sabato 30 settembre 2017

Antarktis - Ildlaante: quella gelida sicurezza invidiabile

(Recensione di Ildlaante degli Antarktis)


Qualche volta la voglia di dar vita a nuovi brani è così grande che non basta con avere un solo progetto in piedi. La esistenza dei side project ha sempre risposto ad una volontà di avere delle dinamiche diverse sulle quali esprimersi, lasciando da parte quello che la strada principale delineata dalla band primordiale. C'è anche la voglia di aver a che fare con nuovi musicisti che possono regalare delle sfumature diverse dando così vita a brani che sarebbero impossibili da concepire nella band principale. Personalmente sono un grande sostenitore di questa tipologie di progetti perché molto spesso fanno venire fuori dei grandissimi lavori, come se questa rinnovata libertà si riempisse d'energia.

Gli Antarktis sono principalmente il side project di due musicisti della band svedese In Mourning, della quale vi parlai più di un annetto fa grazie al loro disco Afterglow (la recensione è qui). Per quello diventa abbastanza semplice dover riflettere su quello che c'è in più o in meno in ciascuno di questi due gruppi. La differenza principale sta in quello che muove la musica di ciascuno dei questi progetti, nel caso della band principale un progressive death metal, invece nel caso del disco del quale vi parlo quest'oggi, Ildlaante, è il post metal. Due mondi che possono avere dei punti in comune, e che, obiettivamente, non sono due universi separati, ma lo stesso c'è una partenza diversa dietro a queste due idee. Potrei dire che il discorso degli Antarktis è più moderno perché appartiene ad un genere che sembra avere tanto da dire ancora. E questo mi piace parecchio, perché Ildlaante è un disco solidissimo che denota che la giovane esistenza di questa band non fa trasparire una timidezza sonora. Questo è un disco contundente, divertente, intenso. Un disco che porta subito alla mente band come i Cult of Luna o i Rosetta, vale a dire un post metal trascinante e molto molto interessante.

Ildlaante

Ildlaante è un lavoro costituito da sei tracce che si agiranno intorno ai nove minuti ciascuna. Ed è questa monumentalità costruttiva quella che arriva all'ascoltatore, questo senso di avere un disco solido che non presenta alcuna crepa, un disco che riprende tutti il diktat di questo genere musicale. Gli Antarktis combinano riff pesantissimi di chitarra con ritmiche sostenute, parti che si susseguono in loop per poi venire brutalmente interrotte da un'anima ancora più pesante. Questo è un disco freddo, quasi ghiacciale come vuole il nome della band. E' un disco che non corre alcun rischio, che viaggia su binari sicuri affidandosi ad una voce perfetta dentro agli standard voluti dal post metal. Per lo tanto non abbiamo stravolgimenti, non abbiamo proposte così nuove da essere illuminanti ma abbiamo una nuova pietra sulla quale piano piano si erige uno dei modi di fare metal più interessanti dal mio punto di vista. 

Ildlaante

Ildlaante sa di vento gelido, sa di quella sicurezza imposta di chi vive in posti ingovernabili. Sa della disciplina interna che si deve avere perché tutto funzioni bene, perché il minimo errore può essere fatale. Come si traduce in musica tutto ciò? Nel modo nel quale viene costruito questo disco degli Antarktis. Paradossalmente sembra di stare di fronte ad un copione imparato a memoria e ripetuto quasi senza pensarci ma è proprio grazie alla sicurezza che c'è dietro che questo accadde. Questo non è un disco di fragilità, non è uno di quei dischi che possono avere centinaia d'interpretazioni, non è un disco "cosmico". Questo è un lavoro contundente dalla prima fino all'ultima nota e per quello ha tutte le caratteristiche per diventare una di quelle opere da citare quando si vuole illustrare che cos'è un determinato genere musicale, in questo caso il post metal.

Antarktis

Prendo i due estremi del disco per illustrarvi meglio il mio discorso.
Aurora apre questo disco, ed è un'alba di quelle che si attendono con furia. E' il primo sole dopo una lunghissima notte oscura e gelida. Potrebbe perfettamente sembrare un brano dei Cult of Luna o degli Isis, perché ha tutti gli elementi che hanno reso celebri quelle due band. Una costruzione che si basa sul susseguirsi di diversi loop, una capacità di aggiungere "layers" alla loro musica, una dinamicità fatta di parti suonate con diverse intenzioni e per finire un crescendo emotivo che arriva ad un climax. Brano prezioso.
Cape Meteor Pt. 2 è invece il brano di chiusura di questo meraviglioso album. E' quella che potremmo chiamare la traccia "diversa" dove si lascia spazio ad una lunghissima parte strumentale atmosferica. E' il giaccio che si scioglie, e il vento carico di neve e il suono che crea nel suo lungo percorso. Un brano visivo, che ti mostra quello che ti racconta. Ma quanto più dentro si sta più diventa effettiva la coda del brano, dove tutto esplode, dove il vulcano esplode, dove tutto quello che era teso in attesa di un evento magnificente cade e si trascina dentro a qualcosa che non può avere alcuna opposizione. Intenso.


Io spero che anche se gli Antarktis siano a tutti gli effetti un side project riescano a regalarci parecchi dischi, perché le loro caratteristiche sono all'altezza delle principali band del post metal ed il materiale di quel genere è sempre poco. Ildlaante, per me, si guadagna di diritto un posto dentro alle novità più interessanti che questo 2017 ci ha lasciato. Ascoltatelo, merita parecchio. 

