mercoledì 28 novembre 2018

Shibalba - Stars Al-Med Hum: pronti a viaggiare?

(Recensione di Stars Al-Med Hum di Shibalba)


Si sa, nella musica ciascuno cerca una via di sfogo o un modo di fomentare un determinato stato d'animo. Per quello la musica che ascoltiamo spesso diventa il riflesso di quello che siamo, di come si comporta la nostra personalità. Per quello i gusti possono evolversi col tempo, perché così come si cambia anche la musica ci deve dare altre sensazioni. Per quello in ogni momento decidiamo qual è la musica migliore per andare a riflettere quello che viviamo proprio in quel momento. E per quello sicuramente le persone più interessanti sono quelle che riescono ad ascoltare quanta più musica diversa.

Stars Al-Med Hum non è un disco per tutti. Perché la musica dei Shibalba non è per tutti. Non è musica di semplice digestione perché è motivata da una serie di concetti che non hanno molto a che fare con la musica più "tradizionale". Più che mai affrontare questa musica significa entrare in mondi che generalmente rimangono inesplorati. E' donarsi a uno stato di trans, ad affrontare un viaggio astrale ed esplorare gli angoli più nascosti del subconscio. L'aspetto fondamentale di quest'esercizio sta nel indirizzare questo viaggio nella direzione che ciascuno preferisce o necessita. Per quello la meta che si raggiungerà sarà sempre diversa. Qualcuno potrebbe dare un significato mistico, qualcun altro potrebbe andare verso delle zone oscure, qualcuno invece cercherà di scoprire degli aspetti che rimangono sempre nascosti, qualcun altro avrà una specie d'illuminazione religiosa, a prescindere di che religione si tratti. Questo è il potere di questa musica, questo è il viaggio che s'intraprende appena inizia l'ascolto di quest'album.

Stars Al-Med Hum

Immagino che sia già molto chiara qual è la naturalezza della musica di Stars Al-Med Hum. Musica che spesso viene definita come meditative trance dark ambient per la capacità musicale dei Shibalba di condurre l'ascoltatore verso l'interno essendo un lume che più che condurre illumina gli angoli oscuri che ciascuno decide d'esplorare. Credo che qui radichi la chiave di lettura di questo disco, perché non si tratta di un lavoro che impone una strada inopinabile ma è, al contrario, una porta d'acceso verso un mondo dove ognuno scegli qual è la direzione che deve prendere. Per quello aspetti sciamanici si mescolano con sonorità drone, col dark ambient e con questo trance costruito con l'ipnotica reiterazione di basi ritmiche. Un disco, dunque, che ha la capacità di trasportare l'ascoltatore senza definire con chiarezza il dove, perché non è quello l'obiettivo. Il viaggio che ciascuno fa cambierà di volta in volta, dimostrandosi una esplorazione profonda di quello che non facciamo vedere tutti i giorni. Per quello è un lavoro da ascoltare in assoluto relax, pronti a viaggiare e a affrontare noi stessi.

Stars Al-Med Hum

Stars Al-Med Hum diventa, dunque, un invito a lasciarsi trasportare in profondità, a lasciarsi andare alle cose che normalmente si cerca di tenere a bada. I Shibalba tornano a raggiungere una grande maestria in quello che si propongono, in questa capacità di aprire delle porte verso degli angoli tutt'altro che facile da raggiungere. Per quello chi apprezzerà questo disco non lo farà tanto per la sua struttura musicale quanto per la possibilità di vivere delle cose straordinarie.

Shibalba

Tutte le tracce di questo disco hanno parte del loro titolo simile, cioè Alignment. Io prendo la seconda traccia e ve l'approfondisco un po' di più.
Il suo titolo è Alignment II TEI Re Re Re e se l'ho selezionata è perché è quella meno "sciamanica" dove si può apprezzare in modo più nitido l'utilizzo di strumenti come la chitarra elettrica o le tastiere. Per tutta la parte iniziale può sembrare più una "canzone" anche se sin dall'inizio c'è spazio per basi che si ripetono ossessivamente. Dopo si sviluppa in profondità, come se piano piano si andasse ad abbracciare degli abissi interni per trovare qualche piccolo raggio di sole che indica dove avviene la risalita. 


