martedì 13 giugno 2017

Wovoka/LLNN - Traces/Marks: completarsi per arrivare alla meta

(Recensione di Traces/Marks di Wovoka/LLNN)


Avvolte l'importante non è come si arriva ma dove si arriva. La meta è qualcosa che deve sempre essere presente. Dev'essere un pensiero ossessivo ma positivo. Dev'essere la direzione che indica la nostra bussola personale e non dobbiamo mai distoglierci da quella indicazione. Nella musica ci sono tanti esempi di gruppi o artisti che hanno intrapreso delle strade molto diverse ma che sono arrivati alla stessa meta. Sicuramente, se siete assidui lettori di questo blog, o anche occasionali, avrete capito che per me la musica è una filosofia di vita, un riflesso di quel che ero, quel che sono e quel che voglio essere.

Quest'oggi è un nuovo split album a tenermi impegnato, ma si tratta di uno split molto particolare perché divide in modo molto personale lo spazio dedicato alle due band impegnate. Queste band sono i danesi LLNN e gli statunitensi Wodoka e la divisione di questo Traces/Marks dimostra sicuramente quello che ciascuna band sa fare meglio. Per quello ai danesi vengono "riservati" ben sei tracce e agli statunitensi "solo" una. L'utilizzo delle virgolette è d'obbligo ed esige un approfondimento. Questa disparità divisoria delle tracce corrisponde alla natura delle stesse tracce. Nel caso dei LLNN abbiamo una serie di brani sanguini che mettono in chiaro il messaggio ricercato dalla band senza troppi giri. Per quello sono delle canzoni dirette, che non vogliono assolutamente perdersi in sviluppi che potrebbero sembrare sterili e controproducenti. Questo vale per tutti i brani tranne uno, l'ultimo della loro parte di split. Il brano in questione, intitolato Gravitated, è il ponte perfetto all'entrata in scena dei Wodoka che con la loro unica canzone ci regalano un momento epico lungo ben 17 minuti. Qualcuno potrebbe dire che non è corretto che succeda qualcosa del genere, che artisticamente è un problema, che non c'è coerenza. Ed invece questo disco non è soltanto pieno di coerenza ma è anche pensato e studiato alla perfezione, regalando un relato sonoro meraviglioso, un'opera coesa sorprendente.

Wovoka/LLNN

Quello che unifica questo Traces/Marks è la visione generale che c'è dietro a questo disco. Quello che viene dipinto in questo lavoro è un mondo apocalittico dove la bellezza è stata completamente spezzata via. La cosa interessante è che entrambe le band hanno scelto modi diversi di raccontare questo mondo. Da parte degli LLNN abbiamo un'interpretazione post apocalyptic hardcore. Invece i Wodoka ci regalano un lavoro sludge/post metal. Torniamo dunque alla coerenza di questo split e a come due gruppi che appartengono a due mondi musicali diversi riescono a costruire un lavoro ottimo. Bisogna tornare all'introduzione fatta in questo post e a capire come, percorrendo delle strade diverse, si arriva alla stessa meta. E' quello che accade in questo split. Ogni band regala la sua interpretazione di un punto d'arrivo identico. E sono le differenze nell'interpretazione quelle che fanno diventare ancora più grande questo lavoro, perché dall'energica voglia di buttarci dentro a questo mondo post apocalittico andiamo a qualcosa di più trascendentale, a quella riflessione che fa capire perché siamo dove siamo. 

Traces/Marks

Traces/Marks riflette già nel proprio titolo la differenza essenziale regalata dalle due band, LLNN e Wodoka, andiamo dalle tracce, da quello che ci fa intuire a le marche, quasi macchie e cicatrici, che bruciano come ferite aperte. Perché un conto e vedere quello che è successo ad altri, ed un altro conto e viverlo sulla stessa pelle. Ecco, questo split ce lo fa vivere addosso, ci fa sentire che il caos apocalittico è dentro ad ognuno di noi, e che se siamo arrivati a quel punto è perché l'abbiamo acconsentito. Questo è un disco che ci fa sentire e vivere questo mondo per poi farci riflettere sullo stesso. E' uno split perfetto, dove quello che manca a una delle band viene dato dall'altra.

