di due band che si fanno sempre riconoscere per via della loro originalità. Queste band sono i Ghost Bath ed i Maudlin of the Well e dal mio punto di vista possiamo situare la musica dei romani a metà strada tra queste due realtà. Parliamo dunque di un black metal pronto ad espandersi nelle più svariate direzioni, prendendo così delle sembianze di quello che suole chiamarsi l'avantgarde metal o il metal sperimentale. Infatti la bellezza di questo disco è che non vuole conoscere limiti e vuole insinuarsi nel profondo della nostra psiche portandoci a rivedere velocemente tutto quello che sentiamo e siamo.

Toward Akina

Si suole dire che un libro non va mai giudicato dalla sua copertina, in questo caso credo che bisognerebbe dire lo stesso di questo Toward Akina, ma invece di prendere come riferimento la bellissima copertina del disco bisogna basarsi sul primo minuto e mezzo della prima canzone, Astral Bliss. Si ha la sensazione di essere di fronte ad un lavoro di black metal sporco ma subito dopo ci ritroviamo nel dovere di ricrederci. Nei restanti sette minuti di canzoni i Seventh Genocide  ci portano a spasso tra piani astrali come chi decidesi di farsi una passeggiata per le vie del centro della propria città. E questo è un patrone che si ripete in tutto il resto del disco. Brani imprevedibili ma bellissimi, brani borderline capaci di regalarci la stessa dose di bellezza che quella di orrore. Brani che non conoscono limite e che pescano quanto più possibile in quell'oceano chiamato musica. Per quello abbiamo svariati momenti di post rock, di blackgaze, e di una dimensione sperimentale che confina col cosmico e psichedelico. Per quello voglio accentuare molto quel richiamo alla musica incredibile dei Maudlin of the Well e se faccio questo accostamento per quanto riguarda i miei gusti musicali è un grande complimento. Infatti credo che la grandezza di questo disco sta nell'abbracciare tutta una serie di sonorità ma, è qua c'è la novità con rispetto ad altri gruppi che possono fare qualcosa di simile, partendo da un estremo così spinto come il black metal.

E' curioso che più si avanza e più si ha la sensazione di dover conoscere tante cose nuove. L'ignoto è affascinante ed è anche qualcosa di così monumentale da risultare spaventoso. Toward Akina sembra essere una finestra che si affaccia su quelle prospettive, su quel mondo imprevedibile, tanto bello quando profondamente orrendo. I Seventh Genocide hanno la capacità di guidarci dentro a questo viaggio unico, immenso, spettacolare ed inquietante. 

Seventh Genocide

L'unica critica che mi sento di poter muovere su questo disco è il suono eccessivamente low-fi quando invece, dal mio punto di vista, avrebbe reso molto di più con una ricerca sonora più cristallina. Ma detto ciò credo che è buona prassi illustrarvi meglio un paio di pezzi di questo lavoro.
Anzi tutto bisogna dire che la scelta dei titoli è molto molto azzeccata e giocare con certi binomi come love/life o universe/ocean è bellissimo.
Ma andando ai brani che ho scelto il primo che vi espongo è Life is Poison. L'intro acustica è in netta contrapposizione con quello che viene dopo ma anche lì non c'è modo di afferrarsi alle sensazioni che ci da una parte che subito dopo veniamo proiettati in un altro mondo musicale, come se stessimo cadendo attraverso un immenso scivolo che ci porta in uno stanzone pieno di cose mai viste prima, cose che ci affascinano ma che a un certo punto c'impongono di scappare, di fuggire.
Vi dicevo che la musica della band mi ricorda tanto quello che è stato fatto dai geniali Maudlin of the Well e un brano come Transparent me lo conferma. Anzi tutto è qualcosa che ci serve a capire che l'acustico può essere così contundente come l'elettrico e poi ci dimostra che questo sapore cosmico che gioca con la bellezza ed il mistero è sempre bellissimo.


Toward Akina è un discone. Ha tutto il peso di quelle opere che può ascoltare mille volte ed ogni volta ti prenderanno e non ti molleranno fino a che non s'impegnerà la ultima nota. La via percorsa dai Seventh Genocide è la via più interessante, è quella che regala la sorpresa, lo stupore, la meraviglia, è la via dell'apertura mentale che regala delle nuove soluzioni e nuove proposte in un mondo che invece sembra essere sempre più unificato. Un lavoro da godersi ripetutamente.

