sabato 17 settembre 2016

King Dude - Sex: La Sensualità di un Poeta Maledetto

(Recensione di Sex di King Dude)


La sensualità e la musica camminano sempre mano nella mano. Si alimentano mutuamente e regalano spunti fondamentali. Molti musicisti hanno basato le loro proposte musicali nella sensualità e nella sessualità suscitando forti reazioni che più di qualche volta si sono tradotte in censura. Incurante delle reazioni che si possono ritrovare tanti musicisti continuano a dare le proprie letture della sensualità senza filtri.

Si capisce già dal titolo del disco, Sex, che questo nuovo lavoro di King Dude non ha paura di scandali, anzi li cerca toccando tematiche che, purtroppo, tuttora sono dei tabù. Nelle undici tracce che formano Sex si ritrovano spesso delle provocazioni alla chiesa e alla morale che diffonde come unica via possibile. Non ci vuole molto per scandalizzare, per essere rivoluzionario o blasfemo. In tanti lo hanno fatto in passato guadagnando minuti di visibilità globale e qua sta la prima grande particolarità di questo lavoro: sembra che King Dude non insegua per niente quella via. Il suo Sex è un disco onesto che si costruisce con sonorità rock e dark. La sua sensualità sta dentro alle ombre e non ha intenzione di farle vedere, semplicemente il suo è un invito ad entrare in queste ombre, farsi un giro ed uscire. Il suo messaggio non è un manifesto, non è una presa di posizione ma è una serie di racconti, di storie che confinano tra il sesso, il divertimento, l'ipocrisia, l'innocenza e l'amore. Eh sì, perché c'è anche spazio per l'amore.



Musicalmente parlando questo Sex è un disco che confina tra il rock alla Chris Isaak e l'oscura sensualità di artisti come Nick Cave, Danzig e, paragone che magari non piacerà a tutti, i Type O Negative. La voce è fondamentale. Non solo per la sua profondità ma perché più che mai è la guida fondamentale di questa passeggiata tra le ombre. Questo è un disco che sa di bar dimenticati poco prima del alba dove in mezzo alla nebbia del fumo delle sigarette ci si scopre anime perse che si ritrovano e si riconoscono. E' un disco che sa di alcool, di solitudine e di sforzi per riempire quel vuoto che spesso vanno male. Ma è anche un disco frenetico, di feste alternative, di esagerazione, di rivoluzione. Per certi versi è un disco che potrebbe associarsi perfettamente alla generazione beat. E' lisergico, anfetaminico ed estasiato. Ed è un disco in bianco e nero.

King Dude è un poeta maledetto. Un personaggio che sa che la notte è il suo regno, che le tonalità minori sono molto più interessanti della solarità di quelle maggiori e che ha voglia di raccontare il suo mondo senza troppi stratagemmi ma ricreando con la sua musica le atmosfere giuste per dare ancora più forza alle parole. In Sex non disdegna di regalare dei momenti molto diversi, qualcuno dove è festoso e caotico, altri di grande intimità ed altri ancora di sensualità tradotta in voce suadente e tappetti musicali ipnotici. Racconta storie ma in certi, pochi, momenti passa dalla terza alla prima persona del singolare.



Visto che vi ho parlato di tre momenti essenziali dentro alla sua musica cerco di consigliarvi una canzone per momento.
Per la sensualità oscura e maledetta il consiglio va a Who Taught You How to Love, brano che racconta la storia di un'innocente aspirante star di Hollywood.
Per la parte festiva anche se ci sono un paio di brani molto più frenetici e diretti il consiglio va a I Wanna Die at 69, classico esempio di un rock&roll carico di sensualità ed oscurità.
Invece il momento più intimo lo ritroviamo nell'ultima traccia, Shine Your Light, dove il pianoforte regala la profondità di un brano sentito.



Sex non deve spaventare o impressionare col suo titolo perché è un disco che prende tante sfumature e che finisce per essere un validissimo riflesso di quel che ognuno è. Un mix di voglia, desiderio, pentimento, di esaltazione e di intimità. E' un disco molto dinamico che regala brani molto diversi anche se uniti sempre da quell'insieme di sesso, sensualità ed amore. Oscuro, vellutato e divertente.

