(Recensione di Deliverance degli Opeth)
Seppure la nostra società diventa sempre più globalizzata ed internet è alla portata di tutti, dovendo essere, in teoria, una finestra aperta a tutto, siamo sempre vittime di pregiudizi.
La musica è particolarmente un bersaglio di preconcetti sbagliati. Se ascolti reggae sei un fattone, se, invece, prediligi l'elettronica sei un impasticcato, e così via.
Ho visto presunti intellettuali storcere il naso appena sentivano la parola metal, come se il metal fosse una malattia contagiosa. Appena vedo gesti del genere capisco che bisogna stare alla larga da certe persone, perché dimostrano che, anche se si vantano di avere una cultura musicale invidiabile, sono degli ignoranti.
Il metal è troppo complesso e ricco come per essere inglobato in un unico insieme, e sono della ferma (pazza) idea che qualsiasi persona al mondo potrebbe ritrovare in qualche sub-genere la sua musica ideale. In questa stessa linea devo dire che certe cose metal non mi piacciono per niente. Trovo ridicoli i gruppi che emulano, per non dire copiano, la New Wave of British Heavy Metal, e andando a scovare tanti altri angoli di questo genere musicale ci sono tante altre sfumature che non trovano il mio consenso. Credo, fermamente, che bisogna far capire, una volta per tutte, che il metal non è cavalieri che lottano contro draghi o capelloni incazzati con le facce dipinte di bianco e nero. C'è quello ma anche un 80% di altre cose.
Questa premessa è perfetta per parlare del disco che oggi ho scelto. Lo è perché questo disco potrebbe essere un disco che per via della voce growl e di certi passaggi musicali potrebbe portare ad abbandonare il suo ascolto se chi è dall'altra parte non è un intenditore di metal. E sarebbe un peccato, perché andrebbe a perdersi dei brani di una bellezza unica. Brani che si costruiscono su degli equilibri molto precari. Brani che sanno di passato, di presente e di futuro.
Abbiamo detto che Deliverance è il punto più energico nella storia degli Opeth ma questo non significa affatto che sia un disco frenetico ed incontrollato. L'energia trasuda dall'intensità emotiva di tutto il disco. Sia che la musica si stia sviluppando su un ritmo martellante di batteria, sia che una base acustica accompagni la voce di Åkerfeldt la sensazione è sempre la stessa, questo disco non scende a compromessi ed arriva in blocco nella testa del ascoltatore. L'aspetto che fa la differenza tra questo lavoro e tanti altri sta nel modo nel quale si riesce a ricreare quest'energia. Sarebbe semplice rimanere inchiodati alle fondamenta del death metal e costruire dei riff di effetto su una base ritmica trascinante e sostenuta per incollarci sopra una voce growl. Deliverance invece va molto, ma molto oltre. Non c'è una sola traccia di quella banalità. I ritmi composti sono sorprendenti e la batteria di Martín López è un mosaico di versatilà. Il basso di Martín Méndez ricorda le pazzesche linee di Steve di Giorgio nei Death senza far ricorso ad un basso fretless. Le chitarre di Peter Lindgren e dello stesso Åkerfeldt sono potentissime e trovano un incastro perfetto.
Ascoltando il brano d'apertura, Wreath, si potrebbe pensare che gli Opeth giochino con poche arme ma bastano pochi secondi di Deliverance, seconda traccia del disco, per capire tutta la loro genialità. E' difficile trovare un brano più rappresentativo di quello che sa fare la band. Continui cambi emotivi fanno diventare questa canzone un racconto epico pieno di colpi di scena impensabili. La parte finale è patrimonio dell'umanità per via del incastro ritmico sorprendente, trascinante ed ipnotico.
Dopo le quote emotive così alte c'è bisogno di calma e A Fair Judgement arriva in soccorso. Questo è il brano dove più si nota la mano del produttore, il grande Steven Wilson. Abbiamo parlato di calma, ma se questo significa pensare di ascoltare una ballata allora siete completamente fuori strada. Anche questa traccia è una montagna russa di suoni ed emozioni. Si sale gradualmente per poi scendere a picchiata per poi risalire, e così via. Nulla è prevedibile. E' un brano barocco e gotico allo stesso tempo. Una delizia. Troviamo, poi, un piccolo intervallo chiamato For Absent Friends che calma le acque prima di una nuova tempesta.
Master's Apprentices inizia con la stessa energia della prima traccia del disco ma si evolve in parti acustiche con armonizzazioni vocali che danno un tocco di passato e che ricordano che il prog anni 70 è sempre stato un faro nella musica degli Opeth.
Il disco si chiude con By the Pain I See in Others e di nuovo la strada scelta dal gruppo è tutto tranne che dritta. C'è un susseguirsi di parti diverse che potrebbero sembrare senza senso ma che nella logica di Åkerfeldt e compagni è perfetta ed è effettuata così bene che con naturalezza veniamo trasportarti da una parte all'altra.
Qualsiasi ascoltatore intelligente riconoscerebbe i pregi di quest'opera maestra. Il gioco d'intrecci, progressioni e cambiamenti sempre presenti fanno di questo disco la fotografia perfetta del contributo degli Opeth alla musica. Ci fanno capire che per creare bisogna rischiare, che il passato deve essere, per forza, presente nella musica, perché avere la presunzione di comporre partendo dal nulla è utopico e che, per far nascere nuova musica bisogna avere un bagagli pesante in modo di pescare nel momento giusto l'elemento giusto. Deliverance è il disco perfetto per spiegare cosa significa fare musica.
Voto 10/10
Opeth - Deliverance
Music for Nations
Uscita 12.11.2002
Sito Ufficiale Opeth
Pagina Facebook Opeth
Voto 10/10
Opeth - Deliverance
Music for Nations
Uscita 12.11.2002
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