Dunque rilassatevi, trovate un'ora nella quale nessuno vi disturberà, spegnete telefono, mettetevi comodi e fate partire Stars Al-Med Hum. Chissà dove vi porterà questo viaggio, chissà che cose vedrete, chissà se vorrete tornare a farlo o meno. Intanto c'è da ringraziare i Shibalba per il biglietto, ricordando che spesso diventa più significativo il tragitto e non la meta. Buon viaggio a tutti.

Voto 8/10
Shibalba Stars Al-Med Hum
Agonia Records
Uscita 23.11.2018

Pagina Facebook Shibalba
Pagina Bandcamp Shibalba

mercoledì 21 novembre 2018

Esben and the Witch - Nowhere: appartenere all'oscurità, desiderare la luce

(Recensione di Nowhere degli Esben and the Witch)



Non ho alcun dubbio nell'affermare che questo blog è letto, quasi esclusivamente, da chi è annoverato tra i "diversi" della società. Cioè tutte le categorie di persone che sono quanto più lontano possibile dall'omologazione che ingloba quasi tutti. Ed è un onore che così sia, anche se la mia "lotta" è sempre stata quella di aprire nuove crepe nei muri della "normalità" in modo di fare entrare la luce e i suoni, o le ombre e i rumori, che fanno parte dell'universo musicale che mi e ci affascina. Dunque, è bello essere "diverso" per il solo gusto di esserlo o perché la "normalità" fa schifo?

Nowhere

Nowhere è il quinto disco del trio inglese Esben and the Witch e il suo titolo è già un indizio fondamentale. Da nessuna parte ma allo stesso tempo ovunque. Nowhere ha quella dualità, quella di essere un disco così cupo ed introverso da implodere ma di essere, anche, un aspetto universale e sempre presente. E' una lotta tra voler passare inosservato e urlare la natura più oscura del mondo. Nowhere è ritrovarsi chiusi in una stanza completamente buia e non desiderare altro che un minimo raggio di luce che ci faccia da guida. Infatti la luce è un elemento molto ricorrente in parte di questo disco. Ma la cosa devastante è la confessione di essere un disco costruito con l'oscurità, come se il desiderio di luce non fosse altro che un urlo per andare oltre alla propria natura. E se difficilmente si può scappare via da qualcosa quello è proprio la nostra natura, il modo nel quale siamo, quello che ci ha "costruito" e quello che custodiamo dentro. 

Nowhere

In questo quinto disco gli Esben and the Witch hanno la capacità di costruire dei brani molto concreti, brani che sanno che direzione prendere senza mai deviarsi minimamente. Sanno quando essere amicanti con l'oscurità, quando ribellarsi alla stessa e quando illudere ad un minimo di speranza. Per quello Nowhere è indubbiamente un disco dark che prende uno spettro ampio musicalmente parlando. Per quello ci sono tanti elementi gothic rock ma anche dei momenti post punk a sonorità dark folk. Perché più che mai le parole devono avere un riflesso nella musica e viceversa. Questo è un disco dove le due cose si alimentano più che mai, dove le parole crescono grazie alla musica e dove la musica non esisterebbe proprio se non ci fossero le parole. Ma quello che chiama l'attenzione, ed è il grande trionfo della band, è questa capacità di costruire a 360 gradi ciascun brano, avendo sempre una traccia comune che unifica tutto quanto ma facendo vedere tanti punti diversi dentro alla musica del trio. E quello che ho appena scritto può sembrare un'ovvietà ma non è affatto così. Ci sono tantissime band che hanno un registro limitato, che sanno come sfruttare due o tre emozioni e portarle in musica, invece il ventaglio emotivo e la fragilità dei cambiamenti che ci sono in questo disco non sono alla portata di tutti. Questa è una lettura che si svela sempre di più ad ogni ascolto dell'intero lavoro.

Nowhere

Sta adesso a ciascun ascoltatore di riuscire ad apprezzare Nowhere e di decidere se è un album che passerà come passa il vento finendo per essere "il nulla" o se invece sarà un tesoro da custodire nell'interno perché le emozioni, contraddizioni, conflitti e ribellioni che ci regalano gli Esben and the Witch sono parte di tutti e soprattutto di noi. Io vi invio a essere propensi per la seconda scelta perché è quella più reale, poetica e gratificante. Perché i "diversi" siamo tanti.