Voto 8/10
King Dude - Sex
Ván Records
Uscita 28.10.2016

mercoledì 14 settembre 2016

ZAUM - Eidolon: il miglior biglietto per un viaggio astrale

(Recensione di Eidolon degli ZAUM)


Ci sono tanti tipi di fame. C'è quella che denota la necessità di nutrimento. C'è quella esige la conoscenza perché vuole alimentare lo spirito e la mente. E poi, c'è la fame di creazione, d'invenzione, di far nascere qualcosa di nuovo e di inedito. Nel secolo scorso, un gruppo di poeti futuristi russi cercò d'inventare un nuovo linguaggio attraverso una serie di sperimenti chiamati zaum. La traduzione che viene data a questa parola è transmentale.

La fame dei canadesi ZAUM viene spiegata molto velocemente nel loro nome. La loro musica è un varco che porta a fare dei veri viaggi astrali e per farlo si affidano ad una serie di sonorità trasversali che raggruppano il doom e lo stoner con il rock psichedelico, la musica indiana e le atmosfere sciamaniche. E' proprio la creazione di questo nuovo linguaggio musicale la grande forza del loro nuovo disco chiamato Eidolon.



Il confine attraversato da questo duetto è molto chiaro. La loro intenzione è quella di stare a cavallo tra il reale e l'onirico. Cercano, con urgenza, la spiritualità di ogni essere esaltandola al meglio. Si narra che la band statunitense maudlin of the well scrivesse le proprie canzoni come risultato dei loro viaggi astrali. Non sarebbe strano pensare che i ZAUM facciano la stessa cosa. La loro musica non è soltanto astrale ma è anche mitologica. Si nutre di leggende di civiltà antiche, di divinità dimenticate e viene fatta con strutture lineari.

Infatti andando ad analizzare questo nuovo lavoro salta subito fuori che Eidolon è composto di solo due canzoni, entrambi di 20 minuti e passa. La monumentalità di queste canzoni è assolutamente giustificata dall'intenzione del gruppo, da quello che vogliono far arrivare. Il loro discorso musicale è così complesso che non può essere sviluppato in pochi minuti. E' assolutamente necessaria questa struttura che induce l'ascoltatore in uno stato di trance che lo porterà poi a attraversare il tempo e lo spazio a proprio piacimento. Non è una missione semplice. E lo è molto di meno pensando che gli ZAUM sono soltanto in due. Questa è la loro forza che permette di catapultargli in quel gruppo di band pazzesche, capaci di meraviglie impensabili. La dinamicità di Kyle Alexander McDonald è la chiave di questa buona riuscita. E' sua la voce, il basso, il sitar ed i synths. Questo gioco di strumenti che ricevono la base fondamentale del batterista Christopher Lewis, sono quel filo sottile che lega la nostra anima a spasso al nostro corpo. E' grazie a la loro progressione che ci ritroviamo catapultati in questi mondi senza tempo e con regole così diverse da quelle che ci governano. I synths ricreano le atmosfere, il basso da la concretezza e la sicurezza ed il sitar è quel fuoco fatuo che ci guida. Quattro strumenti ed un voce per due individui. Un trionfo.



Eidolon si apre con Influence of the Magi, brano pieno di magia che cresce gradualmente avvicinandoci all'immaginario sciamanico. E' un brano dove le tracce di doom ricordano grandi gruppi di questo genere e ci riportano alla mente i già citati maudlin of the well e i loro fratelli dei Kayo Dot vecchia scuola. E' psichedelico, meditativo, astrale e profondo.
The Enlightenment, invece è molto più esotico, orienteggiante e concreto. E' un mantra ipnotico sopra al quale si sovrappongono colori e sfumature.