Traces/Marks

Ripeto che è essenziale e necessario ascoltare questo disco intero. Non farlo sarebbe, purtroppo, tremendamente riduttivo perché non si capirebbero i collegamenti magistrali fatti dalle due band. Infatti l'entrata in gioco della seconda sembra completamente naturale e necessaria. Ma visto che normalmente tendo ad illustrarvi nello specifico qualche brano in particolare pesco due canzoni.
Per i LLNN la traccia che scelgo è The Guardian, brano che apre questo lavoro. Intenso, oscuro, complesso e, nello stesso tempo, diretto. Chitarre acidissime che dialogano con tastiere apocalittiche mentre una voce urla le proprie sensazioni. C'è un bellissimo modo di raccontare, un modo che è diretto come un pugno alla pancia ma che porta molto di più e molto altro. Bellissimo dentro alla sua caotica dimensione.
Per i Wovoka non c'è molta scelta ma in realtà non serve averla. Il loro brano è una canzone mastodontica e preziosa. S'intitola Traces e ricorda molto il lavoro di band come i Cult of Luna. Con quell'epicità oscura è capace di parlarci da dentro. Non stanca mai e si muove dentro a delle acque turbolenti dove le turbolenze vengono provocate da noi stessi. Veramente meravigliosa.


Magari ci fossero più split come questo Traces/Marks perché la dimensione finale di quello che c'è dentro a questo lavoro è un lavoro di potenziamento di quello che fa ogni gruppo. Quello che uno non ha viene completato dall'altro. Mettere insieme due band che potrebbero sembrare molto diverse, come LLNN e Wovoka è stato un azzardo geniale.

Voto 8,5/10
Wovoka/LLNN - Traces/Marks
Pelagic Records
Uscita 16.06.2017

giovedì 8 giugno 2017

Wederganger/Urfaust - Split: assomigliarsi per essere diversi

(Recensione di Split di Wederganger/Urfaust)


Mi piacciono i gruppi che dimostrano capacità di adattamento. Mi piacciono i gruppi che hanno chiaro quello che stanno facendo e fanno di tutto per rendere meglio il quadro. Mi piace quando si crea un'unità d'intenti e si va dritto nella direzione desiderata. Sono tutte cose che non sono per niente scontate perché certe band scelgono di non mettersi mai in discussione, di rimanere immobili, precludendosi, così, a nuovi orizzonti.

Per seconda volta da quando esiste questo blog mi occupo di uno Split, e uno dei due gruppi che ne fanno parte era già protagonista del primo split. Mi riferisco agli olandesi Wederganger dei quali vi avevo parlato in concomitanza con l'uscita del loro lavoro insieme ai, sempre olandesi, Kjeld (potete leggere la mia recensione qui). In questo caso questo nuovo disco gli affianca ad una rispettabilissima band, sempre olandese, che ha bisogno di ben poche presentazioni, cioè gli Urfaust. Di loro, invece, vi avevo parlato in concomitanza con l'uscita dell'ultimo LP, intitolato Empty Space Meditation (la recensione è qui).
Facendo un gioco abbastanza banale posso dire che prima di ascoltare questo disco aspettavo che i due brani degli Urfaust fossero molto più interessanti di quelli dei Wederganger. Mi basavo su quello che avevo ascoltato e conoscevo da entrambe le formazioni. Ed invece, dopo soltanto il primo ascolto, la mia premonizione si era completamente ribaltata. E non perché la parte degli Urfaust fosse inferiore ai loro standard. No, il motivo è che i Wederganger sorprendono regalando due brani splendidi. Non soltanto presi individualmente ma anche nel contesto generale di questo disco. Infatti grazie a questo contributo viene fuori un lavoro prezioso, coerente, con un'unità d'intenzioni che non disdegna di esaltare le differenze tra entrambi i gruppi.

Wederganger/Urfaust

Come mondo sonoro siamo in pieno al black metal ma entrambe le band regalano la loro propria interpretazione del genere. Quella dei Wederganger è più magnificente, in un certo modo epica. Quella degli Urfaust è più sofferta, infernale e viscerale. Per quello ha anche una dimensione molto più lo-fi che suggerisce qualcosa di molto più sentito, immediato e spontaneo. La cosa particolare è che sembra che in questo Split gli Urfaust abbiamo insistito per la loro via, per il loro modo di essere. Invece nel caso dei Wederganger c'è un adattarsi ai compagni d'avventura, senza che tutto ciò significhi rinunciare alla propria personalità. Anzi, quest'apertura, almeno per come la vedo io per quello che conosco la band, è un'apertura splendida che regala un tocco originale e molto ben portato a termine.