Voto 8,5/10
Antarktis - Ildlaante
Agonia Records
Uscita 06.10.2017

venerdì 29 settembre 2017

Necrovorous - Plains of Decay: non tramontare mai ma vivere sempre nelle tenebre

(Recensione di Plains of Decay dei Necrovorous)


C'è qualcosa di molto interessante quando si decide di fare musica propria ed è il fatto che l'interfacciarsi con altre persone finisca per dare una linea di definizione dentro quello che è il genere che si sceglie di fare. In un certo modo questa scelta dovrebbe essere molto naturale perché dovrebbe rispecchiare le preferenze musicali della maggioranza dei componenti del gruppo o di chi è più portato alla parte compositiva. Per esperienza so che quando ci si ritrova a suonare qualcosa che non piace fino ad un certo punto il tempo diventa sprecato, per quello è buona prassi essere quanto più in sintonia con la scelta di gruppo. Ma quello che è molto interessante è che l'universo di scelte è pressoché infinito, per quello viene sempre da chiedersi perché una band ha scelto un genere piuttosto di un altro.

E' quello che succede con i greci Necrovorous. Il loro sound è assolutamente death metal e potrebbero perfettamente essere una band esistita una ventina d'anni fa. Il loro disco Plains of Decay è il secondo full-lenght in una carriera che va oltre i dodici anni e vede la luce dopo sei anni dal loro primo disco lungo. 
Nella mia scelta di recensire o meno un album entrano in gioco diversi fattori, che sono anche mutevoli nel tempo. Uno di questi fattori è quello che chiamerei "nostalgico", cioè la capacità di certi lavori di riportarmi indietro nel tempo ad altri esempi sonori. Questa è la motivazione che mi porta a parlarvi di questo disco. Nella mia adolescenza il ventaglio di generi che si aprivano d'avanti ai miei occhi era sempre più ricco ed era fondamentale per me riuscir a scegliere quello che più mi rispecchiava, ma sin da giovane ho avuto la fortuna di pescare sempre da quanti più punti possibili. Per quello ho un debole per i primi, grezzi, lavori dei Sepultura e per quello le sonorità che ritrovo in questo disco non mi sono nuove.

Plains of Decay

Chi legge questo blog e questo post però non sarà tanto interessato a quello che posso aver vissuto o a quello che mi ha portato a recensire questo disco. Penso che tu, oh caro lettore, abbia voglia di sapere cosa puoi trovare in questo Plains of Decay. Per quello cerco di distogliermi la nostalgia e vado ad illustrare com'è questo nuovo lavoro dei Necrovorous. La band molto apertamente dichiara di provare piacere ed influenze nel death metal e nel grindcore ma se qualcosa si sente più di null'altro è il primo mondo musicale. Questo disco ha la classica grinta ruvida del death metal, ha quel modo di essere tagliente e radicale, di nutrire i propri brani di un contundente insieme che non ha mai pause o respiri. Per quello credo che questo lavoro compia perfettamente con tutti i presupposti che hanno dettato le caratteristiche di questo genere. Per lo tanto, a chi potrà piacere questo disco? Senz'altro a tutti gli amanti del metal estremo, in particolare modo a quelli che amano le sonorità classiche.

Plains of Decay

Ma il paradosso principale di questo Plains of Decay è che, anche se ha una sonorità molto classica, non suona antico. Forse è la magia di certi generi, che non tramontano mai. Leggevo recentemente di qualche rivista specializzata che definiva il metal come "l'improbabile colonna sonora dei nostri tempi". Forse questa è una grande verità e per quello questo lavoro dei Necrovorous entra nello spettro di dischi che suonano attuali al di là delle scelte sonore.

Necrovorous

Credo che c'è un brano in particolare che serve per capire com'è questo disco e rafforzare tutto il discorso fatto prima.
Il brano in questione è Psychedelic Tribe of Doom e già dal titolo ci indica che le tematiche non sono collegate a cose odierne ma diventano figlie di un immaginario apocalittico, che in realtà potrebbe sembrare molto attuale. In questo brano ci sono tutte le caratteristiche del death metal e diventa una composizione molto ben fatta.


Non so se Plains of Decay sarà un disco che cercherò ripetutamente ma sono sicuro di qualcosa, quando avrò voglia di creare un ponte temporale tra quello che sono stato e quello che sono adesso so che posso perfettamente andare ad ascoltare la musica dei Necrovorous e questo non è qualcosa che succede molto spesso.

Voto 7/10
Necrovorous - Plains of Decay
Dark Descent Records
Uscita 29.09.2017

giovedì 28 settembre 2017

Thyrgrim - Vermächtnis: black metal emotivo

(Recensione di Vermächtnis dei Thyrgrim)


Uno dei dibattiti che vanno sempre alla lunga nel campo musicale è quello che fa riferimento al scegliere concetti semplici o complessi. Questo può accadere sia a livello musicale, con composizioni molto asciutte o invece molto strutturate, ma anche a livello di parole, scegliendo di affidarsi ad una serie di metafore e parafrasi o, invece, dicendo quanto più direttamente possibile quello che si vuole trasmettere. Generalmente queste scelte stabiliscono la differenza tra generi e le caratteristiche proprie che ciascuno ha, per quello è interessante quando nascono delle band che vanno un po' controcorrente utilizzando altri modi di fare di quelli soliti.