Gli ZAUM rappresentano quella parte di gruppi affamati d'innovazione che riescono a centrare il bersaglio. Eidolon è uno dei lavori più interessanti che questo 2016 ha sfornato. E' un disco che ricorda il filone psichedelico degli anni 70 ringiovanito e riletto con una freschezza notevole. E' un disco spaziale, inquietante a tratti, che merita un ascolto concentrato perché sa restituire, e il viaggio che vi farete ascoltandolo non sarà per niente male.

Voto 9/10
ZAUM - Eidolon 
I Hate Records
Uscita 24.10.2016

lunedì 12 settembre 2016

Khemmis - Hunted: il conflitto dell'innovazione

(Recensione di Hunted di Khemmis)


C'è chi afferma che la mescola è sempre la migliore alternativa. Che essere dei puristi dimostra uno stato mentale limitato e chiuso che non lascia spazio alla novità ed alla crescita. Spesso dal mettere insieme diversi stili musicali si è arrivati a creare nuovi generi assolutamente nuovi. Fermare l'evoluzione della musica è impossibile e sarebbe un errore.

Tutte queste premesse fanno fate perché il disco del quale vi parlo quest'oggi, che recensisco con grande anticipo visto che l'uscita è programmata per metà d'ottobre, è un disco che difficilmente sarebbe esistito anni fa. Gli statunitensi dei Khemmis partono dalle sonorità doom che si mescolano con lo stoner e già questo punto farebbe storcere il naso a qualche purista. Entrambi i generi hanno dei punti in comune, soprattutto i power chords cupi e trascinanti delle chitarre, ma sono anche molto diversi. Se pensate che questa è l'unica "contaminazione" presente in Hunted vi sbagliate. Le armonizzazioni delle chitarre si rifanno alla tradizione maideniana e la voce spazia senza difficoltà tra due registri tanto diversi come quello del cantante heavy metal e quello del sludge. Un bel calderone da analizzare.



Hunted è un disco che sorprende perché, a primo impatto, da l'idea di essere il lavoro di un gruppo che prende con piacere l'eredità del heavy metal più classico al quale aggiunge la cattiveria delle chitarre doom. Andando avanti con l'ascolto, però, le carte vengono ribaltate e i Khemmis passano a essere un gruppo che naviga tra le acque del doom, lo stoner e lo sludge pescando ogni tanto le risorse di quel heavy old school. Un mix strano ed inedito, anche su tutti questi generi sono adunati da un origine comune. E' difficile, per me, dire se il risultato è molto positivo o meno. Lo è perché apprezzo molto il coraggio della band nel proporre qualcosa di nuovo, coraggio che da sempre ricerco con ansia nella musica, ma nutre in me qualche dubbio su quelle che possono sembrare delle incompatibilità tra i diversi generi riuniti. Lo sludge ha la modernità di rinunciare ai virtuosismi chitarristici, invece in questo Hunted ce ne sono tanti. Infatti è la chitarra, o le chitarre, a prendersi gran parte del protagonismo giocando con questa dualità conflittuale. La voce è lo specchio di questa caratteristica e quei due registri così diversi, voce pulita e squillante e growl profondo e cattivo, accentuano ulteriormente lo scontro/incontro di questi due mondi.



I Khemmis sconvolgono perché la loro intenzione musicale non lascia indifferenti. Osano tanto rischiando parecchio ma riescono a trovare un punto d'unione tra i quattro generi principali che costruiscono la loro musica. Sono abili ad individuare gli aspetti comuni ed a coniugarli molto bene, aggiungendo, poi, altri elementi che incrementano il conflitto tra similitudini e differenze. 

Il miglior esempio è la title track. Hunted chiude il disco con 13 minuti e 30 epici, moderni e, allo stesso tempo, nostalgici. Ritmicamente è un brano moderno, trascinante quanto è trascinante lo sludge. L'aggiunta delle chitarre armonizzate è sorprendente ed esplosivo.



L'impressione che mi viene è che con Hunted i Khemmis riusciranno a prendersi una grande fetta di ascoltatori del metal perché saranno in tanti a valorizzare i diversi aspetti presenti in questo lavoro. Un disco che piacerà a chi ricerca ritmiche trascinanti di chitarre profonde ma anche a chi ama le armonizzazioni di chitarra e gli assoli stile Iron Maiden.
Anche questo è evoluzione. E va celebrato. 