Voto 8,5/10
Seventh Genocide - Toward Akina
Third I Rex
Uscita 22.09.2017

sabato 23 settembre 2017

Row of Ashes - Let the Long Night Fade: camaleontico adattamento

(Recensione di Let the Long Night Fade dei Row of Ashes)


Quanti aspetti e sfumature può avere la nostra personalità? Sin da piccoli siamo stati abituati ad avere a che fare con persone dai più svariati caratteri, e noi stessi ci siamo sviluppati crescendo in un modo particolare di essere. Ma dentro al nostro stesso carattere ci sono tanti aspetti diversi, possiamo passare da stati di tranquillità ad altri di disperazione, di rabbia o molte altre cose. E' qualcosa di naturale, di normale, una specie di eterna lotta con noi stessi. Perché com'è naturale tutto vorremmo stare bene sempre ma non è possibile. E quando decidiamo di condividere il nostro tempo ed i nostri spazi con qualcun altro sono questi cambiamenti di carattere quello che diventa l'aspetto più difficile di vita.

Let the Long Night Fade è il primo disco dei londinesi Row of Ashes e ci permette di conoscere una band camaleontica, pronta ad offrirci un ventaglio di sensazioni e di sentimenti pian piano che scorrono i brani di questo disco. Chiave in questo senso è il lavoro vocale femminile perché i ranghi che riesce a toccare la voce ci portano da una dolcezza nostalgica fino ad una grinta graffiante. Naturalmente l'ausilio della parte musicale aiuta a che queste sensazioni vengano amplificate. Questa dinamicità è chiave per capire questo lavoro e quella che sembra essere l'essenza della band. Infatti sia il gruppo che questo disco diventano delle specie di contenitori dove confluiscono tutte le idee e le volontà di quattro musicisti con percorsi diversi e con gusti diversi. Sono un fermo sostenitore di esperimenti del genere, perché quando c'è l'ambiente giusto per fare confluire tutta una serie di inquietudini musicali allora nasce qualcosa di nuovo ed invariabilmente, col corso del tempo, si finisce per creare un linguaggio musicale interessante.

Let the Long Night Fade


Ma quali sono i mondi musicali che girano intorno alla musica dei Row of Ashes? Come al solito diventa un esercizio abbastanza incomodo cercare di elencare tutto quello che si sente dentro a questo Let the Long Night Fade ma certi aspetti vengono fuori con chiarezza. Forse a regnare su tutto è una bella propensione sludge metal ma vissuta a mo' dei Neurosis, vale a dire con immensa personalità e con la voglia di non rimanere inchiodati solo a questo mondo. Infatti le vie trasversali per le quali fugge la musica della band sono ampie ed interessanti. Per quello vediamo anche diversi aspetti di post metal ma anche dei flirt più o meno dichiarati con una dimensione più dark ed alternativa. Infatti questo disco è sempre immerso in una dimensione oscura, ma nella quale l'oscurità è a due vettori. Uno che sembra esterno e che colora tutti gli aspetti della musica della band, la voglia di avere un suono più acido che cattivo, di essere a metà strada tra la nota ed il rumore. L'altro invece è interno, ed è lì che tutto diventa più vellutato, che la voce prende una strada dolce, bella, molto melodica, ma mai felice, mai luminosa, Questo è il lavoro portato d'avanti dalla band, questa la sua voglia di essere originali e la capacità di esserne riusciti.

Questo Let the Long Night Fade è un disco molto interessante. Sorprende la capacità di una band giovane come Row of Ashes di avere tanta sicurezza, soprattutto perché la loro idea sonora non si sviluppa in una sola linea o genere, ma si nutre di contaminazioni trasversali. E' come avere a che fare con una persona che riesce continuamente a cambiare carattere ma ogni parte che va vedere è molto interessante. Questi londinesi hanno tutta la forza per rubarsi la scena, bisogna tenerli d'occhio.

Row of Ashes

Pesco due canzoni.
La prima è la title track e sin da subito ci fa capire qual è la voglia della band. Cioè quella di non essere racchiusa in un solo mondo musicale. E' un brano che cambia molto essendo bello lungo ma funge da perfetto riassunto di quello che fa il gruppo. Molto interessante.
La seconda ha l'impronunciabile titolo di 12.5907786999999987 55.6852689. Se si tratta di coordinate ci ritroviamo in mezzo al mare Arabico, altrimenti personalmente non so di cosa si tratta. Ma concentriamoci sul brano, che è meglio. Come vi avevo detto in questo disco attraversiamo tutta una serie di momenti, come se fossero dei cambi caratteriali. Questo capita anche in questo brano, dove la voce, ed insieme ad essa la musica, passa da essere molto dolce ad essere grintosa come in altri momenti, ma non è la stessa energia, qua si tratta come se fosse quasi un urlo disperato. In tutti i casi questo è un brano perfetto per capire che cosa sa fare la band.