Il sesto album dei tedeschi Thyrgrim è un nuovo passo nella direzione da loro sempre auspicata. Immerso dentro al mondo del black metal Vermächtnis è un lavoro che cerca una concretezza tangibile dentro ai contenuti, tralasciando la forma e dedicandosi quasi esclusivamente al fondo. MI spiego meglio. La band sostiene che non sia necessario travestire le proprie creazioni con simbologie blasfeme o pagane ma che basta andare in fondo a quello che motiva le loro composizioni. Per quello la forma, al di là della scelta del genere da suonare, non viene praticamente presa in considerazione. In questo disco non si celano messaggi nascosti sull'adorazione di demoni, non si incita al credo di certe creature o quant'altro. E allora qual è questo fondo che porta il gruppo a comporre? I sentimenti umani, quelli negativi. Dentro alla loro musica troviamo dei brani che parlano di tristezza, di rabbia, di odio, di vuoto, vale a dire sensazioni primordiali che ci attraversano in diverso grado ed in diversi momenti. Capire il perché di questa scelta non è qualcosa di scontato, bisognerebbe chiederlo direttamente alla band, ma ipotizzo, come capita spesso, che il loro sia un modo di esorcizzare questi sentimenti. Molto meglio chiudersi in una sala prove per due ore e buttare tutte le energie negative cumulate piuttosto di rischiare di esplodere improvvisamente con conseguenze molto più gravi. Insomma, la musica diventa una terapia super effettiva!

Vermächtnis

Dicevo che la musica che troviamo in questo Vermächtnis è black metal ma oramai è riduttivo soffermarsi a questa definizione, nel senso che anche in questo genere c'è una moltitudine di vie che sono state percorse e che saranno percorse. Nel caso dei Thyrgrim potrei dire che il loro black metal sa molto di old school, anche a livello sonoro, come se anche musicalmente ci fosse il bisogno di essere quanto più crudi e diretti possibili. Ma dentro a questo modo di fare musica bisogna dire che ci sono lo stesso dei momenti che rappresentano dei nuovi elementi da aggiungere a questo genere. Questo perché ci sono dei brani molto ben riusciti dove s'intravede, dal mio punto di vista, questa volontà di basarsi di più su sensazioni primordiali invece di nascondersi dietro a provocazioni simboliche. Come se la capacità di parlare a cuore aperto fosse molto più facilmente capibile e condivisibile. 

Vermächtnis

Il black metal è uno dei generi ad essere diventato mitologico. I racconti delle guerre interne tra gruppi norvegesi, dei crimini commessi e delle vittime che sono venute fuori da questa specie di conflitto qualche volta attraversano il reale per diventare delle leggende metropolitane. Per quello chi sceglie di fare musica in questo genere deve misurarsi, forse più di chiunque altro, con dei preconcetti molto forti. Se fai black metal fai dei sacrifici di animali, bruci chiese ed adori Satana. Per quello credo che dischi come Vermächtnis siano molto importanti. Perché dimostrano che la musica non è, e non sarà mai, il veicolo di certe filosofie di vita o di pensieri politico-religiosi. La musica è patrimonio di tutti e ciascuno deve raccontare quello che vuole scegliendo il modo migliore per farlo. Il coraggio dei Thyrgrim è degno d'applauso.

Thyrgrim

Come ho detto prima questo disco ha dei momenti dove, dal mio punto di vista, il legame con l'ascoltatore diventa molto più solido e diretto, dando nascita a dei momenti molto emotivi. Questi momenti sono presenti soprattutto in questi brani:
Die ewige Suche. L'alternanza tra parte acustiche ed elettriche risponde molto fedelmente a quel gioco di dinamiche che diventa molto effettivo. Questo brano sembra molto più sentito, come se non ci fosse bisogno di "recitare" ma si potesse lasciar scorrere quello che si ha dentro.
Gefanden im Wandel. E' curioso perché questo brano potrebbe perfettamente sembrare un brano di blackgaze, infatti le chitarre richiamano tantissimo quel genere. Ma la spiegazione diventa abbastanza semplice. Il blackgaze nasce dall'unione di shoegaze e black metal, per quello questo brano ricorda quello che succedeva prima della nascita di quel genere. E' come se avessimo fatto un viaggio indietro nel tempo.


Vermächtnis è un disco onesto come voluto dai Thyrgrim. Personalmente mi piace molto quando la band si spinge di più nella propria ricerca emotiva e riesce a trasmettere maggiormente quella sensazione. Forse sarebbe interessante approfondire ulteriormente quella linea aprendosi ad altre sonorità come il blackgaze. In tutti i casi abbiamo una validissima dimostrazione di come si lavora con la musica distogliendosi gli schemi primordiali.

Voto 7,5/10
Thyrgrim - Vermächtnis
Trollzorn
Uscita 29.09.2017

martedì 26 settembre 2017

Leprous - Malina : con la dea del Sole affianco

(Recensione di Malina dei Leprous)


Un esercizio inevitabile quando si ha a che fare con un gruppo che ha registrato diversi dischi è quello di selezionare un lavoro come quello preferito e mettere a confronto tutti gli altri per capire se sono alla stessa altezza o meno. In un certo modo si tende ad avere una certa uniformità di gusti tra i fans, che molto spesso prediligono apertamente un'opera su tutte le altre, ma com'è privilegio delle arti, ciascuno può rispecchiarsi al meglio in un disco piuttosto di un altro. Forse il lavoro più approfondito che vale la pena fare sempre è quello di cercare di capire ogni disco fino in fondo.