Voto 7,5/10
Khemmis - Hunted
20 Bucks Spin
Uscita 21.10.2016


venerdì 9 settembre 2016

Devin Townsend Project - Trascendence: l'equilibrio perfetto

(Recensione di Trascendence di Devin Townsend Project)


Possiamo essere le persone più avventurose del mondo. Possiamo essere degli individui in costante ricerca di novità e di sorprese ma è indubbio che sempre, per un certe cose abbiamo bisogno di sicurezza. Sapere che certe cose ci saranno sempre ci fa sentire bene, tranquilli, in pace. 

Devin Townsend è sinonimo di sicurezza. Può piacere molto o poco ma è una certezza. E' impossibile trovare un suo qualsiasi lavoro scadente, pigro, strano o inascoltabili. Mica facile. Anche i mostri sacri della musica hanno avuto, chi più chi meno, delle cadute di stile o dei momenti di smarrimento mascherati di voglia di cambiare. Nello stesso tempo il caso di Townsend è molto interessante perché non si può affermare, per nulla, che la sua carriera, nelle sue più svariate versioni, sia stata piatta ed omogenea. Ha sempre regalato delle sfumature che coloravano di luce diversa ognuno dei suoi lavori. La sua forza sta nell'essere unico, nell'avere un'impronta così inequivocabile da riconoscerla in ogni nota da lui cantata o suonata. E' quel mix di virtuosismo, di progressivismo e,  soprattutto, di energia.
Trascendence è una nuova conferma di tutto ciò.



Per chi conosce la vita di Townsend è molto chiaro che la sua musica è il riflesso della sua vita. Seguire le sue vicissitudini è trovarsi con un personaggio geniale dove la genialità cammina mano nella mano con la pazzia. La sua capacità musicale che lo porta ad essere un polistrumentista e a scrivere senza alcun problema un brano dopo l'altro è anche il riflesso di quello che è. Per quello nella sua carriera si ritrovano tanti dischi diversi. Certi così energici da sembrare anfetamina, altri, in sensibile minor quantità, profondo e riflessivi, un esempio su tutti: lo splendido Ki del 2009. Questo nuovo lavoro è un punto di equilibrio, né troppo energetico da non riuscir a stare al passo, né troppo riflessivo da diventare intimo.

Trascendence, che è il settimo album di studio sotto denominazione Devin Townsend Project, regala 64 minuti piacevolissimi durante i quali la musica scorre senza forzature abbracciando il ventaglio di elementi musicali che definiscono la personalità del musicista canadese. La domanda è: siamo di fronte ad un momento di pace e serenità di Townsend? Non sappiamo qual'è la risposta ma è piacevolissimo affrontare l'ascolto di questo disco che sembra cogliere gli aspetti migliori della carriera di Townsend. E' un disco energico senza essere frenetico. E' un disco che regala momenti di grandi arrangiamenti sinfonici ma che a tratti è asciutto e basico come una chitarra acustica che accompagna la voce. E' un disco maturo. E' abbastanza rock essendo sempre sufficientemente metal. E' orecchiabile quanto basta essendo anche ricercato. E' spaziale, come piace allo stesso Townsend, ma suona anche molto terrene. E' meno circense di tante creazioni del passato del canadese ma non è neanche intimo come qualche suo lavoro. Parla di sé senza usare la prima persona del singolare. Insomma, racconta molto di quello che, oggi, Devin Townsend è.



Questo nuovo disco rafforza tutti i concetti noti della personalità del genio canadese e da maggiore forza a questo progetto che si afferma come un gruppo solidissimo ed in piena sintonia col frontman. Non è sorprendente, dunque, che Anneke van Giersbergen sia stata nuovamente chiamata come voce femminile e che i suoi contributi siano pienamente in linea con le intenzioni musicali di questo Trascendence. Infatti la maturità che mi sembra di scovare nella mente del disco è anche espandibile a tutta la band che funziona sia come estensione del mentore, sia come una creatura indipendente ed abbastanza grande da avanzare senza fare errori. Si suol dire che il troppo storpia ma nel caso di questo disco quel "troppo" è ragionato molto bene, la varietà che conosciamo tanto bene dentro della musica di Townsend è distribuita notevolmente riuscendo ad avere lo spazio giusto nel momento giusto.



