(Recensione di From Fields of Fire degli Argus)
Nella musica è interessante vedere come certi processi sono riusciti a decretare che certi suoni possono essere considerati "classici". Se qualche gruppo si rifà a quel suono automaticamente si dice che ha una sonorità classica, ben poco importa se si tratta di un gruppo nuovo e giovane o di qualche progetto che ormai esiste da tempo, quella caratteristica sarà addossata con energia.
Oggi vi parlo del quarto disco degli statunitensi Argus, band nata nel 2005 ma di sonorità che meritano assolutamente di essere chiamate classiche. Il disco si chiama From Fields of Fire ed esce dopo quattro anni dall'anteriore full-lenght e qualche mese dopo il disco in collaborazione tra il chitarrista dei Fates Warning, Victor Arduini ed il cantante degli Argus, Brian Balich. La recensione di quel disco, intitolato Dawn of Ages, la trovate qui.
Un aspetto che sorprende ascoltando questo disco è la sicurezza che emana. Infatti posso tranquillamente dire che siamo di fronte ad un lavoro maturo, di una band rodata che conosce alla perfezione le proprie capacità e le mette in gioco. Per quello si denota un grande equilibrio tra tutti i componenti del gruppo, che riescono ad essere presenti senza calpestare gli altri o senza prevalere sul lavoro di qualche compagno. Sembra una sciocchezza ma ci sono parecchi gruppi dove, purtroppo, certi strumenti sembrano accessoriali e funzionali ad altri, invece con gli Argus questo non succede. A questo punto dobbiamo sempre entrare nel mondo della soggettività, di quello che ciascuno ama o meno nella musica. Perché faccio questa premessa? Perché come ho indicato prima, il suono della band è assolutamente classico, sia come scelta estetica (strumenti, amplificazione, tipo di equalizzazione, utilizzo di certi effetti) che come struttura di canzoni. In quella linea questa è uno di quei irriducibili dischi dove l'assolo di chitarra sembra essere una istituzione sacra. Questo comporterà, sicuramente, che parecchie persone liquidino questo disco senza dare troppe chances, altre, invece, troveranno che questo è un disco degno di avere la stessa luce di tanti dischi usciti negli ultimi 50 anni, e per finire una terza categoria cercherà di ascoltare con attenzione questo lavoro, entrando nel contesto di esso stesso, lasciando da parte la soggettività.
Io, personalmente, cerco con questa recensione di illustrarvi il mio punto di vista cercando di appartenere alla terza categoria descritta. Anzi, credo che sia arrivato il punto di svelare certe dinamiche personali che mi capitano all'ora di decidere se recensire un disco o meno. Devo dire che in linee di massima, e ci riesco per un bel 95%, cerco di ascoltare tutto quello che mi viene inviato, a prescindere se una prima descrizione possa sembrarmi attrattiva o meno. Mentre ascolto un disco nella mia mente si sviluppa un primo giudizio che generalmente è "sì, è quello che mi piace" o "no, non centra nulla con me". Ma non mi soffermo mai a quel primo giudizio, perché superficiale. E' per quello che continuo con l'ascolto cercando di "capire" quello che è stato registrato ed è lì che scatta la chiave. Quando qualcosa mi fa arrivare indistinto e preciso un messaggio ed inizio ad approfondirlo allora vuol dire che per me quel disco merita una recensione.
Con From Fields of Fire mi è successo proprio quello. Al primo ascolto sentivo che quello che stava entrando alla mia mente era qualcosa di antico, di già fatto e sentito, ma successivamente ho capito che gli Argus avevano le idee molto chiare e che questo è un disco magistrale dentro al loro genere.
Arrivati a questo punto è più che naturale che venga posta la domanda: qual è questo genere? Questo è un disco di heavy metal classico influenzato da certe sonorità doom. Lo so, tre quarti di voi starete storcendo il naso ma vi assicuro che dentro a questo genere suonato e risuonato questo non è disco ridicolo e consumato, ma al contrario, sembra avere molto da dire ancora.
Che cos'è che mi ha portato a recensire From Fields of Fire? Sicuramente il fatto che non si tratta di un disco di replica di quello che è stato scritto e suonato migliaia di volte da gruppi diversi. Sicuramente l'idea che i membri degli Argus siano intelligenti ad usare questo linguaggio facendolo proprio, sapendo come muoversi per regalare un disco che ha molto da dire. Ed essendo io una persona che ormai ha un rigetto verso l'heavy metal classico credo che si capisca il perché questo è un disco funzionale e che ha la sua ragione di esistere.
Ci sono due brani che permettono di capire quello che sto cercano di spiegarvi.
Il primo si chiama Devils of Your Time e lascia chiaro che l'influenza doom è fondamentale, perché dà quel tocco oscuro, pesante, schiaccia sassi che allontana un po' l'idea di virtuosismi acuti, di acuti urlati, di armonizzazioni di chitarra ormai superate. Siamo molto più vicini alla musica dei Black Sabbath che a quella degli Iron Maiden, per capirci.
Il secondo è Hour of Longing. Anche in questo caso si parte con la botta forte di un riff contundente ma con rispetto al brano anteriore qua abbiamo una maggiore dinamica, distendiamo l'energia cumulata in un bellissimo intermezzo lento che viaggia su arpeggi molto ben selezionati.
Il messaggio è molto chiaro. Se a leggere questa recensione è uno che ha l'orticaria quando ascolta assoli di chitarra di più di un minuto allora non bisogna neanche darsi la fatica di ascoltare mezza canzone di From Fields of Fire. Se invece sei uno che ama alla follia quegli assoli ed il suono classico, allora non fare il tirchio e comprati l'album. Se invece sei uno che da sempre un'opportunità a quello che ascolta, allora spero che ti troverai d'accordo con me e troverai che gli Argus hanno sfornato un gran bel disco.
Voto 8/10
Argus - From Fields of Fire
Cruz del Sur Music
Uscita 08.09.2017
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