Credo che sarà molto interessante seguire le orme dei Row of Ashes perché questa loro propensione di essere dinamici e di abbracciare tutta una serie di personalità musicali è degna di essere approfondita per dare nascita ad un loro modo di fare musica. Intanto questo Let the Long Night Fade permette di farci un'idea molto chiara su quali sono le strade musicali che riescono a intraprendere molto brillantemente. Ottimo debutto.

Voto 8/10
Row of Ashes - Let the Long Night Fade
Third I Rex
Uscita 24.09.2017

giovedì 7 settembre 2017

Dead Woman's Ditch - Seo Mere Saetan: secoli e secoli di orrori

(Recensione di Seo Mere Saetan dei Dead Woman's Ditch)


Sono un fermo sostenitore della necessità di viaggiare, della necessità di non compiere una tipologia di turismo "tipica" ma di addentrarsi nelle storie dei borghi più piccoli, dei quartieri meno frequentati e dei angoli che, sembrano, non hanno nulla da raccontare, ma che, in realtà, custodiscono gelosi una serie infinita di storie affascinanti. Sono queste storie quelle che riescono molto più facilmente a parlarci della storia di una nazione, del suo popolo, dei suoi luoghi e dell'evoluzione dell'uomo.

I Dead Woman's Ditch sono una band inglese che nasce come il side project del bassista degli Electric Wizard. Da quest'idea originaria molte cose sono cambiate e la band ha acquistato una personalità propria ed affascinante. Dopo qualche demo che ha visto la luce negli anni scorsi finalmente possiamo contare con un full-lenght veramente interessante, dal titolo Seo Mere Saetan. Non sono pochi i motivi che mi portano a trovare affascinante questo lavoro, potrei parlare dell'insieme di influenze che danno vita ad un linguaggio molto particolare della band, potrei parlare agli elementi sperimentali con i quali si gioca in questo disco, potrei parlare del posto dov'è stato concepito e registrato ma partirò da un altro elemento. Quest'elemento, che in un certo modo funziona come collante di tutto il progetto, è l'appartenenza geografica. Senza andare troppo lontano il nome del gruppo proviene dalla loro terra nativa, in concreto da un fosso che si trova nelle Quantock Hills nella contea di Somerset. Questo fosso (ditch) ha origini preistorici ed è stato scenario dell'uccisione di Sarah Walford, da mano del suo marito John nel 1789, atto che è passato alla storia non tanto per l'uccisione in sé stessa quanto per il fatto che il corpo della donna sia rimasto all'aperto, senza sepoltura per un anno ed un giorno. Questo è il punto di partenza dentro all'immaginario oscuro del folklore locale, che regala tutta una serie di storie molto interessanti, terreno fertile per le creazioni della band.

Dead Woman's Ditch


Il vincolo con la propria terra sembra essere ancora più importante perché oltre alla parte musicale che trova influenza per le storie da raccontare, la band ha voluto immergersi quanto più possibile in quelle caratteristiche. Sicuramente è per quello che i Dead Woman's Ditch hanno scelto di aprire uno studio/sala prova proprio al confine di queste colline. Hanno messo insieme una serie di strumenti che hanno dato il via ad una illimitata capacità creativa che ha esteso in modo significativo le frontiere musicali del gruppo. Infatti Seo Mere Saetan, che in inglese antico significa coloni dei laghi marini, è un contenitore di diversi generi che si mescolano con grande maestria. A spiegare questo risultato sta l'idea che tutti i componenti del gruppo apportano le proprie influenze, veramente variopinte e diversificate. E' per quello che sentiamo in modo importante degli elementi black metal ma non disdegnammo di avere anche degli elementi sludge ed avangarde. C'è anche un predominante tocco noir che ricorda la transizione musicale tra gli anni 70 ed 80. Grazie a questa presenza il risultato di questo disco prende una sfumatura nostalgica che dona ancora più mistero a quello fornito dalle storie raccontate. E' anche molto interessante l'utilizzo di registrazioni audio, grazie alle quali sentiamo la voce di scienziati sovietici che parlano del disastro di Chernobyl o la voce di Papa Francesco ce parla della malvagità. 