Come nel caso di altri dischi che ho recensito non è semplice consigliare pochi brani perché l'intero lavoro merita un attento ascolto ma ci provo.
Failure è un bel riflesso di tutto quello che ho descritto. E' un brano che mette alla luce il virtuosismo della band senza farne, però, un esercizio didattico. E' un brano trascinante, epico ed ipnotico. Bellissimo.
From the Heart rappresenta la maturità. E' un brano felice che trasuda quel stato d'animo.

Trascendence è un punto alto nella carriera di Devin Townsend perché rappresenta il perfetto compendio di quello che la sua personalità artistica. E' un disco senza esagerazioni ne esaltazioni e conferma quella sensazione di sicurezza. La sicurezza di sapere che Townsend è sempre pronto a regalare nuove canzoni che sembrano facili e che entrano nel nostro immaginario senza resistenze ma che, in realtà, sono piene di sfumature complesse figlie di una mente brillante. Ottima prova.

Voto 8,5/10
Devin Townsend Project - Trascendence
HevyDevy Records
Uscita 09.09.2016

mercoledì 7 settembre 2016

Nosound - Scintilla: Le confessioni all'ora del tramonto

(Recensione di Scintilla dei Nosound)


Da parecchio tempo c'è un gioco che mi è sempre piaciuto fare nella musica. Molto spesso, quando intervisto qualche artista, chiedo qual'è l'influenza del proprio paese, regione o città di appartenenza. E' una domanda interessante perché la capacità di universalità della musica fa in modo che molto spesso non si capisca fino in fondo l'origine geografico di ogni gruppo. La cosa bella è che, più volte, sono proprio gli artisti a sottolineare l'importanza delle radici e il riflesso che questa caratteristica ha nelle loro creazioni.



Le considerazioni appena esposte mi venivano in mente ascoltando il nuovo disco dei romani Nosound, band che è una di quelle realtà underground così interessanti da contare con un ottimo riscontro internazionale riuscendo ad inserirsi in circuiti ammirevoli. 
Il disco che è l'oggetto della mia riflessione di quest'oggi s'intitola Scintilla e, in parole del leader della band, Giancarlo Erra, rappresenta un cambio importante nella musica della band, cambio che è la naturale evoluzione di ascolti ed inquietudini provocate dal passo del tempo. L'intimità e la semplicità sono i due concetti più presenti in questi ascolti e, dunque, anche nella composizione di questo nuovo lavoro. Io azzardo ad aggiungere un terzo elemento a questo connubio: quello delle radici. Per me Scintilla è un disco che suona italiano. Questa considerazione la faccio ovviando l'aspetto più facile, cioè quello della presenza come ospite, non l'unico, di Andrea Chimenti che presta voce e testo nel brano Sogno e Incendio. In tutti gli altri brani di questo disco, tutti cantati in inglese, c'è un'aria italiana, un aspetto di difficile definizione ma che porta alla mente tante realtà della musica alternativa del bel paese. Al di là del respiro internazionale c'è quello sguardo puntato alla tradizione cantautoriale alternativa italiana. Questo è molto interessante.

I Nosound partono da un altro dei tre concetti individuati come principali di questo disco. E' l'intimità ad essere la padrona delle dieci tracce di Scintilla. E' un disco che parla direttamente all'ascoltatore, come se un tuo amico intimo ti stesse confessando dei pensieri profondi. Per farlo usa l'altro elemento: quello della semplicità. Il messaggio arriva diretto, senza stratagemmi o virtuosismi, perché l'intimità è così, senza ponti. Mi viene, a questo punto, di fare un paragone con un noto cantautore romano che ha la capacità di parlare al cuore di ogni ascoltatore con molte delle sue canzoni. Mi riferisco a Niccolò Fabi. Capiamoci, non sto dicendo che la musica dei Nosound sia come quella di Fabi. Prendo soltanto l'aspetto del riuscir a costruire delle canzoni intime e dirette, canzoni che non possono lasciarti indifferente.



