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domenica 21 ottobre 2018

Wang Wen - Invisible City: come si colora qualcosa d'invisibile?

(Recensione di Invisible City dei Wang Wen)


La nostra Terra è un essere vivo e noi umani, generazione dopo generazione, siamo delle specie di cellule che alimentano o distruggono. Per quello è indubbio che in qualsiasi nazione, in qualsiasi città, in qualsiasi paese, la cosa fondamentale sia quella di prendersene cura delle generazioni giovani. Perché sono loro quelli che tramandarono i corretti insegnamenti, saranno loro a tenere in salute il pianeta o a distruggerlo sempre di più. E, alla loro volta, ripeteranno l'insegnamenti ai giovani del futuro. L'educazione è tutto, è la frontiera tra un fallimento e un trionfo, tra la perseveranza della memoria e la superficialità dell'amnesia. 

Tutto mondo è paese. Così si suol dire e a quanto sembra è veramente così. Possiamo avere differenza culturali ma certi aspetti rimangono sempre immutati. Per quello l'ascolto di Invisible City, dei cinesi Wang Wen, dei quali mi occupai qualche tempo fa col loro disco precedente, Sweet Home, Go!, ha la magia di diventare trasversale e di unificare le realtà concrete di tanti paesi. Non importa che la Cina sia il gigante della terra, non importa che la loro economia fiorisca e cresca sempre di più. Certi problemi sono comuni a loro come possono esserlo a un piccolo paese sperduto nel centro dell'Europa o di una città ormai decadente del Sud-america. 
Da dove viene fuori questa affermazione? Dal fatto che come la band stessa dichiara, questo nuovo lavoro risponde alla triste realtà della loro città nativa, Dalian, città del nord della Cina che anche contando con più di sei milioni di abitanti vede come intere generazioni di giovani vadano via a cercare migliori prospettive economiche. In questo modo la città popolosa si trasforma in una città fantasma. Ma come dimostrano i brani contenuti in questo lavoro questo è un disco di speranza, un disco che pretende dare nuovo colore alla città in modo che sia apprezzata da tutti.

Invisible City

I Wang Wen hanno una grande capacità, ed è quella di essere assolutamente globali. Sicuramente aiuta molto il fatto che la loro scelta musicale sia quella del post rock, cioè creazioni strumentali che non lasciano alcuno spazio alla presenza vocale. Chi ascolterà, o ha già ascoltato Invisible City, sarà d'accordo che quello che si ascolta in questo disco potrebbe provenire da qualsiasi angolo del mondo. Ed è qui che voglio soffermarmi un po', perché dal mio punto di vista non è assolutamente semplice o scontato che sia così. In queste note, intrecciate meravigliosamente, non c'è uno sforzo "patriotico" ma bensì l'individuazione di quello che è la parte midollare, cioè il fatto che una città è viva e visibile grazie alla nuova linfa delle generazioni giovani. Perché le città sono creature viventi, sono essere che mutano, che cambiano pelle, che migliorano o peggiorano, che accolgono o rigettano, che affascinano o inorridiscono. Per quello abbiamo centinaia di esempi di città che hanno saputo reinventarsi regalando un nuovo fascino nascosto. Per quello questo disco è un disco di speranza, un invito a osare, a convincersi che quella città può essere la tua propria casa.

Invisible City ci pone una domanda fondamentale: come si colora qualcosa d'invisibile? La riposta dei Wang Wen è bellissima: con la musica. E quali sono i colori che riempiono l'aria? Quelli globali, quelli dell'appartenenza locale ma anche quella degli angoli più remoti del mondo. Per quello questo disco è per tutti, per quello è bello, per quello ascoltarlo fa bene, perché ci sono molte più città invisibili da quanto crediamo.

Wang Wen

Come faccio ogni tanto non credo che sia corretto limitarsi all'ascolto di poche tracce ma questo lavoro merita di essere inglobato nella sua totalità, ma prendo quello che per me rappresenta i momenti salenti.
Lost in Train Station. Brano volutamente confusionario che prende come riferimento una stazione di treni, che può essere caotica, crudele, malfamata, stressante. La via di fuga ma anche di un ritorno non sempre desiderato. L'emozione di un addio, le lacrime di una madre che vede partire il proprio figlio. Per quello perdersi in quella condizione diventa un'esperienza ancora più forte e devastante.
Silenced Dalian. Non c'è alcun dubbio sul fatto che questo disco abbia come musa la città di Dalian ma molto probabilmente è in questo brano che quest'amore diventa ancora più diretto. E non c'è nulla di peggio di vedere che il tuo proprio amore non è più quello che era e adesso vaga silenzioso ricordando tempi migliori. Per quello questo brano è nostalgico per poi diventare rumoroso, perché s'impone di riempire gli spazi vuoti. L'iniziativa è un bocciolo se è giusta ed indubbiamente Dalian si riempirà di fiori.


Invisible City è una dichiarazione d'amore verso la propria città. Ma è anche una proposta, una nuova via, un invito a far circolare nuovo sangue per rendere migliore quello che esiste adesso. Quello che Wang Wen cercano non è soltanto comunicare, solo con la musica, la loro realtà, ma anche essere una pietra miliare per creare una nuova corrente, e chi lo sa, forse tra qualche anno sentiremmo parlare di Dalian in un modo luminoso.