I Leprous da qualche anno a questa parte non sono più uno dei tanti gruppi emergenti della nuova ondata di proposte progressive metal. Grazie ai loro anteriori due dischi, Coal e The Congregation, sono passati da essere una nuova voce a diventare dei veri e propri protagonisti di questo mondo musicale. Questa affermazione non è minore, perché per riuscire a fare qualcosa del genere ci vuole impegno, qualità e personalità. Senz'altro per tutto questo c'era molta attesa di ascoltare questo Malina, che significa il quinto capitolo di dischi in studio della band.
La prima cosa da dire su questo nuovo lavoro è che i Leprous sono sempre i Leprous. Le caratteristiche principali che definivano la loro musica sono sempre presenti. Il modo di costruire dei dischi progressivi ma assolutamente usufruibili nello stesso tempo. Lavori con una grandissima componente melodica, con interessantissime armonie vocali, con sorprendenti stacchi ritmici fatti come nessun altro gruppo sa fare. E poi quell'insieme moderno tra tastiere protagoniste con un registro che si allontana dai canoni più classici del mondo progressivo e il lavoro dei restanti strumenti. Nulla di tutto questo è stato abbandonato in questo Malina. C'è sempre quella freschezza compositiva che sorprende, c'è sempre quella costruzione di brani lunghi che scorrono sicuri. Insomma nessun stravolgimento al copione che ormai conosciamo molto bene.

Malina

Ma c'è altro. Malina è un disco che si assomiglia molto ai suoi precedenti ma è anche un disco che si distacca da quei lavori. Il perché si racchiude in un solo concetto: Malina è un disco morbido. Se vi aspettate momenti prorompenti e grintosi scordatevi di ascoltare questo disco. I Leprous hanno fatto un disco che non diventa mai sporco, che non confina più con quel black metal tecnico dal quale ogni tanto andavano a bere. A questo punto entra in gioco la soggettività, il gusto di ritrovarsi o meno in quello che viene suonato, la possibilità di scegliere quale via piace di più. Penso che chi legge questo blog cerca quanta più oggettività possibile, cosa sempre difficile, ma per quello io non esprimerò assolutamente la mia opinione su quale mondo sonoro preferisco. Dirò soltanto che questo nuovo disco continua a regalarci gli elementi che hanno fatto diventare i Leprous una band di tutto rispetto. 

Malina

Malina è la dea del Sole degli Inuit. Non diventa, dunque, un caso che i Leprous abbiano scelto proprio questo titolo per quello che potremmo chiamare il loro disco più luminoso fino ad oggi. In questo disco c'è tanta luce ma ci si gioca nel modo che la band ha imparato a fare. La luce non è mai eccessiva, è sempre misurata, giusta. Questo è un disco che riscalda ma lo fa in infiniti modi, capendo che ci sono mille vie da percorrere per riuscire a restituire questa sensazione all'ascoltatore. E dev'essere proprio lui a decidere se sente o meno la mancanza delle ombre presenti negli altri lavori del gruppo.

Leprous

Al di là di tutto quello che posso aver scritto fino a questo punto c'è una cosa che è indubbia, questo disco ha dei brani che diventeranno dei classici della band e del loro genere. Qualche esempio lo possiamo trovare in queste tre canzoni.
Bonneville. Credo che una delle cose che hanno sempre fatto benissimo i Leprous è stata quella di sapere aprire i loro dischi al maglio, con brani prorompenti e sorprendenti, brani che facevano assaporare il resto del disco senza andare a toccare alcun eccesso. Anche in questo disco le cose vanno così, anzi, questa è una canzone che sorprende, ancora una volta, per l'incredibile capacità della band di riuscir a portare la propria musica dove vogliono in un modo che difficilmente sarebbe concepibile da altri progetti. Questo brano sembra essere ambientale, tranquillo, misurato ed invece diventa intenso e grintoso come pochi altri momenti di questo disco. Un'altra volta l'apertura è forte e chiara.
Se il disco inizia bene il proseguo non è da meno. Stuck ci presenta uno di quei brani molto suonati al quale ci ha abituato da tempo la band. Chitarre molto presenti, ritmo sostenuto, grande sicurezza tramutata in musica. Ma il vero punto salente di questo brano è il ritornello. E' qua che si capisce l'essenza della musica della band norvegese. Tutto quello che può essere complicato e ricercato musicalmente si trasforma in melodie che rimangono incastrate in testa con una capacità che qualsiasi produttore pop invidierebbe. Ma il brano non si ferma a questo punto, anche se potrebbe perfettamente farlo. E' la coda l'elemento nuovo, non tanto perché sia qualcosa che i Leprous non hanno mai fatto ma è per l'intensità con la quale viene fatta. Gli interventi del violoncello e degli arrangiamenti a corda diventano epici, struggenti e preziosi.
Malina. Il fatto di essere il brano che da titolo al disco fa già capire che si tratta di un brano importante, un po' il "sole" intorno al quale girano tutte le altre canzoni. Per quello l'atmosfera che si costruisce sin da prima è nostalgica, emotiva e molto sentita. Sembra che il lavoro di "dipingere" sia riservato alle tastiere e agli archi, invece la parte più "rock" del gruppo abbia protagonismo quando si tratta di dare quanta più dinamica possibile. Anche questa è una formula già utilizzata dalla band in precedenza.


Tirare le somme di questo Malina è più difficile di quanto sembra. Soprattutto perché è inevitabile che entri in gioco la soggettività. E' come l'amore: lì dove qualcuno lo trova qualcun altro non lo vede affatto. Questo disco ha tutte le sembianze che hanno fatto dei Leprous una band unica, oggi protagonista indiscussa del rock/metal progressivo. Ma questo disco ha altre caratteristiche, come se la persona che ti piace improvvisamente ha cambiato modo di vestirsi. E lì che ognuno deve decidere se questo nuovo modo è migliore o meno. A voi la palla.