La cosa interessante degli Split è che quando vengono concepiti nel modo giusto sono un'opera che cresce grazie ai contributi delle band che ne prendono parte, dando come risultato qualcosa di molto diverso a un disco di una band unica. Questo split è uno di quei esempi. Anche se ci sono parecchie differenze tra entrambi i gruppi sembra che tutto vada nella stessa direzione con delle sfumature preziose. Sia i Wederganger che gli Urfaust vengono fuori ingranditi da questa novità discografica.


Sono quattro i brani che costruiscono questo disco. Io seleziono uno per band.
Per i Wederganger il brano è il primo di questo lavoro, cioè Heengegaan. Ritmicamente è schiacciante come una marcia infernale. Regala un brano oscuro e contundente, dissacrante ed ipnotico.
Per gli Urfaust la mia scelta va su Zelfbestraffingsten Denz En Occulte Raabsels. E' l'inferno che canta. Sembra un portale verso gli abissi. Guidati da una melodia dalla quale non possiamo fare a meno ci addentriamo in questo mondo. Non c'è tempo ne spazio per scappare. 

Questo Split trionfa. Trionfa perché riesce a compiere con tre cose importanti. La prima è quella di essere un'opera coerente ed originale, la seconda è che fomenta i due gruppi partecipanti, e la terza è che è fottutamente oscuro. Gran bello il giorno che Wederganger e Urfaust decisero di unire le forze.

Voto 8,5/10
Wederganger/Urfaust - Split
Ván Records
Uscita 09.06.2017

mercoledì 7 giugno 2017

Trojka - I Speilvendthet: la coerenza di un universo scelto

(Recensione di I Speilvendthet dei Trojka)


Sappiamo che i gusti nella musica sono assolutamente soggettivi e, fino a dove so io, non ci sono fattori particolari che stabiliscono una preferenza piuttosto di un'altra tranne, aggiungo io, l'ignoranza. Invece qualcosa che generalmente si presenta è che l'età gioca un certo ruolo nel valutare, o rivalutare, certi generi. Generalmente si dice che da adulti si riesce ad apprezzare una certa musica più cervellotica e complessa. Si arriva fino al punto di avere uno stile musicale chiamato AOR (Adult Oriented Rock) ma non è l'unico genere che va apprezzato in modo diverso asseconda dell'età.

Naturalmente l'introduzione di questo pezzo non ha un valore assoluto e può contare con illustri eccezioni che decretino la decadenza della "regola" appena esposta, ma sono sicuro che la musica dei norvegesi Trojka ritrova dei maggiori consensi dentro ad una certa generazione che va oltre i 25/30 anni. Questo perché lo spettro musicale sul quale si muove la band è molto più vicino ai generi che piacciono a quelle generazioni, cioè prevalentemente un rock progressivo che flirta con il jazz ed il pop. Il disco del quale mi occupo quest'oggi si chiama I Speilvendthet ed è il debutto discografico della band. E' un lavoro cantato in norvegesi che mette insieme tutti i generi che ho descritto prima. Un disco molto elegante, ricercato e molto ben suonato, all'altezza di tanti altri lavori di rock progressivo.

I Speilvendthet

Il miglior modo di capire cosa c'è dietro a questo I Speilvendthet è quello di paragonarlo con certi artisti che hanno molte cose in comune con i Trojka. Per quello andando ad ascoltare con cura questo disco mi è impossibile non farmi venire alla mente la musica di due grandi progetti: i Genesis e Neil Morse. Naturalmente sarebbe riduttivo fermarsi soltanto a questi due nomi ma sono molto riflessivi di quello che troviamo in questo disco. Anche qua bisogna essere precisi perché questi due progetti hanno vissuto diverse tappe e non tutte sono presenti nella musica dei Trojka. Diciamo che quello che è stato preso dalla band norvegese è l'eleganza del suono che diventa molto amicante e mai ostico. Forse qua torniamo al concetto generazionale, al fatto che questa scelta stilistica colleghi la musica del gruppo ad una certa età anagrafica che cerca una profondità in un certo tipo di suono che non sia mai invasivo. 
Un altro appunto importante da fare è quello del formatto della band, composta da tre musicisti che suonano basso, tastiere e batteria. Infatti il protagonismo armonico e melodico viene riservato alle tastiere, che giocano senza problemi espandendo i confini della band. Su questa base si adagia comodamente una voce che lavora perfettamente in linea con tutto il resto.