Esben and the Witch

Prendo tre brani che aiutano a capire come questo disco si basi nei conflitti tra luce ed ombra.
Il primo è A Desire for Light e già il titolo ci indirizza nella direzione che ho tratteggiato prima. Ma occhio, perché la luce deve essere intesa come molto di più, ed altro, che semplice luce. La luce è la giuda, e la forza che ci da una ragione per essere vivi, è il motore. Per quello questo brano diventa intenso, una specie di confessione che urla la necessità di abbracciare quella luce, quella vita.
The Unspoiled invece rappresenta la scesa nelle tenebre, lo sprofondare. E' la sensazione che da soli si cade e basta ed è fondamentale che qualcuno ci aiuti. Potrei paragonarla al ritrovarsi dentro ad una palude dove ogni movimento, per minimo che sia, significa sprofondare un po' di più e l'unica uscita possibile, l'unica salvezza, dipende da qualcun altro, qualcuno che riesca a lanciarci una corda e ci trascini via.
Per concludere abbiamo Darkness (I Too Am Here) che è la rassegnazione. Qua non c'è salvezza possibile, non c'è speranza, c'è solo consapevolezza del non poter scappare dalla propria natura. Se siamo costruiti di oscurità potranno illuminarci quanto vorranno ma non cambierà nulla. Dissacrante ed onesto.


Nowhere è il nulla ed è il tutto. E' una guerra tra luce ed ombra così stanca da essere combattuta che si fa da parte. E' la ricerca di una speranza pronta a spezzarsi con la prima brezza del giorno. E' un disco di un'intensità unica, di una dinamicità che è pronta a regalare delle sfumature che non sono alla portata di tutti. E' una bellissima prova degli Esben and the Witch pronti ad illuminare il buio o a oscurare l'eccesso di luce.

Voto 9/10
Esben and the Witch - Nowhere
Season of Mist
Uscita 16.11.2018

sabato 17 novembre 2018

Azusa - Heavy Yoke: CCC (crudo, complesso, contrasto)

(Recensione di Heavy Yoke degli Azusa)


Nella fotografia ci sono due aspetti fondamentali che fanno la differenza tra uno scatto banale e un capolavoro. Il primo è la capacità del fotografo di settare correttamente la propria macchina oltre ad avere la composizione corretta e chiave; il secondo è la capacità di fare una post produzione che accentui i potenziali della foto senza mai renderla artificiale, tranne se non si tratta di una scelta artistica. C'è un aspetto che è comune alle due tappe, ed è quello del contrasto. Le foto devono essere dinamiche, complete, plastiche. Non c'è nulla di peggio di una foto piatta, nella quale non si riesce ad apprezzare fino in fondo le differenze ed i giochi di luce ed ombre.

Heavy Yoke è la prima fotografia targata Azusa, band che merita la definizione di super gruppo, visto che mette insieme dei membri degli Extol, dei The Dillinger Escape Plan e dei Sea + Air. Parlo di fotografia e non di album perché credo che il paragone visivo sia perfettamente applicabile. Soprattutto perché la musica che forma questo debutto è una costruzione complessa e ben studiata che va a concentrarsi in pochi minuti, così come un fotografo sa che c'è un fondamentale equilibrio tra la quantità di dettagli che può avere un singolo scatto che consenta di scorgerli tutti quanti senza che si scontrino tra di loro. E la chiave per riuscire a compiere questo risultato si basa in un concetto unico: il contrasto. Contrasto che viene dato dalle interessanti scelte armoniche e dal lavoro vocale, tanto angelico quanto dissacrante.

Heavy Yoke

Mi è difficile definire il, o i, genere di appartenenza di Heavy Yoke. Lo è perché più di una chiara "cittadinanza" musicale lo sforzo degli Azusa sembra essere più concentrato sulla sensazione che vogliono suscitare, cioè un insieme di acidità e di crudezza. Aspetti che mi ricordano una recensione fatta più di un anno fa che aveva come punto d'interesse una promettente band inglese chiamata Row of Ashes. In quel caso avevo parlato di sludge metal misto ad un post metal di radice oscura. In questo caso non mi sento di attribuire quelle stesse caratteristiche ma lo definirei, se me lo acconsentite come un lavoro di raw alternative metal. Perché raw? Per via dell'onnipresente contrasto. Sembra un controsenso, come può esistere qualcosa di crudo ed essere allo stesso tempo contrastato? Ebbene, quella crudezza viene data dalla voglia di essere diretti, di non prendere mai alcuna direzione che non sia quella della musica che si vuole scrivere. E il contrasto? Viene dato dal passaggio della creazione di gradevoli melodie vocali che prima ancora di svilupparsi completamente vengono spazzate via dalla voce graffiante della cantante Eleni Zafiriadou, abilissima a recitare questa specie di Dr. Jekyyll e Mr. Hyde canoro.