Voto 8/10
Leprous - Malina 
Inside Out Music
Uscita 25.08.2017


lunedì 25 settembre 2017

7C - Compartment C: freddo come il sistema

(Recensione di Compartment C dei 7C)


La modernità è delirante. E' un motore che non si ferma mai e che ha bisogno di una maggiore produttività di volta in volta. Purtroppo viviamo così immersi in questa realtà da non rendercene conto di quanto viviamo male. Ci sembra normale che una azienda produca 24 ore al giorno per 7 giorni. Ci sembra normale che i grandi centri commerciali non chiudano mai. Ci sembra normale che i turni di lavori spesso non prevedano delle pause durante settimane. Siamo schiavi di un sistema che ci è stato imposto, schiavi della necessità di guadagnare per poi spendere. Schiavi di quello che abbiamo permesso che accadesse. 

Con Compartment C il trio abruzzese 7C ci regala un'interpretazione strumentale della modernità. Quando si ha a che fare con dischi senza parole, e dunque senza un orientamento più o meno definito, diventa molto ampio il raggio d'interpretazioni di quello che si ascolta, ma credo che in questo caso sia abbastanza semplice andare in un'unica direzione. La musica che troviamo in questo terzo lavoro della band è una musica frenetica, acida, ossessiva, rumorosa. E' un macchinario che non cessa mai il suo movimento proiettando l'ascoltatore in un mondo che non è assolutamente lontano da quello che viviamo di giorno in giorno. Questo è un disco puntuale, nel senso che non sgarra neanche un punto, che diventa così robotico come il nostro mondo. E' un disco pieno di controllo, come siamo permanentemente controllati attraverso le camere di videosorveglianze o attraverso gli smartphone che ormai lasciano una traccia di tutto quello che facciamo, di dove andiamo e quanto tempo rimaniamo in ciascun posto. Ed è un disco freddo, che lascia ben poco spazio a sentimenti ed emozioni. 

Compartment C

Per riuscire a trasformare tutto quanto descritto precedentemente in musica i 7C fanno affidamento ad una qualità strumentale invidiabile. Si sente che non solo siamo di fronte a tre musicisti che conoscono perfettamente i loro strumenti ma vanno anche oltre. In Compartment C c'è spazio alla sperimentazione, alla ricerca sonora di un settaggio che non solo da novità al ruolo di ciascuno degli strumenti ma che sia assolutamente in linea con quello che il disco vuole esprimere. Per quello sembra, ascoltando i brani di questo disco di stare di fronte a molto più di tre "semplici" musicisti ma in realtà è così. Molte cose mi ricordano le improvvisazioni dei King Crimson degli ultimi trent'anni ma con uno sguardo che fissa molto di più il metal. Per quello credo che sia abbastanza corretta la definizione di avant-jazz rock alla quale ci aggiungerei un aspetto di sperimental metal. Inutile dire che se non ci fosse un grande dominio dei propri mezzi un disco come questo sarebbe stato impossibile da concepire. 

Compartment C è un disco che dev'essere letto al di là di quello che potrebbe sembrare il suo messaggio iniziale. Non si tratta soltanto di una specie di colonna sonora dell'industrializzazione moderna, non si tratta soltanto del riflesso di quello che possono essere le grandi metropoli ed i loro ritmi frenetici. Dal mio punto di vista la corretta lettura di questo lavoro dei 7C deve estendersi a tutto quello che viviamo oggi, a quello che sono le proposte di mercato che ci arrivano, al modo di essere istruiti per affrontare questo mondo. Dentro a tutta la evidente freddezza di questo disco si nasconde una spiritualità quasi filosofica. Senza parole il discorso della band è tagliante e scava nel profondo dei nostri pensieri.

7C

Voglio selezionare due brani che fanno capire bene la dimensione di questo lavoro e anche le eventuali aperture che ci sono dentro.
Il primo è Approaching a City. Sembra il racconto di quello che vive un provinciale che capita in mezzo ad una grande città. E' un brano dove batteria e chitarra travolgono le linee del contrabbasso che cerca di godersi una libertà che non riesce a trovare tutto lo spazio che riesce. Tanto che i ruoli si scambieranno, come se il nostro protagonista fosse "rapito" ed omologato dentro al polso della città, che non consente alcuna ribellione. 
Il secondo è Depression ed è il brano che si distanzia un po' da tutto il resto del disco. Forse è l'unico momento più introspettivo, dove la freddezza lascia spazio all'esplorazione interna di quello che succede dentro alla testa di qualcuno che vive in mezzo a questa ragnatela dalla quale è impossibile scappare. La depressione è il modo di reagire del corso, della mente, dell'anima. E la band riesce perfettamente ad individuare i suoni della depressione, la profondità triste di quei pensieri, la lotta tra la voglia di cambiare situazione e quello che ti trascina ancora più giù. E' un brano prezioso, molto, molto interessante.


Compartment C merita un ascolto approfondito perché fuori da quello che potrebbe essere un lavoro esperimentale e di avanguardia ci sono molti altri messaggi. Questo dei 7C non è un disco semplice e molta gente si troverà a disaggio di fronte a queste note ma è un lavoro che diventa un fedele riflesso del sistema che ci governa. L'individualità è un'illusione, siamo soltanto quello che alimenta una dinamica che è, quasi, impossibile abbandonare.

Voto 8/10
7C - Compartment C
DeAmbula Records
Uscita 29.09.2017


domenica 24 settembre 2017

Godhead Machinery - Ouroboros: l'uomo è il maggior nemico dell'uomo

(Recensione di Ouroboros dei Godhead Machinery)


E' opinione più o meno condivisa che quello che motiva di più a creare qualcosa d'artistico sia la voglia di sfogo o d'esternare sensazioni negative. C'è chi sostiene che quando si è felici non c'è bisogno di "perdere" tempo creando qualsiasi cosa perché bisogna vivere e godersi la felicità e basta. Naturalmente questa non è una regola fissa, visto che generi come il pop hanno maggiore fonte d'ispirazione nella gioia, per quello generalmente i brani sono molto più leggeri.