I Trojka vengono da Bergen, Norvegia, e in quest'avventura di scrivere questo blog mi sono ritrovato a stupirmi per la notevole quantità di band che si muovono intorno al rock progressivo, provenienti tutte quante da questa città. Non ho gli strumenti necessari per parlare di un caso o quant'altro ma è molto interessante vedere il fermento musicale di quel posto, avendo a che fare con progetti di qualità ma che, nello stesso tempo, si differenziano nelle loro scelte sonore. I Speilvendthet è un nuovo esempio di una bella scena che progetta la Norvegia come una terra fertile dentro al rock progressivo.

Trojka

Siamo giunti al momento dei consigli d'ascolto, e dunque pesco due brani da questo disco.
Il primo è Et Spill. Inizia con dei virtuosismi che mettono in chiaro sin da subito lo spirito progressivo della band ma lo sviluppo regala delle melodie che si conficcano facilmente in testa.
Il secondo è Mat for Tanke e qua si sente anche la presenza molto presente degli Emerson, Lake and Palmer. Infatti le tastiere si divertono ad espandersi. E' un brano che si sviluppa orizzontalmente col gusto di giocare con tanti generi lasciando anche spazio all'intervento di un sax.


I Speilvendthet è un lavoro virtuoso ma non spaccone. E' pop in quanto a che è costruito su una serie di melodie che funzionano perfettamente ma non è assolutamente commerciale. E' un disco coraggioso ma che ha il suo coraggio non nella sperimentazione ne nell'aggressività, ma bensì nel toccare diversi generi senza mai accomodarsi in una formula certa. Già per questi motivi i Trojka hanno costruito un disco interessante.

Voto 8/10
Trojka - I Speilvendthet
Apollon Records
Uscita 09.06.2017


lunedì 5 giugno 2017

Ghost Toast - Out of This World: evadere ovunque, ma evadere

(Recensione di Out of This World dei Ghost Toast)


L'evasione è uno stata mentale al quale tutti dovremmo avere diritto. Evadere è andare a toccare le vette più alte che la nostra mente riesce ad immaginare. Tutti vorremmo fare delle cose diverse da quelle che facciamo in certi momenti ed è la nostra mente a portarci in quei posti unici. C'è chi è così bravo da trasformare l'evasione in arte e ci da la capacità di vivere una nostra propria evasione grazie alla loro guida. Non bisogna mai smettere di evadere, d'immaginare altri mondi, di sognare ad occhi aperti.

Out of This World

Sin dall'inizio di questa nuova recensione dico che Out of This World è un disco meraviglioso, molto ben concepito e molto concreto. Un disco assolutamente non semplice da comporre e quanto meno da apprezzare fino in fondo. Questo è il terzo lavoro degli ungheresi Ghost Toast ed è il loro primo disco edito da una casa discografica, in questo caso la Inverse Records, dopo due prime registrazioni auto-prodotte. Ed è una fortuna che questo lavoro riesca a contare con una platea più ampia perché sarebbe un vero peccato che la musica di questa band rimanesse privilegio di pochi ascoltatori. Lo è perché questo disco è una perfetta proiezione di quello che significa scrivere fantascienza trasformandolo in musica. Ma il loro sforzo artistico va anche oltre. Non si tratta soltanto di individuare certe storie, alcune molto famose, e tirar fuori dei brani strumentali che riproducano l'atmosfera o la storia. No, lo sforzo della band è doppio, perché da una parte pescano l'aspetto che secondo loro rende più particolare la storia, o ricreano nuove storie collegando molti aspetti, per poi lasciare in mano all'ascoltatore la costruzione di un nuovo immaginario suggerito dalle note che ascolta. Insomma, è un interpretare e rimescolare le carte per dar nascita a qualcosa di nuovo, molto ben fatto. 

Out of This World


E' indubbio che per fare tutto ciò servono delle capacità strumentali e creative molto spinte ed è proprio quello che succede con i Ghost Toast. Il margine di influenze che confluiscono in questo Out of This World è così ampio da sembrare inesistente. Posso dire che la definizione che la stessa band si attribuisce è di experimental strumental progressive rock e sicuramente è abbastanza esaustiva di quello che si può ascoltare in questo disco. Sono costanti e numerose le contaminazioni sonore che vengono usate come pezzi di questo puzzle complesso. Per quello ci sono incursioni elettroniche, etniche, metal e di altri tipi. Per quello ogni brano sembra un racconto indipendente che necessita dei giusti adattamenti per rendere al meglio il quadro complessivo. Si potrebbe dire che la band ha lo spirito dei gruppi progressivi anni 70, e di conseguenza delle influenze marcate del free jazz, ma sarebbe solo vero fino ad un certo punto. Infatti si capisce che il gruppo è una aspirapolvere che ha messo dentro a sé tutta la musica degli ultimi 40 anni al meno. Ma la loro capacità camaleontica di adattarsi a quello che raccontano è spettacolare. 