Scintilla è un disco nostalgico e l'ospitata di un secondo nome eccellente, quello di Vincent Cavanagh degli Anathema, è assolutamente in linea con l'intero LP. E', infatti, molto bello che la sua presenza si alinea perfettamente con l'intenzione ricercata dalla band. Scintilla è un disco da tramonti, da finestroni che mostrano lunghe distese di terra. E' un disco di confessioni ma anche di riflessioni. E' un disco che invita ad osservare quello che c'è fuori per guardarci nel profondo.

Vi suggerisco l'ascolto di tre brani. Il primo è In Celebration of Life, una delle due tracce che vede la presenza di Cavanagh. E' un brano che riassume abbastanza fedelmente quello che è questo disco. Ci coccola e nello stesso momento ci guida in questo viaggio interno. 
Il secondo è Sogno e Incendio, cantato da Andrea Chimenti. La sua presenza da un colore molto diverso, infatti questa canzone è quella che tende ad uscire di più dalla linearità delle altre. 
Per finire l'ultima traccia, che da titolo al disco, è un piacevolissimo viaggio attraverso il risveglio del mondo. Infatti Scintilla inizia con una grande intimità e piano piano si tinge di energia finendo molto in alto.



Ascoltando questo nuovo disco è indubbio che l'intenzione dei Nosound è stata completamente raggiunta perché Scintilla arriva diretto con quell'intimità bella fata di melodie nostalgiche e carezze musicali. E' interessante il contributo che il gruppo fa alla musica italiana, e, allo stesso tempo, è fondamentale il contributo che la musica italiana alternativa ha dato a livello di background musicale per la composizione di questo lavoro.
Adesso mi godo il tramonto.

Voto 8,5/10
Nosound - Scintilla
Kscope
Uscita 02.09.2016

lunedì 5 settembre 2016

MONO INC - Symphonies of Pain: con gli occhi dipinti di nero

(Recensione di Symphonies of Pain dei MONO INC)


I posti di confine sono sempre affascinanti. Hanno la particolarità di essere tutto e nulla allo stesso tempo diventando una realtà unica. Hanno quella equidistanza che consente di guardare tutto da una prospettiva unica conoscendo pregi e difetti di quello che c'è intorno.

Quest'oggi per prima volta vi parlerò di un "best of", una categoria di disco che si ama o si odia. Lo faccio perché è la possibilità di parlare dei 15 anni e passa di carriera dei tedeschi MONO INC. A fine mese uscirà Symphonies of Pain, disco doppio che è una compilation dei maggiori successi della band. E' una finestra aperta alla quale ci si può affacciare per conoscere la musica dei teutonici.



Parlavo, nell'introduzione, dei posti di confine perché quello è il paragone più valido che mi viene in mente pensando alla musica dei MONO INC. Sono gotici senza esagerare quest'aspetto, sono alternativi senza abbracciare l'indie, sono figli di quel versante rock melodico di facile ascolto, ricordano, per certi aspetti, la parte sinfonica di certi gruppi power metal, hanno certi aspetti che fanno venire in mente la new wave. A completare questo quadro bisogna aggiungere un'altra cosa: sono coerenti. Nel corso di 15 anni molte cose possono cambiare, invece questo Symphonies of Pain è un disco molto lineare dove non si sentono tracce importanti del passaggio del tempo. Il problema è che, date queste circostanze, 24 canzoni sono troppe e l'ascolto necessita di copi di scena che in questo disco è difficile trovare. Sarebbe, forse, stato meglio stringere la scelta ad una decina di brani e il risultato finale sarebbe stato di grande impatto. 