Il primo disco degli svedesi Godhead Machinery è un lavoro che trova ispirazione in tematiche che possono tranquillamente essere segnalate tra i mali maggiori del nostro mondo. Per quello è significativo il titolo di questo disco, chiamato Ouroboros, perché sembra voler simbolizzare il paradosso dell'uomo, capace di essere il governante del mondo ma allo stesso tempo essere fonte della propria distruzione. In questo caso l'accento viene messo alle divisioni create dalle religioni, alla piaga sociale che è la corruzione e il modo nel quale queste due tematiche finiscono per "mangiarsi" il mondo, volendo stabilire un controllo assoluto o cercando di arricchire quanto più possibile una piccola élite. Per farlo la band svedese si affida ad un black metal molto tecnico con diverse aperture, disegnando un panorama apocalittico ma molto fedele di quello che è la nostra realtà.

Ouroboros

Forse difficilmente un disco può cambiare le sorte del mondo, ed è impossibile pensare che questo Ouroboros riesca ad essere la luce di svolta dei nostri problemi ma è importante che la musica sia un trasporto d'idee, di sensazioni, di ribellione. Per quello lo sforzo di gruppi come Godhead Machinery è molto valido. In questo lavoro convivono molti elementi che danno un colore particolare a quello che viene cantato e suonato dalla band. Non si tratta solo dalle tematiche dei brani ma anche da come musicalmente vengono accompagnati. Per quello diventa molto interessanti che non ci sia una fossilizzazione dentro alla musica del gruppo. Infatti la grinta ed energia di certi brani trovano dei momenti di maggiore di riflessione con interventi mirati che fanno diventare tutto quanto molto più maestoso. Credo che sono queste sottigliezze quelle che danno molto gusto a questo disco e lo fanno diventare un'opera validissima di una nuova band. Non sempre tutto quello che viene suonato è tecnico o appartenente al mondo del black metal, per quello si tende ad inglobare il lavoro del gruppo dentro alla definizione di extreme metal, un'altra classificazione molto soggettiva che dice tutto e niente.

Devo fare una piccola confessione, ci ho messo un po' di tempo a capire ed apprezzare correttamente due mondi musicali come il black metal o il extreme metal. Forse mi lasciavo portare per i pregiudizi che vedevano quei generi come tante urla e poca sostanza, come se fossero forzatamente blasfemi e nichilisti. Invece addentrandomi in queste sonorità ho scoperto degli orizzonti vastissimi che regalano un modo assolutamente diverso di lavorare con la musica, dove la bellezza è molto più nascosta, ma quando viene scoperta è ancora più importante. In certi momenti questo Ouroboros mi ha rinnovato questa sensazione, dandomi modo di essere trasportato dentro al mondo musicale dei Godhead Machinery e trovarmi molto bene dentro. Non credo che sia una cosa facile da farsi per nessun gruppo dunque tanto di capello a questa band.

Godhead Machinery

I due brani che più mi hanno toccato sono:
The Plague. Forse una delle tracce che permette al meglio di capire qual è l'intenzione sonora della band e come riescono a mettere insieme tutto quello che musicalmente gira intorno al loro modo di fare musica. Per quello troviamo momenti di vero black metal che tendono a tratti verso qualcosa più sinfonica, grazie al lavoro delle tastiere, ed invece, in altri momenti, si avvicina a qualcosa di molto più tecnico. Viene fuori un brano molto rotondo ed interessante.
Praise the Flesh. E' la canzone che chiude questo disco ed è il brano che diventa in un certo modo più "mid tempo". Non ha la necessità di essere devastante come gli altri ma diventa più introspettivo e dal mio punto di vista operazioni come queste finiscono per costruire canzoni ancora più significative. Infatti questo è, per me, il miglior brano di questo disco. Un brano che ricorda un po' quello che fa Ihsahn, pronto a regalarci momenti sinfonici, altri tecnici, certi aspetti del passato musicale del metal ma una grande, grandissima carica emotiva che funziona molto bene.


Fino a quando l'uomo continuerà ad essere il suo primo nemico? Mi sembra impossibile rispondere a questa domanda perché sembra che parte della nostra propria natura sia quella dell'autodistruzione. Siamo mossi dalla cecità del potere, del sentirci superiori senza misurare quello che significa andare su quella strada. Ouroboros è un disco che dimostra che la musica può aprire gli occhi, che bisogna scuotere le anime addormentate del nostro triste tempo. Buonissimo debutto dei Godhead Machinery.

Voto 8/10
Godhead Machinery - Ouroboros
Inverse Records
Uscita 29.09.2017

sabato 23 settembre 2017

Row of Ashes - Let the Long Night Fade: camaleontico adattamento

(Recensione di Let the Long Night Fade dei Row of Ashes)


Quanti aspetti e sfumature può avere la nostra personalità? Sin da piccoli siamo stati abituati ad avere a che fare con persone dai più svariati caratteri, e noi stessi ci siamo sviluppati crescendo in un modo particolare di essere. Ma dentro al nostro stesso carattere ci sono tanti aspetti diversi, possiamo passare da stati di tranquillità ad altri di disperazione, di rabbia o molte altre cose. E' qualcosa di naturale, di normale, una specie di eterna lotta con noi stessi. Perché com'è naturale tutto vorremmo stare bene sempre ma non è possibile. E quando decidiamo di condividere il nostro tempo ed i nostri spazi con qualcun altro sono questi cambiamenti di carattere quello che diventa l'aspetto più difficile di vita.

