(Recensione di Devour the Sun di Vvilderness)
Come tutte le discipline artistiche la musica nasce dalla necessità di comunicare, di tradurre in un nuovo linguaggio quello che normalmente non sempre si riesce a dire con semplici parole. Per quello la musica è così vasta, per quello abbiamo tematiche così diverse che danno lo spunto a tanti artisti di parlare, in un modo o nell'altro, di sé stessi. Anche semplicemente scegliendo un certo genere o una certa attitudine all'ora di scrivere un pezzo. Molto spesso si pensa alla musica in un modo superficiale ma, secondo me, soprattutto quando si tratta di certi generi, è fondamentale cercare di capire che cosa ha portato un musicista a comporre e registrare una determinata canzone.
Il terzo album della one-man band ungherese Vvilderness si chiama Devour the Sun ed è un bel lavoro ricco di contrasti. Se facessimo uno sperimento selezionando frammenti di quindici secondi da far ascoltare a persone diverse sono sicuro che il ventaglio di opinioni contrastanti e diverse definizioni che verrebbero fuori parlando di questo disco sarebbe quasi aneddotico. Dal mio punto di vista questo capita molto spesso quando si è di fronte a questi progetti che hanno dietro un solo personaggio. Questo perché non c'è il dovere di confrontarsi, di scendere a compromessi e di adattarsi. C'è la piena libertà creativa di mettere sul piatto tutto quello che si sente e tutto quello che piace. Questa caratteristica è facilmente riscontrabile in questo lavoro, che effettivamente ha dei punti cardini ma che spazia dopo abbracciando tutta una serie di ambizioni sonore.
Naturalmente fare una definizione del genere potrebbe portare ad immaginare che siamo di fronte a un disco eccessivamente dispersivo, un disco che gode, forse, di un'eccessiva libertà, andando così un po' fuori di controllo. Ma Devour the Sun finisce per situarsi in una posizione limite, rischiando l'eccesso ma finendo per mantenersi abbastanza coerente. Questa coerenza è dovuta alla volontà di Vvilderness di abbracciare un concetto principale: la bellezza dell'oscurità. In questo caso questa caratteristica non si vive addentrandosi nell'oscurità ma bensì dando uno sguardo benevolo a cose che normalmente potrebbero avere un senso più negativo. Faccio un esempio concreto per cercare di spiegarmi meglio. La solitudine molto spesso viene vista come un segno di disaggio, come un'attitudine sociologica di essere apatico di fronte al resto dei nostri simili. Ebbene, la solitudine in questo caso viene vista come qualcosa di positivo, come la possibilità di stabilire una comunicazione diretta con l'universo, con la natura, con tutto quello che ci circonda, finendo per essere qualcosa di tremendamente positivo. Per quello uno dei punti fondamentali di questo lavoro è il blackgaze, genere che riesce a mettere sullo stesso livello la volontà di abbracciare un immaginario più proprio del black metal avvicinandolo all'introspezione dello shoegaze. Ma se devo essere obbiettivo in questo lavoro l'ago della bilancia tende sempre verso la parte "black", essendo molto spesso al limite dell'armospheric black metal. Questa combinazione si trova bene a coniugarsi anche con un profilo folk metal che emerge in certi instanti.
Devour the Sun è paradossalmente un disco che esalta la natura e l'universo. Dico paradossalmente perché fa anche capire che il modo nel quale l'essere umano vive questa relazione è assoluta e completamente sbagliato. Vvilderness sembra essere una voce solitaria che ha deciso di fare una strada tutta a sé, senza mai mettersi in relazione con chi potrebbe contaminare la sua opera e il suo messaggio principale. In altre parole questo disco sembra un urlo in mezzo al nulla, profondamente poetico ma, forse, poco pratico, anche se un atto poetico è sempre un atto di coraggio.
Delle sei tracce di questo lavoro vado a riscattare l'ultima: Aftershine. La scelgo perché è un brano che racchiude perfettamente tutte le idee messe in campo in questo lavoro. C'è la voglia di esaltare l'aspetto epico della vita e della natura, per quello è il brano più esteso. C'è la complessità di questo stesso concetto, e per quello il brano è ricco di cambiamenti. Un riflesso che fa capire anche la capacità di compositore della mente dietro a questo progetto.
Devour the Sun mi sembra un disco con ottimi spunti, con momenti molto ben riusciti, intrinsechi di una rara bellezza. Ma purtroppo mi sembra anche un disco eccessivamente personale dove la scelta di Vvilderness di suonare tutto quanto da solo non sempre da i giusti frutti. Sarebbe molto interessante che questo progetto si trasformassi in uno sforzo corale, ampliando e definendo allo stesso tempo i confini sui quali navigare.
Voto 7,5/10
Vvilderness - Devour the Sun
Beverina/Casus Belli Musica
Uscita 01.03.2018
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