L'orrore ha sempre accompagnato l'umanità. Alla pari delle gesta gloriose si narrano le storie di massacri, di psicopatici, di aberrazioni. Ogni posto ha le sue storie nascoste, storie che nel corso degli anni sono diventate delle vere e proprie leggende. I Dead Woman's Ditch partono dall'oscurità della loro terra per poi andare oltre, come a dimostrare che l'orrore è un colono insaziabile che vuole dominare quante più cose possibili. Seo Mere Saetan ci mette di fronte all'evidenza di quanto rimaniamo catturati da queste storie, forse increduli da dove può arrivare la mente umana.



I due brani che vado a raccontarvi sono un fedele riflesso di quello che troviamo in questo disco.
Il primo è We Are Forgiven e il gioco tra voci pulite, quasi da litania, e quella sporca sembra una battaglia tra bene e male, tra l'anima pura e quella indemoniata. Tutto lo sviluppo sembra dimostrare che la parte "cattiva" ha la meglio.
Il secondo è il brano che chiude il disco. Con i suoi undici minuti e passa, Crusade diventa una riflessione profonda sulla religione e sulla sua responsabilità nell'aver contribuito, e farlo tutt'ora, ad una serie di orrori ingiustificabili. Bisogna evidenziare i controsensi e l'anima tutt'altro che divina di chi, stando al potere, ha permesso tutto questo. Brano intenso, che prende una strada molto più sludge con rispetto al resto del disco.

Con Seo Mere Saetan si parte dal locale, dalle storie con le quali si è cresciuto, per poi ritrovare nella storia universale infinite testimonianze di orrore. Ci sarebbe da chiedersi se non è proprio la mente umana quella che perde assolutamente la propria bussola e permette, esigendo anche di più, tutte queste aberrazioni. Il contributo dei Dead Woman's Ditch è prezioso perché ci scuote e ci porta a riflettere.

Voto 8,5/10
Dead Woman's Ditch - Seo Mere Saetan
Third I Rex
Uscita 27.08.2017

sabato 5 agosto 2017

Sangue Nero - Viscere: il cammino più oscuro

(Recensione di Viscere dei Sangue Nero)


Molto spesso non siamo capaci di accettare come siamo formati. Pensare che il nostro corpo è composto da una serie di organismi fa ribrezzo a più di qualcuno che preferisce vivere "al oscuro" di ciò. Ma come sempre dovrebbe essere importante avere la consapevolezza completa di come funzionammo, di quello che abbiamo dentro, delle funzioni di ogni parte del nostro corpo. Per quello diamo una definizione molto forte al concetto di "viscerale", perché lo associamo a qualcosa che non ha filtri, che arriva diretto senza chiedere permesso.

Il disco del quale vi parlo quest'oggi è viscerale, tanto da intitolarsi proprio Viscere. E' il debutto dei toscani Sangue Nero che si presentano al grande pubblico con un disco massiccio. Questo perché se c'è qualcosa che contraddistingue il lavoro di questo trio, è il fatto che le cinque traccie che formano questo disco, che non hanno alcun titolo oltre alla numerazione, sono delle traccie piene di personalità che presentano un progetto che può trovare paragone in certe band ma solo fino ad un certo punto. Infatti qui le viscere non solo rappresentano il posto di provenienza dell'intenzione musicale della band ma sono quasi l'elemento essenziale di un rito sciamanico di magia oscura. Per quello si passa dalla brutalità ad un certo genere di spiritualità oscura molto velato per poi riabbracciare l'energia che viene fuori dai brani di questo lavoro. Ma occhio, perché sarebbe semplice lasciarsi ingannare pensando che la brutalità sia l'elemento cardine di questo lavoro e così lasciarsi sfuggire delle sfumature veramente interessanti.