Let the Long Night Fade è il primo disco dei londinesi Row of Ashes e ci permette di conoscere una band camaleontica, pronta ad offrirci un ventaglio di sensazioni e di sentimenti pian piano che scorrono i brani di questo disco. Chiave in questo senso è il lavoro vocale femminile perché i ranghi che riesce a toccare la voce ci portano da una dolcezza nostalgica fino ad una grinta graffiante. Naturalmente l'ausilio della parte musicale aiuta a che queste sensazioni vengano amplificate. Questa dinamicità è chiave per capire questo lavoro e quella che sembra essere l'essenza della band. Infatti sia il gruppo che questo disco diventano delle specie di contenitori dove confluiscono tutte le idee e le volontà di quattro musicisti con percorsi diversi e con gusti diversi. Sono un fermo sostenitore di esperimenti del genere, perché quando c'è l'ambiente giusto per fare confluire tutta una serie di inquietudini musicali allora nasce qualcosa di nuovo ed invariabilmente, col corso del tempo, si finisce per creare un linguaggio musicale interessante.

Let the Long Night Fade


Ma quali sono i mondi musicali che girano intorno alla musica dei Row of Ashes? Come al solito diventa un esercizio abbastanza incomodo cercare di elencare tutto quello che si sente dentro a questo Let the Long Night Fade ma certi aspetti vengono fuori con chiarezza. Forse a regnare su tutto è una bella propensione sludge metal ma vissuta a mo' dei Neurosis, vale a dire con immensa personalità e con la voglia di non rimanere inchiodati solo a questo mondo. Infatti le vie trasversali per le quali fugge la musica della band sono ampie ed interessanti. Per quello vediamo anche diversi aspetti di post metal ma anche dei flirt più o meno dichiarati con una dimensione più dark ed alternativa. Infatti questo disco è sempre immerso in una dimensione oscura, ma nella quale l'oscurità è a due vettori. Uno che sembra esterno e che colora tutti gli aspetti della musica della band, la voglia di avere un suono più acido che cattivo, di essere a metà strada tra la nota ed il rumore. L'altro invece è interno, ed è lì che tutto diventa più vellutato, che la voce prende una strada dolce, bella, molto melodica, ma mai felice, mai luminosa, Questo è il lavoro portato d'avanti dalla band, questa la sua voglia di essere originali e la capacità di esserne riusciti.

Questo Let the Long Night Fade è un disco molto interessante. Sorprende la capacità di una band giovane come Row of Ashes di avere tanta sicurezza, soprattutto perché la loro idea sonora non si sviluppa in una sola linea o genere, ma si nutre di contaminazioni trasversali. E' come avere a che fare con una persona che riesce continuamente a cambiare carattere ma ogni parte che va vedere è molto interessante. Questi londinesi hanno tutta la forza per rubarsi la scena, bisogna tenerli d'occhio.

Row of Ashes

Pesco due canzoni.
La prima è la title track e sin da subito ci fa capire qual è la voglia della band. Cioè quella di non essere racchiusa in un solo mondo musicale. E' un brano che cambia molto essendo bello lungo ma funge da perfetto riassunto di quello che fa il gruppo. Molto interessante.
La seconda ha l'impronunciabile titolo di 12.5907786999999987 55.6852689. Se si tratta di coordinate ci ritroviamo in mezzo al mare Arabico, altrimenti personalmente non so di cosa si tratta. Ma concentriamoci sul brano, che è meglio. Come vi avevo detto in questo disco attraversiamo tutta una serie di momenti, come se fossero dei cambi caratteriali. Questo capita anche in questo brano, dove la voce, ed insieme ad essa la musica, passa da essere molto dolce ad essere grintosa come in altri momenti, ma non è la stessa energia, qua si tratta come se fosse quasi un urlo disperato. In tutti i casi questo è un brano perfetto per capire che cosa sa fare la band.


Credo che sarà molto interessante seguire le orme dei Row of Ashes perché questa loro propensione di essere dinamici e di abbracciare tutta una serie di personalità musicali è degna di essere approfondita per dare nascita ad un loro modo di fare musica. Intanto questo Let the Long Night Fade permette di farci un'idea molto chiara su quali sono le strade musicali che riescono a intraprendere molto brillantemente. Ottimo debutto.

Voto 8/10
Row of Ashes - Let the Long Night Fade
Third I Rex
Uscita 24.09.2017

venerdì 22 settembre 2017

Chelsea Wolfe - Hiss Spun: l'apice raggiunto

(Recensione di Hiss Spun di Chelsea Wolfe)


Cosa deve succedere nella carriera di un artista per diventare un punto di riferimento? Quando e come un artista riesce a dare il grande salto che lo trasforma in una voce unica dentro quello che fa? Non esiste una regola fissa che dia risposta a queste domande, perché la storia ci dimostra che ciascun artista che si è conquistato un posto nell'olimpo della musica ha avuto una strada diversa. Per qualcuno tutto è successo velocemente, per qualcun altro ci sono voluti parecchi anni prima che ci fosse un riconoscimento globale delle proprie qualità. Ma purtroppo ci sono anche dei casi di artisti che alla distanza di anni dalla loro scomparsa sono riusciti ad essere apprezzati per quello che hanno fatto per la musica.