Sicurezza melodica e complesse armonia, voce armoniosa che nell'arco di pochi secondi diventa graffiata e graffiante. Concetti vari e complessi che si sviluppano in un massimo di quattro minuti. Ecco la forza ed unicità di Heavy Yoke, album che si presenta come una serie di fotografie sonore da studiare a fondo, perché soltanto imparando ad osservare correttamente si potranno capire tutti i dettagli inclusi dagli Azusa in questo loro primo disco.

Azusa

Prendo due brani per esemplificare tutto quello che ho cercato di spiegarvi precedentemente.
Il primo è Heart of Stone. Una piccola grande montagna russa, piccola perché di dimensioni limitate, grande perché non da alcuna tregua al coraggioso che decide di percorrerla. Non bisogna mai pensare che quello che si sta ascoltando in un secondo sia la stessa cosa che si ascoltare dopo.
Il secondo è l'omonimo Heavy Yoke, perfetto biglietto di visita dell'intero lavoro dove non ci sono solo quei contrasti ma anche una complessa costruzione melodica con fraseggi canori veramente complessi ed interessanti.



Tirando le somme di questo Heavy Yoke bisogna dire che non è un lavoro semplice che potrà piacere a tutti quanti. Lo è perché la scelta intrapresa dagli Azusa può sembrare delirante e complessa, ma come generalmente accade è proprio lì che si radicano i progetti più interessanti da ascoltare e guardare con la lente d'ingrandimento. Sarà interessante vedere la direzione che intraprenderà questa super band ma indubbiamente ci regalerà dischi da ascoltare e riascoltare con cura.

Voto 8/10
Azusa - Heavy Yoke
Indie Recordings
Uscita 16.11.2018

venerdì 2 novembre 2018

Zombies Ate my Girlfriend - Shun the Reptile: esorcizzare la macabra realtà

(Recensione di Shun the Reptile dei Zombies Ate my Girlfriend)


Uno degli aspetti che odio di più nell'essere umano è la presunzione di onnipotenza, la presunzione di sapere come si vive in qualsiasi angolo del mondo, anche se molto lontano dal proprio angolo. Ma c'è anche un'altra presunzione pericolosa, cioè quella di credere che che qualsiasi altro posto sia l'ultimo angolo dimenticato della terra, senza mai pensare che forse ogni posto riserva delle cose interessanti. Per quello bisognerebbe viaggiare e conoscere tanta altra gente, mescolare le culture, ascoltare i racconti degli altri e capire che il mondo è vasto, ampio e bello.

Shun the Reptile

Mi fa molto piacere poter occuparmi per la prima volta di un disco che viene dal Sudafrica. Questo acconsentimento è dovuto ai Zombies Ate my Girlfriend e al loro secondo LP Shun the Reptile. Mi fa piacere farlo perché il risultato che si può ascoltare e la testimonianza di vita in un angolo di terra complesso e, in un certo modo, unico. L'unicità è dovuta al fatto che siamo nella parte più meridionale dell'immenso continente africano, in un paese dove le disuguaglianze sociali hanno toccato delle vette uniche e, anche se l'appartheid non esiste più ci sono ancora interi quartieri in tutte le grandi città dove la vita si presenta nel modo più crudele possibile, pieno di disaggi sociali, di delinquenza e di una prospettiva crudele sul valore della vita. In queste idee c'è il nocciolo della musica di questa band, la loro necessità di trasmettere al mondo quello che vedono e vivono di giorno a giorno che è qualcosa di assolutamente diverso dalla nostra realtà. Per quello questo è un disco che s'impregna dell'indignazione umana di fronte a certi atteggiamenti. Per quello può sembrare ostico, crudele e violento ma allo stesso tempo umano. D'altronde che cosa si può fare quando si è immersi in una realtà dove la crudeltà e la delinquenza sono all'ordine del giorno, dove la vita è qualcosa di così fragile da rischiare di perderla in modi crudeli e dove essere nati sembra una corsa alla sopravvivenza? Credo che la musica giochi un ruolo fondamentale per andare avanti.