Viscere


Come prima cosa, per capire Viscere, bisogna sapere che ci troviamo dentro il mondo del black metal. Ma da questo punto di partenza prendiamo una serie di direzioni contraddittorie che ricordano, come intenzione, quello che viene fatto dagli olandesi Urfaust. Personalmente credo che non sia sbagliato affermare che c'è anche una ricerca un po' avanguardista nella musica dei Sangue Nero, che non disdegnano l'utilizzo di accordi dissonanti per incrementare la propria estraneità con rispetto al mondo estero. L'utilizzo, poi, di uno strumento così particolare ed inconfondibile come il didgeridoo da un tocco di ancestrale a quello che ci viene proposto dalla band. Rimarco, ancora una volta, la forte presenza di una spiritualità oscura, di una specie di racconto che fluttua nel vento parlando di quello che c'è d'oscuro in ognuno di noi. Ma questa oscurità non viene celebrata, questo non è un disco panflettistico. Questa oscurità viene raccontata, quasi come se fosse un discorso in prima persona dove strumenti e voci s'intrecciano per far capire al meglio queste storie.   

Un canto oscuro, dunque, che ritrova le radici nell'alba dell'uomo, perché, diciamocelo, certe paure non tramontano mai ed accompagnano l'umanità dai suoi albori. Viscere ha quel peso, il peso di qualcosa di così terrificante da lasciarci bloccati, ma come sempre è quel non voler guardare che ci fa guardare di più. Ecco, la musica dei Sangue Nero va in quella direzione, in quell'orrendo insieme che diventa affascinante. C'è da celebrare la loro capacità d'individuare gli ambienti sonori che amplificano questa sensazione, per quello questo è un disco intelligente, non semplice. ma una volta dentro a quel vertice non ci sono molte vie di scampo.

Sangue Nero

Come dicevo prima un'altra particolarità di questo lavoro sta nel fatto che i brani non hanno dei titoli ma corrispondono soltanto ad una numerazione. Pesco due canzoni che mi sembrano le più interessanti.
La prima è III. Si tratta di un fiume in piena dove la band toscana da mostra di certi aspetti principali. Uno, che il riuscir ad impattare non dipende tanto dall'energia messa in gioco quanto di come si lavora con quello che si ha a disposizione. Infatti certe cose mi ricordano tanto il lavoro di una band fantastica come i Ved Buens Ende. Questo perché non siamo di fronte ad un "semplice" lavoro di black metal ma ha un'ondata oscura che ci travolge. Per quello le dissonanze sono d'obbligo e molto ben riuscite.
La seconda traccia è IV e qua c'imbattiamo nella parte più ancestrale ed oscura della band. Complice fondamentale è il didgeridoo che non ci mette nulla a progettarci in un mondo tribale. Ma sarebbe troppo facile che basta solo quello per creare un brano inquietante. Per quello è tutta la band ad assecondare ed a fare crescere il discorso musicale del brano fino a farlo diventare qualcosa d'impattante, di psicotico, di ossessivo ma d'infinita ed oscura bellezza.



Viscere è un disco che potrebbe sembrare essere un disco fatto di getto, con la voglia di buttarci tutta l'oscurità possibile ma non è così. Questo è un lavoro che dimostra che da parte dei Sangue Nero c'è una bella riflessione, un capire come intrecciare i diversi elementi e le diverse parti che costruiscono questo disco, dando così come risultato un linguaggio proprio che, torno a ripetere, può trovare paragoni in cose esistenti ma con non è stato fatto fino ad adesso con questa modalità. Ottimo debutto.

Voto 8,5/10
Sangue Nero - Viscere
Third I Rex
Uscita 23.07.2017

Pagina Facebook Sangue Nero

lunedì 26 giugno 2017

Lodo - Lodo: non si fugge dal fango

(Recensione di Lodo dei Lodo)


Molto spesso qualsiasi cosa può avere diverse letture. Può essere positivo, illuminante, fondamentale, ma può anche essere distruttivo, corrotto. Per esempio l'acqua. L'acqua è vita. E' quello che necessitiamo, è preziosa, è fondamentale. Ma l'acqua è anche distruzione, devastazione, erosione. Prendi la terra e l'acqua, se metti la misura giusta farai crescere la vita, ma se esageri crei il fango dove nulla cresce e dal quale è difficile uscire.

La scelta del nome degli spagnoli Lodo è tutt'altro che casuale. Lodo vuol dire fango e loro cercano di ritrovare in quest'elemento le tracce di quello che fanno. Si rivedono nella sostanza del fango, si rivedono nel colore oscuro del fango. Si rivedono nella caratteristica avvolgente del fango. Oggi mi ritrovo a recensire il loro omonimo LP di debutto, un disco che è perfettamente in linea con tanti lavori del mondo nel quale loro si rispecchiano. Mondo che per loro è definito come sludge doom strumentale ma che io avvicinerei sensibilmente al post rock/post metal. Infatti l'accostamento più immediato che mi viene da fare è quello con i Russian Circles dove intensità strumentale e capacità descrittiva della musica s'intrecciano. Brani di lunghi sviluppi strumentali dove le chitarre sorreggono la costruzione sonora desiderata. 