Out of This World


Ascoltando questo disco più volte mi sono venuti in mente i Liquid Tension Experiment ma c'è qualcosa in più nella musica dei Ghost Toast, ed è che la loro capacità strumentale non è mirata a dimostrare quali virtuosismi sono in grado di compiere. Nel caso di questo Out of This World quello che viene fuori è una creatura pronta a mutare, a cambiar pelle e a toccare certi confini lontanissimi soltanto per raccontare al meglio quello che hanno in mente, usando solo i loro strumenti. L'evasione è assicurata ed è una garanzia.

Ghost Toast

Visto che c'è un costante movimento tra brano e brano diventa riduttivo analizzare poche tracce, perché nessuna e tutte, allo stesso tempo, riescono ad essere rappresentative di tutto il lavoro. Per quello è un po' crudele fare quello che sto per fare, ma le mie due scelte hanno a che fare con i brani che più mi hanno lascito un qualcosa. Questi brani sono:
Gordius. Brano ritenuto dalla band come il più complesso del disco, in tale modo che anche la loro spiegazione diventa assolutamente complessa. Forse è il riflesso dell'umanità, delle nostre decisioni irrazionali, delle pazzie improvvise che vengono fuori. Per quello è un brano spumeggiante, deciso, intenso ma che cambia improvvisamente in modo inatteso. Uno dei brani più metal di questo lavoro.
Kaia. Un universo che mette insieme l'essenzialità della terra, di quel che siamo, della nostra natura, ma anche della nostra infanzia, di quella tappa dove l'innocenza prevale su tutto il resto, e di conseguenza si è più vicini alla madre natura. E' un brano ipnotico ed etnico, dove la band dimostra la capacità di costruire mondi sonori.


Out of This World è un lavoro molto ben fatto. E' un disco che ha un background chiaro e fortissimo. E' un disco che può piacere a tanta gente perché in tanti si possono rispecchiare nei suoi brani. E' monumentale, è intimo, è di altri mondi ma è anche così essenziale da raccontare la nostra casa, il nostro mondo. Creo che i Ghost Toast meritano lo spazio adatto che renda giustizia a la loro capacità musicale immensa.

Voto 8,5/10
Ghost Toast - Out of This World
Inverse Records
Uscita 07.06.2017

sabato 3 giugno 2017

Postvorta - Carmentis: dalle crepe entra l'epica

(Recensione di Carmentis dei Postvorta)


Non c'è evoluzione senza passato. Non c'è uno sguardo futuro senza sapere cos'è successo precedentemente. Non c'è vita senza una base. Per quello la musica ci sorprende continuamente con la dicotomia passato-futuro. Una costante evoluzione ci regala continuamente nuovi generi ma se guardiamo come sono costruiti, e da cosa prendono spunto, ci ritroviamo con un quintale di tracce del passato. Per quello la musica ha anche un fondamentale ruolo di divulgazione, perché porta a nuove generazioni degli spunti storico e culturali che entrano molto meglio che non in aula di classe. Per quello la musica dovrebbe essere un patrimonio molto più tutelato.

Oggi vi parlo una interessante band italiana, per niente nuova al panorama underground. Si tratta dei Postvorta che danno spazio a parlare di loro grazie al loro terzo album Carmentis. C'è da dire che come, purtroppo, capita spesso questa band sembra raccogliere molti più consensi fuori dal territorio nazionale, ma questa è una battaglia insormontabile. Il giorno che gli italiani scopriranno il livello delle band che animano il panorama underground musicale ci sarà una piccola rivoluzione. Collegato a questo discorso non c'è da sorprendersi se questo nuovo disco conta con un paio di collaborazioni internazionali. Ma andiamo adesso più nel profondo cercando di capire che cosa c'è dentro a questo nuovo disco. Come al solito le definizioni sono un po' leziose e non sempre rendono il quadro della situazione ma possiamo dire che i Postvorta si muovo prevalentemente nella landa desolata del post metal. Nel loro caso c'è anche uno sguardo più cupo con rispetto a nomi saldi di questo genere. Infatti è questo monocromatismo grigio quello che è dominante nelle sei tracce della loro nuova fatica. Ma se questo vi fa pensare ad un disco piatto vi sbagliate di grosso, infatti Carmentis è molto dinamico e ci dimostra infinite vie di quello che è quel grigio dominante. 