La sensazione, per quanto riguarda Chelsea Wolfe, è che di disco in disco il suo spazio dentro alla musica contemporanea sia sempre più grande e saldo. Forse per questo c'era una grande aspettativa nel voler sentire il suo nuovo lavoro Hiss Spun. La sensazione che veniva fuori è che con ogni nuova uscita la sua personalità ci guadagnava e veniva sempre più definita, in quel senso c'è da dire che questo nuovo disco non solo dà conferma a tutto quello che conoscevamo della Wolfe ma ci aggiunge nuove idee e nuove sonorità.
Ma faccio un passo indietro, perché credo sia fondamentale iniziare a delineare quale sono le caratteristiche che hanno reso questa artista una delle voci più interessanti dell'attuale panorama musicale alternativo. Dico alternativo e non rock o metal perché questo è un primo punto di forza o di conflitto per quanto la riguarda. Chelsea Wolfe è e non è rock, Chelsea Wolfe diventa sempre più metal senza essere un'artista metal. Chelsea Wolfe Gioca col essere folk o neo folk ma lo è sempre di meno. Chelsea Wolfe è gotica senza avere alcun bisogno di usare trucchetti gotici. In altre parole la cantante statunitense ha il pieno potere sulle sue creazioni, su quello che vuole fare senza dover conto a nessuno tranne che a sé stessa. E per quello non c'è nessuna come lei, nessuna che riesca a muoversi in contemporanea su terreni diversificati dove non c'è mai un'unica direzione, dove lei riesce a saltare di una parte all'altra come chi passeggia dentro alla propria casa.

Hiss Spun

Credo che tutto quanto ho detto prima in questo Hiss Spun prende ancora più peso. Nel passato musicale di Chelsea Wolfe c'erano stati dei dischi che tendevano sempre di più verso un orientamento. Per quello ci sono stati lavori più folk, altri più dark, altri più ambient. Questo invece è un disco che ha degli spunti fortissimi come mai prima, per esempio la svolta metal, quasi black metal, di Vex, ma allo stesso tempo è un disco che infonde una sicurezza unica, un modo di dire: questa è Chelsea Wolfe, in tutto e per tutto. E il personaggio che viene fuori è fottutamente affascinante. L'apertura mentale che porta a suonare e vivere dentro a tanti generi è un riflesso della personalità dell'artista.Un'artista che sa che per impattare l'ascoltatore bisogna usare due vie: quella dell'energia e quella dell'intimità. Questo disco gioca con entrambi i mondi. E' bestialmente potente in molti momenti, nella scelta sonora, che prosegue quello ce avevamo sentito su Abyss, ma è anche intima ed eterea, come uno spirito che attraversa l'aria. Tutto con la personalità della Wolfe, con quel suo modo di mettere un velo sopra a tutto dando l'impressione di assistere all'ascolto di qualcosa di surreale, di qualcosa che si trova in una dimensione molto vicina alla nostra ma che non è proprio la nostra. Infatti questo è un altro punto fondamentale nella comprensione di questo disco: Chelsea Wolfe è inarrivabile. Non è possibile mai entrare nel suo stesso piano, non è mai possibile vedere la sua anima nuda. Lei ci offre quello che vuole senza dare alcuna spiegazione, senza mai pretendere di aprire il suo cuore. Questo disco, come tutta la sua discografia, sono delle piccole opere d'arte che rispondono alle inquietudini della loro creatrice ma nessuno ci permette d'annidarci dentro all'artista.

Hiss Spun

Hiss Spun diventa dunque il disco più equilibrato della Wolfe fino ad oggi. Tutto ricorda la strada che ha fatto fino ad arrivare al punto dove si trova oggi e s'intravedono spiragli di quello che ci sarà nel suo futuro. Credo che non sia sbagliato affermare che questo è un disco di chiusura di un ciclo. Per quello tutto quello che conoscevamo di lei fino ad adesso in questo lavoro sembra ancora più imponente, ancora più logico dentro alla sua logica, ancora più brillante dentro alla sua ricerca d'oscurità. 


Chelsea Wolfe


Ci sono tre brani che fanno capire perché questo disco diventa uno dei passi più sicuri dati dalla artista.
16 Psyche ha tutta l'energia che ha dimostrato nel suo disco anteriore ma in sembra molto più controllata, è un'energia che non fuoriesce da tutte le parti, che non ha l'urgenza di un urlo ma è perfettamente utilizzata, con una sapienza invidiabile.
Vex è la novità. E' un brano che se non fosse di Chelsea Wolfe sarebbe un ibrido tra balck metal e industrial. Invece qua diventa una canzone inqualificabile, una materia prima con la quale l'artista ci costruisce una sua scultura. Mai la Wolfe si era spinta in questa direzione come ha fatto con questo brano.
The Culling. La figura della Wolfe è sempre il centro di tutto, per quello i panni di cantautrice dark folk le hanno sempre permesso di stare lì, dove gira tutto. Questo è un brano che permette di capire com'è cresciuta, perché inizia con questo tocco cantautoriale molto forte per poi girare pagina e diventare una canzone di un pathos incredibile e bellissimo, sempre in mezzo a questa dimensione eterea. 



E' Hiss Spun il miglior disco di Chelsea Wolfe fino ad adesso? Credo che sia affatto semplice rispondere a questa domanda perché le sue caratteristiche sono molto più ampie degli altri suoi lavori. E' una risposta molto soggettiva. Invece penso che tutti si troveranno abbastanza d'accordo nel dire che siamo di fronte al disco più maturo ed equilibrato dell'artista statunitense. Questo lavoro è la conferma della personalità immensa di una musicista che non ha paragoni.

Voto 8/10
Chelsea Wolfe - Hiss Spun
Sargent House
Uscita 22.09.2017