Voto 9/10
Wang Wen - Invisible City
Pelagic Records
Uscita 28.09.2018

mercoledì 19 ottobre 2016

Wang Wen - Sweet Home, Go! E l'oriente che ci apre gli occhi, di nuovo

(Recensione di Sweet Home, Go! dei Wang Wen)


L'Oriente. Posto magico e misterioso per chi, come me, ha passato tutta la sua vita nell'occidente. L'Oriente che è legato, soprattutto, ad un'idea di vita diversa, ad una profonda filosofia spirituale che porta a guardare il mondo con altri occhi. L'Oriente, che è sinonimo di disciplina, di lavoratori instancabili. L'Oriente che vorrebbe, per certi versi, essere più simile all'occidente e l'occidente che lascia la porta aperta all'Oriente.

Per la prima volta, oggi vi parlo di una band cinese, i Wang Wen, e del loro nono album intitolato Sweet Home, Go! La curiosità che avevo appena mi è arrivata la copia di questo disco era grande perché non capita spesso di sentire un gruppo post rock di quelle latitudini ed in tutta onestà riconosco che fino a poco non sapevo proprio della loro esistenza e della loro fiorita carriera. Ed è stato un vero peccato perché questo Sweet Home, Go! è un disco pregevolissimo che equipara questa band cinese con tanti nomi sacri di questo genere regalandoci, anche, il loro tocco personale. Chiama l'attenzione, infatti, la grande versatilità che si trova in quest'album, in parte grazie all'aiuto di una serie di strumenti "off-rock". Corde e fiati intervengono in punti mirati ingrandendo il discorso musicale intrapreso dalla band cinese. E se a questo aggiungiamo altri interventi sonori elettronici "rubati" alla drone music possiamo completare il quadro di questo lavoro.



L'aspetto più interessanti di questo disco è quello degli incontri tra mondi diversi. L'orientalismo dei Wang Wen ha ritrovato l'occidentalismo di due produttori europei che, stando alle informazioni che ho su questo lavoro, hanno dato chiarezza alla voglia di sperimentazione della band. Non solo, il gruppo narra che il processo compositivo aveva in mente un'altra contraddizione fondamentale: quella del modernismo. L'idea di riuscir ad essere facilmente collegati con tutto il mondo, di riuscir a stabilire relazioni multiculturali ma, nello stesso tempo, la povertà di relazioni "vere" e "tangibili". Un altro aspetto sottolineato dalla band è il valore diverso del tempo dove qualcosa che è appena nato sembra, subito dopo, superato. Sweet Home, Go! è magnificente perché manifesta una grande voglia di trattare, musicalmente, queste tematiche. E ci riesce, molto bene aggiungo. Ci riesce perché la band cinese è perfettamente in grado di prendere il ruolo essenziale del post rock, cioè quello di essere un genere fondamentalmente evocativo, e costruisce delle canzoni che diventano dei veri e propri racconti pieni di colpi di scena e di transizioni emotive che spiegano perfettamente come si passa dall'essere ammagliati da qualcosa a capire che, in realtà tutto è superficiale e basta.

Musicalmente bisogna ribadire che il punto di partenza è quello del post rock ma i Wang Wen dimostrano un vorace appetito musicale che si traduce nell'aggiunta di elementi musicali di altri generi come il rock sperimentale, il drone, l'ambient, il post metal e l'elettronica con sfumature di trip hop. Un insieme molto particolare che li avvicina ed allontana contemporaneamente a tanti gruppi. Per giustificare questo monumentale compendio di elementi c'è solo il lavoro evocativo che utilizza il registro migliore che serva a descrivere quello che si vuole raccontare senza parole.



Children's Place è un esempio perfetto. E' un brano che inizia con una base elettronica che profuma di trip hop per poi addentrarsi in pieno dentro ad un discorso post rock che, successivamente, si contamina d'elettronica per finire con la grinta del post metal. E' bella come un rifugio segreto di un gruppo di bambini ma è anche misteriosa come lo è la curiosità che spinge i bimbi a voler sapere e conoscere. 
Heart of the Ocean è un'altra traccia molto interessante. Inizia con un base drone sulla quale un pianoforte si diverte a buttare giù delle melodie malinconiche che danno il via al vero sviluppo del brano, vasto quanto è vasto l'oceano.



Sweet Home, Go! è un perfetto riflesso dei nostri tempi. E' globale ed è contaminato. Sono due culture, l'orientale e l'occidentale, che si cercano, si prendono per mano e si respingono. E' la tecnologia che fa diventare tutto semplice e alla portata di ognuno ma che ha tolto il valore a qualsiasi cosa. Ormai tutto è passeggero nell'era dell'usa e getta. La bravura dei Wang Wen sta nel narrare musicalmente tutto quello ma anche il momento successivo, cioè quello della solitudine e delle riflessioni. E' allora che capiamo che non siamo mai stati così collegati col mondo e, nello stesso momento, così soli. Ancora un'altra volta dobbiamo ascoltare l'Oriente.

Voto 8,5/10
Wang Wen - Sweet Home, Go!
Pelagic Records
Uscita 30.09.2016