Carmentis

Perché il grigio? Perché è l'insieme di bianco e di nero, come se entrambi i colori si cercassero ed avessero bisogno l'uno dell'altro. Per quello anche se la prevalente emotiva di questo disco è molto cupa ci sono delle piccole crepe dalle quali si filtra una luce così nuova da sembrare violenta.Musicalmente questo si traduce nell'idea di un disco molto drastico, dove la band avanza in blocco attraverso quest'oscurità che non è altro che un paesaggio riflesso di quello che si sente. Ma se Carmentis fosse solo quello secondo me non avrebbe tutti i meriti che ha. Per quello a rompere quell'oppressione presente ci pensano una serie di intervalli misurati e tranquilli, dove si respira e, per chi ama cercare la bellezza nell'oscurità, si viene molto appagati. Spazio dunque che si giostra tra due mondi quasi opposti nelle estese composizioni musicali dei Postvorta. Per quello questo disco sembra essere composto di tre capitoli, che nello specifico sono i tre brani centrali, che si sviluppano in lunghi minuti, attraversando in questo modo tante sfumature. Infatti come succede con tanti dischi post metal c'è una capacità narrativa che si traduce in musica ed è possibile sentire fedelmente quello che viene raccontato, con momenti rabbiosi, altri strazianti ed altri di piccoli lumi di speranza.

In un certo modo, e anche se musicalmente sono due dischi lontani, sento che questo Carmentis ha dei tratti in comune con un altro disco italiano recente. Parlo dell'ultimo capolavoro degli Ornaments, Drama, dove la storia mitologica straziante veniva interpretata musicalmente con grande maestria. Ripeto che i mondi sono lontani, soprattutto perché gli Ornaments sono prevalentemente strumentali, ma c'è in comune la forza narrativa di una storia molto sentita e di un'epicità quasi mitologica. Questo nuovo disco dei Postvorta ha quella altezza che non è sempre facile da raggiungere.

Postvorta

La struttura di questo disco si basa su due brani che aprono e chiudono il disco con l'unico ruolo di essere intro ed outro, ed in mezzo tre brani di importante durata sviluppano l'intero lavoro.
Di questi tre io pesco uno: Colostro. Come dicevo prima è la dinamica a far grande questo disco, dinamica che si vede nella successione di momenti musicali, nella creazione di veri e propri scenari dentro ai quali poi la narrazione prende piede. Ed è quello che succede fedelmente in questo brano. La prima parte serve a capire dove siamo, cosa vivremmo e come la vivremmo. Gli intrecci musicali di basso e chitarre sono bellissimi e quando il brano esplode per prima volta tutta la tensione si rompe. E' lì che bisognava arrivare. Devo dire che ascoltando ripetutamente ci sono dei paragoni interessanti che vengono fuori, come quello con i Heretoir dei loro ultimo album The Circle.


Carmentis è intenso. E' un disco sentito con idee molto chiare che regala una notevole nuova visione da parte dei Postvorta al mondo musicale che possiamo inglobare come post metal. Come ho detto in altri punti di questa recensione c'è un lavoro narrativo non indifferente che guida questi brani attraverso la loro estesa strada, e fare un lavoro del genere non è roba semplice. Questo è un disco all'altezza di tanti altri interessantissimi lavori usciti nell'ultimo periodo.

Voto 8,5/10
Postvorta - Carmentis
Third I Rex
Uscita 14.05.2017

venerdì 2 giugno 2017

Sapata - Satanibator: il calore viene da dentro

(Recensione di Satanibator dei Sapata)


Il calore non è un fattore che dipenda soltanto dalle condizioni climatologiche. Il calore è energia, energia che si brucia. Il calore è sudore. La musica è calore. Per quello anche nelle notti più fredde di un inverno la giusta musica suonata nel giusto posto può sciogliere qualsiasi tipo di gelo. Quando si crea quell'onda di calore che va dal pubblico fino ai musicisti ormai non importa più di chi è il sudore. Si crea un ambiente unico dove il calore sovrasta qualsiasi cosa.