Shun the Reptile

Shun the Reptile è un disco dove il melodic death metal si avvicina al metalcore dando una versione dei 2010, cioè con una sonorità e un modo d'interpretare questi generi che nulla a che fare con quello che veniva fatto venti o trent'anni fa. E' un'evoluzione naturale che ci presenta una band come Zombies Ate my Girlfriend pronta a erigere un ponte tra il presente e le radici di questi generi. Regalando anche una propria interpretazione, un modo di far capire quello che è il presente loro che può essere radicalmente diverso dal presente di qualche altra band in qualche altro paese. Questo è un quintetto pronto a far capire di essere cresciuti ascoltando dei mostri sacri del metal e trovando degli elementi musicali che si sposavano completamente con la propria voglia di urlare al mondo le proprie impressioni di fronte al mondo che hanno dovuto affrontare. Come se la loro musica fosse l'urlo che permette di scrollarsi di dosso tutte le tensioni, la rabbia e l'impotenza. Questo arriva all'ascoltatore, questo è il loro modo di comunicare e di salvarsi dalla propria realtà. Ancora una volta siamo di fronte alla capacità della musica di essere un veicolo di salvezza e di speranza, in quanto che grazie a essa si riesce a esorcizzare quello che si vive o quello che si è. Per quello credo che questo disco meriti di essere visto come un'esorcizzazione e come una fotografia di una realtà che non è conosciuta a tutti.

Shun the Reptile

La parte più selvaggia del mondo è quella che viene raggruppata in Shun the Reptile. Ascoltare questo disco in un certo modo equivale ad affrontarla e a non far finta che la propria realtà sia l'unica esistente. I zombie di Zombies Ate my Girlfriend non sono morti viventi ma sono dei viventi che hanno sempre un piede nella morte e che in un certo modo devono uccidere per non morire, qualcosa che sembra essere lontane secoli e secoli ma che invece è ancora la realtà di tanti paesi.

Zombies Ate my Girlfriend

Prendo tre brani da questo disco ma il consiglio è di ascoltarlo per intero.
Il primo è il brano omonimo Shun the Reptile. Forse il brano più onirico dell'intero lavoro, un brano che ci regala la costruzione di un essere quasi mitologico che è la metafora della realtà distorta. Un brano molto melodic death metal e anche profondamente epico. Uno dei punti più alti di questo disco.
Il secondo è van Eck. Brano che dimostra abbastanza fedelmente qual è l'intenzione della band, la loro capacità di pescare i suoni del passato e trasformarli in qualcosa di assolutamente attuale. Anche in questo caso la costruzione musicale è impeccabile perché individua un finale esplosivo che funziona perfettamente.
Per concludere segnalo Icarus, brano conclusivo di questo lavoro, una finestra aperta alla possibilità di recensione, di fuga ma anche di essere trattenuti dal fallimento. Proprio come il racconto mitologico di Icaro. Scappare o rassegnarsi?



Shun the Reptile diventa molto più di un disco, diventa qualcosa d'ibrido tra un documentario e un film cruento. La voce dei Zombies Ate my Girlfriend è quella di chi ha l'intelligenza di vedere una realtà e volerla cambiare, prendendo così altre vie come quella della musica. E' un disco di protesta ma è anche un disco di esorcizzazione, per non dimenticare quello che si vive e farlo sapere a chi non è lì.

Voto 8,5/10
Zombies Ate my Girlfriend - Shun the Reptile
Burning Tone Records
Uscita 02.11.2018

giovedì 1 novembre 2018

Sylvaine - Atoms Aligned, Coming Undone: il blackgaze diventa femmina

(Recensione di Atoms Aligned, Coming Undone di Sylvaine)


E' lodevole che in tanti posti del mondo la tolleranza sia sempre più importante. Pensare che qualsiasi individuo possa essere visto esattamente nello stesso modo di qualunque altro, senza importanza di genere, etnia, preferenza sessuale o filosofia di vita, è forse il grande trionfo dell'umanità, che finalmente capisce che l'eguaglianza non è un'utopia stupida ma un dato di fatto. Mentre a livello politico molti paesi hanno già dato questo passo a livello di mentalità ancora molte persone devono capire che l'intelligenza e le capacità di ciascuno di noi dipendono dallo sviluppo, dall'educazione ricevuta, dal percorso di vita e da altri fattori che nulla hanno a che fare su come e dove nasciamo. 