Third I Rex

Ma parliamo di più su questo voler avvicinarsi al concetto del fango. I Lodo effettivamente sono intensi e la loro musica diventa avvolgente come il fango. La loro dichiarata oscurata è invece un po' più relativa dal mio punto di vista. Ma chiarisco meglio questo punto. Sebbene la loro musica non è assolutamente solare e luminosa non trovo che ci sia una marcata caratteristica di oscurità dentro alle proprie creazioni. I riff di chitarra, che sembrano essere il punto di partenza compositivo della band, sono dei riff consistenti ma non hanno quella deriva oscura così come la intendo io. Con questo non voglio assolutamente sminuire il lavoro svolto dalla band, che mi sembra lodevole e molto ben costruito, soprattutto grazie all'incastro con una batteria strepitosa che cerca di dinamizzare tutto quanto dando grande varietà a tutte le linee e funzionando come collante tra tutte le parti. Dal mio punto di vista c'è da dire soltanto che non è l'oscurità quello che più mi rimane impresso di questo lavoro, ma ben sì la sua intensità.

Lodo sembra essere una dichiarazione d'intenti. Un modo di far capire molto di più di quello che viene fuori da una lettura superficiale. Lodo è stranamente un disco molto locale perché, per chi avrà la capacità di ascoltare più profondamente, ci svela la vita vista dagli occhi di questi quattro musicisti spagnoli. C'è la loro realtà in queste tracce, c'è il loro modo di vivere, di raccontare la loro terra e il periodo storico che sta vivendo. La cosa interessante è che per fare tutto ciò non sono necessari elementi folkloristici o autoctoni ma basta la loro musica, così universale quanto personale nello stesso tempo.

Third I Rex

Per spiegarvi cosa intendo dire pesco due brani.
Il primo è La Muela de la Cruz. Questo titolo rappresenta un gioco di parole su un posto d'interesse religioso della loro zona, cioè la Cruz de la Muela, un'immensa croce fatta in ferro, che si trova su una colina che permette di avere una vista bellissima sulle zone vicine. Sicuramente questo posto avrà un significato particolare per i ragazzi del gruppo e giocare col nome del posto è una dimostrazione di come sia interessante cercare di cambiare la propria realtà quotidiana. Tutto senza usare una sola parola.
Il secondo è Tabano. Per chi non lo sapesse il tabano in spagnolo è il tafano, cioè una specie di moscone che punge. Un insetto assolutamente fastidioso e che, presumo, sia presente nella zona dei ragazzi della band. La canzone è apatica come questo insetto, cercando di infastidire in un certo modo l'ascoltatore, senza però farlo forzatamente.


Insomma, tirando le somme questo lavoro è un disco interessante, con momenti che ci parlano di una realtà che può essere molto diversa della nostra, o forse no. Lodo è l'inizio di un sentiero che può portare a destinazioni impensabili che regalino al metal strumentale dei nuovi orizzonti. Un buon inizio.

Voto 8/10
Lodo - Lodo
Third I Rex
Uscita 25.06.2017

sabato 3 giugno 2017

Postvorta - Carmentis: dalle crepe entra l'epica

(Recensione di Carmentis dei Postvorta)


Non c'è evoluzione senza passato. Non c'è uno sguardo futuro senza sapere cos'è successo precedentemente. Non c'è vita senza una base. Per quello la musica ci sorprende continuamente con la dicotomia passato-futuro. Una costante evoluzione ci regala continuamente nuovi generi ma se guardiamo come sono costruiti, e da cosa prendono spunto, ci ritroviamo con un quintale di tracce del passato. Per quello la musica ha anche un fondamentale ruolo di divulgazione, perché porta a nuove generazioni degli spunti storico e culturali che entrano molto meglio che non in aula di classe. Per quello la musica dovrebbe essere un patrimonio molto più tutelato.