Nel caso dei finlandesi Sapata è indubbio che la loro musica cerchi quell'intensità unica che si trasmuta in un certo tipo di calore. Un calore che ha a che fare con l'energia messa dentro ad ogni loro canzone ma anche alle tematiche che vengono fuori dalla loro musica. Un tocco di proibito, di misticismo, di pagano ma anche di divertente, di quella sensualità che hanno le cose nascoste. Satanibator è il loro primo sforzo discografico e compie molto bene con eventuali aspettative. Questo è un disco che funziona perché è pieno di energia, perché si muove dentro a quel doom primordiale che sconfina con lo stoner. Insomma, questo disco è una locomotrice che non ha alcuna intensione di fermarsi alle stazioni del suo percorso. A capitanare tutto quanto abbiamo una voce femminile che non si disdegna assolutamente ad essere la parte visiva di questo gioco. Infatti è la voce quella che aggiunge una serie di elementi legati alla sensualità senza mai abbandonare l'energia che c'è dietro.

Satanibator

La musica dei Sapata ha quell'impronta che l'avvicina tranquillamente a gruppi come i Black Sabbath. Il loro è un rock che confina con certi aspetti del metal. Come universo principale la band si muove nel doom ma come dicevo prima bisogna pensare a quello primordiale, quello che è venuto fuori negli anni 70. Dunque non quel genere depressivo basato sull'oscurità e la depressione ma quell'altro dove il protagonismo viene riservato a quel mondo psichedelico che gioca con l'occulto, con un certo tipo di esoterismo ancestrale dove le ombre sono tanto importanti quanto le luci. Per quello molti aspetti di questo Satanibator ci riportano indietro nel tempo. C'è tanto spazio a quelle metriche ipnotiche, ad una voce piena di personalità che sembra calzare perfettamente nel ruolo che le aspetta. Musicalmente c'è molto di rock anni 70, c'è quello spirito del rock spensierato, anticonformista e lontano dalle costrizioni sociali. Per quello il sound di quest'album ci riporta indietro e ci fa venire in mente certe voci eccellenti del rock al femminile. 

Satanibator sa di fuoco, sa di notte, sa di sudore e di immagini che non sappiamo se sono veridiche o frutto della nostra immaginazione. E' quello l'universo scelto dai Sapata. Un mondo di sensualità e di strani rituali che ti catturano senza lasciar spazio ad una via di fuga. Le canzoni di questo disco vanno venire sete perché sono piene di quel calore che è figlio di un momento unico, di quello che accade quando le luci si accendono e si prende coscienza di essere nella realtà e non in un sogno.

Sapata

Prendo due brani che mi sembrano abbastanza utili per illustrare l'intero lavoro.
Gobi dimostra qual è lo spirito che attraversa la musica di questa band. C'è tantissima energia ed un'oscurità presentissima senza essere opprimente. Per quello questo brano sa di proibito, di statue pagane che alla luce di una torcia sembrano animate.
MDD è tremendamente sensuale. Per quello nasce sotto una ritmica ipnotica sulla quale una frase di basso ci porta verso questo rito. Voce e chitarra si lasciano un all'altro il protagonismo giocando su una parte psichedelica che sembra venire da molto lontano. Molto bello.


Come sempre la musica diventa patrimonio dell'umanità. Per quello non c'è da sorprendersi se una delle terre più fredde al mondo, come quella finlandese, da nascita ad un progetto così caldo come i Sapata. I loro brani sono pieni di quell'energia irrefrenabile che diventa assolutamente coinvolgente. Per quello Satanibator è un disco che ti obbliga a ascoltarlo con grandissima attenzione, perché in un certo modo non ti lascia via di scampo.
Io, adesso, vado a bere.

Voto 8,5/10
Sapata - Satanibator
Inverse Records
Uscita 02.06.2017

giovedì 1 giugno 2017

Völur - Ancestors: attraversare il tempo per ammagliare

(Recensione di Ancestors dei Völur)


Sin dall'inizio dell'umanità la musica è stata fondamentale. Non c'è cerimonia rituale che non abbia un accompagnamento musicale, non c'è cultura che non abbia riversato nella musica le proprie intenzioni, i propri sogni, i propri modi di attraversare la vita. Per quello certi generi sembrano venire di tempi molto remoti e ci aiutano a cercar d'immaginare quello che era vivere tanti secoli fa. E' la magia della musica. La sua capacità di evocazione diventa universale e preziosa, perché poche altre cose riescono ad ottenere gli stessi risultati.