Naturalmente questo blog è personale e quello che scrivo è quello che sono. E', pertanto, logico che chi ama i MONO INC sarà molto entusiasta di questo disco. Per chi non conosce il quartetto tedesco posso dire che la loro forza sta nell'immediatezza del loro messaggio, nella costruzione melodica delle linee vocali che rimangono aggrappate alla testa dell'ascoltatore. Non è assolutamente sbagliato, dunque, affermare che il loro punto di partenza è il pop ma come loro stessi spiegano le loro canzoni cercano di essere le collone sonore delle proprie vite ed in modo spontaneo si tingono di tonalità minore e di tematiche gotiche. Si apprezza tanto la loro onestà perché la band non eccede mai. Sa cosa fare e come farlo. Dunque se amate le canzoni con le classiche strutture strofa-ritornello questa è la band che fa per voi.



Symphonies of Pain è un disco che racconta molto bene l'essenza dei MONO INC. E' una compilation di brani che funzionano molto bene e che sanno arrivare all'ascoltatore senza richiedere uno sforzo importante di concentrazione. Sono dei brani assolutamente radiofonici stando a quello che ci hanno abituato ad essere radiofonico. Le due critiche forte, però, che mi sento di fare, e che ho già enunciato prima, stanno: uno, nell'eccessiva durata dell'album. 24 tracce sono troppe quando ci sono tanti aspetti simili tra tutte le canzoni. Due, e questa è una considerazione assolutamente personale, nella mancanza di elementi di rottura, di aspetti che stravolgano la musica. Quell'equidistanza della quale vi ho parlato prima è un arma di doppio taglio, permette, da una parte, che il gruppo passeggi senza problemi su quel confine, ma, nello stesso tempo, non riesce a sbilanciare l giudizio. Ci sono tanti elementi, molto bene equilibrati ma servirebbe una maggiore predominanza di una delle caratteristiche. Forse di quella gotica, che sembra essere quella preferita dalla band. Sarebbe molto bello vedere una maggiore cattiveria, un avvicinarsi a gruppi come Sister of Mercy. Chissà se questa compilation sia la chiusura di un periodo musicale storico della band e nel futuro ci regaleranno quella cattiveria in più.

Voto 7/10
MONO INC - Symphonies of Pain
Oblivion/SPV
Uscita 30.09.2016

sabato 3 settembre 2016

Seven Impale - Contrapasso: Salire abbordo ad una macchina del tempo impazzita

(Recensione di Contrapasso degli Seven Impale)


Quante volte si sente dire che qualcuno è nato nell'epoca sbagliata, che non è fatto per i tempi presenti? Quante persone sentono di poter dire che avrebbero preferito nascere in altre epoche e vivere certi eventi passati? Nella musica è la stessa cosa. Tanti gruppi sembrano catapultati in un'epoca che non è veramente quella che traspare dalle loro proprie composizioni. Poi ci sono altri gruppi che hanno un appetito così vasto da essersi divorati tutto il passato musicale di diversi generi, usandolo, poi, al proprio piacimento nelle loro canzoni. Personalmente i "nostalgici" mi danno fastidio perché considero che siamo figli dei nostri tempi. I secondi, invece, mi affascinano perché mi fanno capire di essere di fronte a persone intelligenti che sanno costruire prospettive future partendo dal passato. E' con infinita gioia, dunque, che oggi mi imbatto in un disco del genere e del quale cercherò di farvi arrivare l'essenza. 

L'esordio nel mondo musicale dei norvegesi Seven Impale fu così positivo che il loro disco del 2014, City of the Sun, fu considerato dall'autorevole sito Progarchives.com il settimo miglior disco di quell'anno. Alla distanza di due anni è un piacere accogliere ed ascoltare il loro secondo lavoro: Contrapasso. Mi sbilancio subito affermando che questo nuovo lavoro merita un ranking uguale o superiore di quello del disco anteriore. Il perché si cella nell'insieme di elementi che la band norvegese mette in gioco dando nascita ad una creatura senza uguali. Il punto di partenza è il prog di scuola anni 70 ma le contaminazioni provenienti da diversi generi diversi fanno sì che questo nuovo disco sia assolutamente attuale. Ascoltando le nove tracce che costruiscono questo Contrapasso non c'è dubbio alcuno, questo è un disco del 2016. E' un disco con un'impronta avanguardista che interpreta questa caratteristica in modo diverso a come viene interpretata da tanti altri gruppi. Non c'è una spinta estremista ma bensì una volontà celata nella musica della band.