Oggi vi parlo una interessante band italiana, per niente nuova al panorama underground. Si tratta dei Postvorta che danno spazio a parlare di loro grazie al loro terzo album Carmentis. C'è da dire che come, purtroppo, capita spesso questa band sembra raccogliere molti più consensi fuori dal territorio nazionale, ma questa è una battaglia insormontabile. Il giorno che gli italiani scopriranno il livello delle band che animano il panorama underground musicale ci sarà una piccola rivoluzione. Collegato a questo discorso non c'è da sorprendersi se questo nuovo disco conta con un paio di collaborazioni internazionali. Ma andiamo adesso più nel profondo cercando di capire che cosa c'è dentro a questo nuovo disco. Come al solito le definizioni sono un po' leziose e non sempre rendono il quadro della situazione ma possiamo dire che i Postvorta si muovo prevalentemente nella landa desolata del post metal. Nel loro caso c'è anche uno sguardo più cupo con rispetto a nomi saldi di questo genere. Infatti è questo monocromatismo grigio quello che è dominante nelle sei tracce della loro nuova fatica. Ma se questo vi fa pensare ad un disco piatto vi sbagliate di grosso, infatti Carmentis è molto dinamico e ci dimostra infinite vie di quello che è quel grigio dominante. 

Carmentis

Perché il grigio? Perché è l'insieme di bianco e di nero, come se entrambi i colori si cercassero ed avessero bisogno l'uno dell'altro. Per quello anche se la prevalente emotiva di questo disco è molto cupa ci sono delle piccole crepe dalle quali si filtra una luce così nuova da sembrare violenta.Musicalmente questo si traduce nell'idea di un disco molto drastico, dove la band avanza in blocco attraverso quest'oscurità che non è altro che un paesaggio riflesso di quello che si sente. Ma se Carmentis fosse solo quello secondo me non avrebbe tutti i meriti che ha. Per quello a rompere quell'oppressione presente ci pensano una serie di intervalli misurati e tranquilli, dove si respira e, per chi ama cercare la bellezza nell'oscurità, si viene molto appagati. Spazio dunque che si giostra tra due mondi quasi opposti nelle estese composizioni musicali dei Postvorta. Per quello questo disco sembra essere composto di tre capitoli, che nello specifico sono i tre brani centrali, che si sviluppano in lunghi minuti, attraversando in questo modo tante sfumature. Infatti come succede con tanti dischi post metal c'è una capacità narrativa che si traduce in musica ed è possibile sentire fedelmente quello che viene raccontato, con momenti rabbiosi, altri strazianti ed altri di piccoli lumi di speranza.

In un certo modo, e anche se musicalmente sono due dischi lontani, sento che questo Carmentis ha dei tratti in comune con un altro disco italiano recente. Parlo dell'ultimo capolavoro degli Ornaments, Drama, dove la storia mitologica straziante veniva interpretata musicalmente con grande maestria. Ripeto che i mondi sono lontani, soprattutto perché gli Ornaments sono prevalentemente strumentali, ma c'è in comune la forza narrativa di una storia molto sentita e di un'epicità quasi mitologica. Questo nuovo disco dei Postvorta ha quella altezza che non è sempre facile da raggiungere.

Postvorta

La struttura di questo disco si basa su due brani che aprono e chiudono il disco con l'unico ruolo di essere intro ed outro, ed in mezzo tre brani di importante durata sviluppano l'intero lavoro.
Di questi tre io pesco uno: Colostro. Come dicevo prima è la dinamica a far grande questo disco, dinamica che si vede nella successione di momenti musicali, nella creazione di veri e propri scenari dentro ai quali poi la narrazione prende piede. Ed è quello che succede fedelmente in questo brano. La prima parte serve a capire dove siamo, cosa vivremmo e come la vivremmo. Gli intrecci musicali di basso e chitarre sono bellissimi e quando il brano esplode per prima volta tutta la tensione si rompe. E' lì che bisognava arrivare. Devo dire che ascoltando ripetutamente ci sono dei paragoni interessanti che vengono fuori, come quello con i Heretoir dei loro ultimo album The Circle.


Carmentis è intenso. E' un disco sentito con idee molto chiare che regala una notevole nuova visione da parte dei Postvorta al mondo musicale che possiamo inglobare come post metal. Come ho detto in altri punti di questa recensione c'è un lavoro narrativo non indifferente che guida questi brani attraverso la loro estesa strada, e fare un lavoro del genere non è roba semplice. Questo è un disco all'altezza di tanti altri interessantissimi lavori usciti nell'ultimo periodo.

Voto 8,5/10
Postvorta - Carmentis
Third I Rex
Uscita 14.05.2017