Atoms Aligned, Coming Undone

Atoms Aligned, Coming Undone è un disco che mi ha suscitato grandi riflessioni. Questo perché essendo l'opera di una poli-strumentista come Sylvaine è molto facile intuire, e intravedere, l'anima di questo lavoro. E per me questo lavoro è assolutamente femmina. Non femminile ma femmina. Questo è un disco che ha l'impronta del, così detto, gentile sesso. Ha l'emotività, la violenza e la bellezza delle femmine, che nulla hanno a che fare con quelle maschili. E' come se la musica degli Alcest fosse passata a setaccio attraverso un filtro femminile. Per quello c'è una sensibilità diversa in tutto, un tocco diverso, un modo diverso di rapportarsi con le emozioni che vengono poi messe in musica. Questo non è soltanto un disco di blackgaze ma è la versione femminile di quello che significa questo genere. Ed è un bene che sia così perché le caratteristiche dello stesso l'avvicinano drasticamente al monto femminile. A quel vulcano lunatico di emozioni che improvvisamente erutta per poi essere dormente per secoli. Atoms Aligned, Coming Undone è lunatico, è intenso, è sentito ma è sempre delicato. Può essere un disco devastante ma non sarà mai distruttivo. Aspetti da ringraziare perché non sono, purtroppo, molti gli esempi che vanno in questa direzione.

Atoms Aligned, Coming Undone

Sylvaine ci regala con questo Atoms Aligned, Coming Undone un disco che è molto di più di quello che lei stessa voleva che fosse. Perché nella tappa compositiva si vede che non c'è alcuna intenzione di dare al suo blackgaze un tocco diverso da quello che è questo genere. E' un disco che nasce come un urlo in mezzo della notte, toccando argomenti che sono molto cari a chi ascolta questo genere di musica, cioè la sensazione d'inadeguatezza, di essere nati in un mondo che guarda in tutte altre direzioni e che non darà mai il giusto spazio a chi vede la vita con altri occhi. Ma c'è di più, perché questo messaggio non arriva semplicemente da un gruppo ma viene fuori da un'artista femmina che ha buttato su ogni nota di questo disco il suo essere, il suo percorso, il modo col quale è arrivata a essere quello che è, a abbracciare il genere di musica col quale si esprime. E tutto questo non è intenzionale. Per quello è molto più bello, perché è naturale, perché è innocente, perché non solo non è forzato ma diventa qualcosa di così spontaneo ed impensabile come respirare. Ma questo respiro sa di nostalgia, di tristezza ma anche di profonda bellezza.

Atoms Alligned, Coming Undone

Avete mai avuto la sensazione di essere di fronte a qualcuno e sentire che quella persona è esattamente come la percepite? Non ci sono inganni, non ci sono trappole o difese. Ecco, Atoms Aligned, Coming Undone è proprio così. E' un'anima che si denuda non perché deva farlo ma perché ha il dovere primordiale e inconscio di farsi vedere così com'è. Sylvaine, con più inconsapevolezza e naturalità che qualsiasi altra cosa ci regala un disco dove racconta molto più di quello che vuole raccontare. Senza conoscerla scommetterei che lei è esattamente così. La sua musica parla e da una prospettiva nuova da ascoltare con cura.

Sylvaine

Pesco due brani da questo grande lavoro.
Il primo è Abeyance. La bellezza, l'incanto. La morbidezza di una melodia che viaggia insieme all'ascoltatore, e poi la fierezza, la forza emotiva, l'urlo misurato. Preziosa, fragile e intensa.
Il secondo è Words Collide. Forse in questo caso possiamo parlare di un brano che riassume molto più fedelmente quello che è questo lavoro e quello che è l'appartenenza al blackgaze. Ma anche in questo caso c'è qualcosa di assolutamente femminile, una concezione diversa della musica, delle sonorità e dei progetti che hanno un tocco e un colore diverso. 


Atoms Aligned, Coming Undone è un disco che perfettamente poteva essere firmato da Neige degli Alcest se fosse nato femmina. Questo per dire che dentro a quello che è il mondo del blackgaze, genere che nella mia opinione avrà ancora un grande sviluppo, siamo di fronte a un disco di grandissimo spessore che diventerà un capo saldo. La chiave sta nel fatto che Sylvaine ha saputo mettersi in gioco e che la sua musica è fedelmente un riflesso di quello che lei è, senza trappole ne filtri. E nella musica l'onestà paga sempre.

Voto 9/10
Sylvaine - Atoms Aligned, Coming Undone
Season of Mist
Uscita 02.11.2018