Ascoltando Contrapasso i paragoni con diversi gruppi esistenti vengono spontanei ma con due aspetti assolutamente nuovi. Il primo è che quei paragoni si adiscono a certi passaggi e non ad interi brani portando l'ascoltatore a "ricordare" certe band in momenti molto precisi. Il secondo è che questi gruppi appartengono a diverse epoche musicali rafforzando quel concetto che tanto ci è caro: costruire dal passato per conquistare il futuro. 
La band si paragona volutamente con due mostri sacri della storia della musica: i Van der Graaf Generator e i King Crimson, e aggiungono altri due nomi attuali: quelli  dei Tool e dei Meshuggah, per spiegare da dove vanno a pescare le strutture ritmiche delle loro composizioni. L'elenco di band che confinano con i Seven Impale può accrescere perché, aggiungo io, a tratti ricordano l'avanguardia dei loro compagni d'etichetta discografica dei Virus; in altri momenti ci portano in mente il prog dei tedeschi Dark Suns e, ancora, i giochi ritmici e la presenza dei fiati possono anche ricordare i nostrani Zu.

L'aspetto fondamentale dietro alla musica di Contrapasso è la complessità intesa come la costruzione di una trama che si sviluppa sia a piani paralleli che in linee orizzontali. Musicalmente il connubio passato/futuro o antico/moderno è giostrato magistralmente e in modo sorprendente. La musica dei Seven Impale è un viaggio dentro a una macchina del tempo impazzita, che in un istante di progetta nel passato per poi ritrovarti nell'avvenire. Questo è il punto nevralgico principale e che regala l'originalità della band. Qua non si parla di influenze o di rimembranze ma di un ventaglio di carte così numeroso che permette di pescare sempre la mossa vincente e sorprendente. Dalle sonorità che ricordano Red dei King Crimson veniamo catapultati alla musica di Miles Davis per poi scoprire riff di chitarra pieni di cattiveria in stile Messhuggah. Fondamentale è il ruolo di due strumenti. Il saxofono e il riparto di tastiere (synth, rhodes ed organo). Quello del sax perché è l'elemento che contamina di jazz il rock progressivo della band, anche se l'aggiunta di tutta una serie di effetti sullo strumento di fiato da quella lettura moderna stile Zu. Invece, per quanto riguarda i diversi tipi di tastiera, abbiamo gli aspetti più sorprendenti. L'organo e il rhodes ci portano ai suoni anni 70, i synth ci progettano nel futuro. Il resto della band, due chitarre, basso e batteria, sono altrettanto brillanti ma volutamente non spiccano come il resto. Per finire questo veloce analisi musicali bisogna sottolineare la versatilità della voce che regala registri e modi di cantare molto diversi e sempre ben riusciti. 



Sebbene questo è un disco che va ascoltato per intero mi azzardo a consigliarvi due brani. Il primo è la traccia che apre il disco: Lemma. Forse quella più cattiva, intensa ed avvolgente. Trascinante col suo ritmo instancabile e brillantemente arrangiata.
L'altro brano è Convulsion. Un ottimo esempio dell'interpretazione moderna del progressive metal. Ricco di stacchi ritmici piacevolissimi, cantato con una voce moderna. E' sorprendente ed inatteso.
Sottolineo però che tutto il disco è ad un livello altissimo senza che ci siano brani "pigri".



Contrapasso è un disco prezioso che riuscirà ad accattivare un'ampia gamma di ascoltatori, perché veramente né ha per tutti. E' classico essendo contemporaneamente avanguardista. E' complesso essendo diretto. Ma la cosa principale è che è assolutamente divertente. E' un disco che si mangia con appetito riempiendo le nostre orecchie con bontà.
Ottimo lavoro.

Voto 9/10
Seven Impale - Contrapasso
Karisma Records
Uscita 16.09.2016