Ancestors

Völur sono fottutamente interessanti per tante cose diverse. Da una parte per la musica che fanno, musica dove confluiscono tanti elementi come il folk, il doom ma anche una serie di elementi di non semplice definizione che fanno della loro musica una creatura che attraversa i tempi lasciando dietro di sé un alone di mistero. Ma sono anche tremendamente interessanti perché sfuggono dagli schemi normali che possono avere dei gruppi del genere. Per quello il loro trio musicale utilizza tre strumenti che prendono un'infinità di pieghe facendo sì che non si senta assolutamente la mancanza di altri strumenti. Questi sono basso, violino e batteria, ai quali viene aggiunta un paio di voci, maschile e femminile, che costruiscono il mondo della band. Per riuscir ad apprezzare il loro lavoro ho oggi il piacere di parlarvi di Ancestors, loro primo LP.  Questo lavoro ha il sapore del tempo, della natura e di tutti gli oppressi che nel corso della storia per un motivo o l'altro sono stati obbligati a reprimere la propria vita. Per quello questo disco sembra essere un urlo viscerale lunghissimo. Ma andando in fondo a questo urlo arriva la comprensione di realtà diverse che possono insegnare tanto a qualsiasi persona.

Ancestors

Composto solo da quattro lunghissime tracce, Ancestors è un disco che non sta mai statico, che attraversa con un'impressionante naturalità le ampie distese di desolazione umana. E' un disco cupo e nostalgico che ha la grande qualità di scavare così in fondo da tirare fuori la bellezza dalle sue note. Il sorprendente utilizzo del basso e del violino danno un tocco unico alla musica portata dai Völur. Il loro non è semplicemente un doom rigoroso, non è neanche soltanto un folk metal ancestrale e non può essere incanalato come un dark ambient che funziona egregiamente. No, la loro musica è tutto quello e niente di tutto ciò. Anzi tutto bisogna dire che è una musica sentitissima, sofferta, ipnotica e coinvolgente. E' una nebbia che ti circonda sussurrandoti all'orecchio delle parole che vengono da lontano. E per prendere quella forma quello che serve è non limitare assolutamente l'utilizzo dei propri strumenti al modo più consueto. Per quello tutti gli effetti usati sui due strumenti di corda danno nascita ad una nuova materia sonora che è quella che la band usa per mettere in piedi le proprie creazioni.

Ancestors

Völur hanno un'altra grande qualità ed è la loro delicatezza. Non eccedono mai in quello che fanno perché sarebbe inutile e banale. Sanno come fare quello che devono fare e lo fanno molto bene. Ancestors è un disco che attraversa lo spazio tempo come chi fa un salto da una parte all'altra del marciapiede. Per quello il loro soffio è ancestrale ma non puzza di vecchio, anzi, profuma di avvenire. Per quello sembra di ascoltare musica nata secoli fa suonata con la tecnologia di oggi. Per quello la parola "limite" sembra essere completamente cancellata dal loro vocabolario. Quello che ascoltiamo in questo lavoro è una necessità, una profonda intenzione di raccontare qualcosa senza preoccuparsi da strutture o preconcetti. Questo è un fiume in piena e guai a fermarlo.

Völur

Tutti i brani che compongono questo disco si chiamano "Breaker of....." (completando il titolo con diversi sostantivi o concetti). Infatti questo è un disco di rottura, rottura verso il presente, pieno d'ingiustizie, rottura verso il passato, che qua viene raccontato con una visuale narrativa, rottura verso le fondamenta dei generi praticati dalla band, perché nulla suona fedele a come dovrebbe essere ma è una "ribellione" voluta. Io ho scelto un brano per farvi capire incontro a cosa ci si addentra ascoltando questo disco.
Il brano in questione è Breaker of the Oaths e si capisce perfettamente la versatilità della band, che utilizza i propri strumenti in modi così dinamici da non riconoscerli sempre. Sembrerebbe che ci fosse una chitarra qua e là ed invece sono il basso ed il violino. Sembrerebbe un brano "tranquillo" ed invece esplode alla fine, a far capire che nulla è scontato nella musica della band.


La cosa bella della musica è che non esistono i limiti. Ci sono formule che definiscono più o meno i generi ma sembra che quelle formule siano fatte per essere rotte, ed è proprio quello che i Völur fanno. Non hanno alcuna intenzione di essere incastrati in un genere specifico ma, piuttosto, voglio essere un'eterea sensazione che attraversa il tempo come un rapace in volo attraversa il vento. Ancestors è un disco emozionante e sorprendente, e solo per quello merita un grande ascolto.

Voto 9/10
Völur - Ancestors
Prophecy Productions
Uscita 02.06.2017